6.L'86A BRIGATA "GARIBALDI"
"MARIO" PAGANONI E VITALINO VITALI
comandanti partigiani in Val Taleggio
LA BRIGATA GARIBALDI - Giovanna Daffini
Dopo il rastrellamento di Cantiglio la banda, piano piano,
si riorganizzò, tanto che in un paio di mesi fu “promossa” a brigata: la “XA
Garibaldi”.
Ne diventò comandante il tenente “Gastone” Nulli che poté
contare anche su una decima di gappisti milanesi, oltre a un distaccamento di
Fiamme Verdi, comandate da Rino Locatelli.
Meglio armati, i partigiani scesero dalle montagne ed
occuparono le popolose contrade della valle (Sottochiesa, Olda, Peghera) e
proclamarono la nascita di una “zona libera” non sottoposta al controllo dei
fascisti.
L’impresa spaventò i capi delle Brigate Nere dell’adiacente
Valle Brembana che chiesero aiuto al reparto di Bergamo nel tentativo di
fermare i ribelli.
Non paga dei successi ottenuti la “XA Garibaldi” cominciò a
compiere azioni e sfidare il nemico con sortite esterne in Valle Imagna e poi
spingersi in Valle Brembana.
Il 18 giugno alcuni di questi partigiani posizionarono delle
mine presso i ponti di Sedrina e partirono a bordo di un camion lanciando
granate e sparando contro le caserme e i posti di blocco delle Guardie
Nazionali Repubblicane dei paesi lungo i quali passavano. L’azione fu più che altro
dimostrativa ma suscitò grande scalpore tra la popolazione, che reagì
positivamente, e preoccupazione tra i gerarchi fascisti dell’intera provincia,
tanto che provocarono la controffensiva nazi-fascista.
Durante la mattinata del 27 giugno 1944 l’intera Valle
Taleggio venne messa a ferro e fuoco da un grosso contingente di truppe
tedesche: ottocento fascisti cominciarono a salire verso la Valle Taleggio
impedendo qualsiasi via di fuga.
La brigata in quel momento disponeva di circa cento uomini
e di un equipaggiamento non adatto a reggere un attacco massiccio come quello
che si sarebbe verificato.
I partigiani furono informati da staffette di altre piccole
formazioni, che avevano notato l’affluenza di grossi reparti delle Guardie
Nazionali Repubblicane, e cercarono di organizzare un piano per rallentare le
truppe fasciste che sarebbero giunte dalla vicina Valsassina e dall’Alta Valle
Brembana tramite la Culmine di San Pietro e il Passo Baciamorti.
Avvennero scontri in tutta la valle, in particolare lungo
l’orrido della Val Taleggio che da San Giovanni Bianco porta verso Pizzino.
Dopo una strenua resistenza alcuni partigiani riuscirono a rifugiarsi lungo i
dirupi del Cancervo, nella zona del rifugio Castelli o scappando verso la Valle
Brembilla.
Decisiva a questo proposito fu l’azione di difesa portata
avanti dal comandante Guerino Locatelli ed altri quattro compagni lungo la zona
del Buco, nell’orrido, per rallentare la risalita delle truppe motorizzate da San Giovanni
Bianco. Il progetto era quello di far saltare in aria un ponte di pietra per
immobilizzare la colonna fascista e lasciarla esposta al fuoco partigiano. La
carica piazzata tuttavia non esplose e dalle camionette conciarono a partire
violente raffiche di mitra a cui i cinque partigiani resistettero finché
poterono rifugiandosi dietro speroni di roccia.
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La lapide nella zona del Buco (orrido della Val Talegggio) a ricordo di Locatelli e Manzoni, entrambi medaglia d'argento al valore militare |
Tre componenti della banda riuscirono a mettersi in salvo,
il comandante Guerino Locatelli ed Eugenio
Manzoni (entrambi medaglia d’argento al valore militare) morirono crivellati
dai colpi degli assalitori permettendo, così, al resto della brigata di
fuggire. Nei pressi di Vedeseta i soldati tedeschi catturarono cinque
partigiani (tre vennero fucilati in località Crotti: il lecchese Ettore
Fumagalli e i due gappisti milanesi Domenico di Candia e Riccardo Paparella).
Furono inoltre uccisi i civili Giovanni Corvini e Lorenzo Rinaldi.
Il grosso della brigata si riorganizzò nella zona di Campo
di Cespedosio, a monte di Camerata Cornello. Reagendo ad alcune azioni, coraggiose
ma spregiudicate, il 28 luglio 1944 i nazi-fascisti rastrellarono la zona di
Brembilla uccidendo tre civili: Vincenzo Offredi, Lorenzo Pesenti e il giovane Bortolo
Vanotti.
Intanto avevano lasciato la formazione il gruppo di Giorgio
il Canadese e anche il distaccamento delle Fiamme Verdi al comando di Albino
Locatelli. Il loro posto venne subito occupato dal gruppo di “Mario” Paganoni,
squadra affiatata di partigiani dell’Alta Valle Brembana, oltre che da un da un nuovo nucleo di gappisti, già operante nell’hinterland
milanese.
Gastone venne riconfermato comandante e il 2 settembre la
brigata, col nome di “86A Garibaldi”, entrò a far parte della Seconda Divisione
Lombarda. Rioccupata l’intera Val Taleggio, Gerosa compresa, la brigata
trascorse un paio di mesi rinfrancandosi e organizzando alcuni colpi di mano
contro le postazioni e le caserme repubblichine, come l’attacco alla caserma
della G.N.R. di Piazzo in Valsassina che, condotto in collaborazione con la brigata
“Rosselli”, portò alla cattura di ben trentuno prigionieri e fruttò una gran
quantità di materiale bellico. La Val Taleggio visse in quei giorni una surreale atmosfera
insurrezionale, quasi di…vallata libera!.
Il 12 ottobre attacchi serrati, partiti dalle montagne della
Valtellina e della Valsassina, e rastrellamenti in Valtorta, nella zona di
Branzi, nelle valli Brembilla e Imagna, misero allo sbando la formazione: Gastone
e altri lasciarono la brigata; i gappisti tornarono a Milano; Paganoni si
rifugiò con i suoi in alta Valle Brembana, ai Laghi Gemelli, ospite della
brigata “Cacciatori delle Alpi” del comandante Bartoli. Il tenente degli alpini
Franco Carrara passò con la brigata “Rosselli” ad Avolasio. Questo momento “buio”
costò ai partigiani ben nove caduti.
La mattina del 30 dicembre nel “Baitone” sopra Morterone, a
cavallo tra la Val Taleggio e la Valsassina, furono circondati, catturati e
fucilati sedici partigiani della “Rosselli” fra i quali Felice Beltramelli di
Lenna; Franco Carrara fu colpito a morte nel tentativo di fuga.
Con l’avvicinarsi della primavera il gruppo di Paganoni
ritornò in Val Taleggio e in collaborazione con Vitalino Vitali ricostruì la
brigata che in poco tempo crebbe a dismisura, sia sul piano quantitativo che
qualitativo.
Nel mese di Marzo fu un susseguirsi di azioni e di colpi di
mano contro le caserme e le forze nazifasciste.
L’11 aprile 1945 è la data dell’ultimo rastrellamento, il
colpo di coda delle Brigate Nere: due caduti, entrambi di Taleggio, Giulio
Bellaviti e Virgilio Arnoldi, catturati e fucilati.
Infine la Liberazione, che discese al piano, fino a Bergamo.
Prima di entrare nella Resistenza, Davide Paganoni aveva
partecipato alla seconda guerra mondiale con il grado di sottotenente di
fanteria, distinguendosi per atti di valore durante la campagna di Russia e
meritandosi la medaglia di bronzo al valore militare.
Dopo l’8 settembre si diede a organizzare la lotta armata in
alta Valle Brembana, con il nome di battaglia di “Mario”, mettendosi a capo di
un gruppo di giovani renitenti e operando tra Cespedosio e le montagne sopra
Roncobello.
In Val Taleggio Paganoni arrivò nel luglio 1944, con una
dozzina di partigiani, sufficientemente armati, abituati alla vita di montagna,
amalgamati e ben motivati: i vari Vanni, Lino, Tito, Rosso, Pietro, che
formeranno poi il fulcro della formazione.
La “XA Brigata Garibaldi Issel”, così chiamata in memoria
del Tenente Giorgio Issel fucilato nel rastrellamento di Cantiglio, che operava in valle da un paio di mesi, era uscita malconcia
dal rastrellamento del 26 giugno 1944 che aveva fatto otto vittime tra i
partigiani e determinato l’abbandono della brigata da parte di alcuni
ufficiali. Tra coloro che erano rimasti al loro posto c’era Vitalino Vitali, un
contadino che abitava in una cascina posta sul sentiero che collega l’Orrido
della Val Taleggio con Cantiglio e che assieme alla sorella Piera aveva
abbracciato la lotta fin dal tempo delle prime bande nell’autunno-inverno del 1943.

La collaborazione tra i due diede buoni frutti, cosicché la
“Issel” poté recuperare le conseguenze del rastrellamento e raggiungere il
controllo pressoché incontrastato della valle. Non è fuori luogo affermare che,
anche se mancarono le strutture amministrative, la Val Taleggio divenne in quei
mesi una vera e propria “repubblica” partigiana.
Tra le tante azioni compiute dalla brigata in quel periodo,
vanno segnalate due azioni di disturbo portate in esecuzione da Vitalino e Cleto
Baroni tra il 18 e il 20 settembre, finalizzate ad impedire il trasporto di
truppe cosacche verso Piazzatorre: il minamento di un tratto della ferrovia
della Valle Brembana e del canale idrico della centrale elettrica.

Dopo quei tragici avvenimenti Gastone assunse un atteggiamento ambiguo: si recò a Bergamo e prese contatto con il comando nazista,
avviando trattative che avrebbero dovuto portare allo scioglimento della
formazione in cambio dell’impunità dei suoi componenti. La reazione
all’interno della brigata non si fece attendere: “Mario” Paganoni e l’altro
ufficiale Franco Carrara presero nettamente le distanze da Gastone ed
allacciarono rapporti con la “56A Brigata Garibaldi Rosselli” di stanza in
Valsassina allo scopo di soppiantare il comandante della brigata.
Paganoni, in particolare, si era ormai convinto che Gastone
fosse sempre stato d’accordo con il nemico: “E’ andato via con le armi e questo
è sintomatico della sua connivenza con i tedeschi. Una volta andai con lui a
Bergamo, i tedeschi mi avevano arrestato il padre e cercavo di farlo
rilasciare. Fummo ricevuti dal Comando tedesco e fummo trattati con estremo
riguardo; avevamo sempre un maresciallo di scorta e alla sera ci mandarono a
dormire al Cappello d’Oro, ma io non andai all’albergo, perché vedevo in giro
certe facce di cui non mi fidavo e per non correre rischi trascorsi la notte da
una mia sorella che abitava appena fuori città”.
I contrasti all’interno della “Issel” culminarono il 24 novembre 1944 con il tentativo di disarmo della stessa da parte della “Rosselli”
che si concluse tragicamente con la morte di cinque partigiani. Gli effetti di
questo avvenimento portarono allo scioglimento di fatto della formazione: Gastone
lasciò la Val Taleggio e fece perdere le sue tracce, una sessantina di
partigiani abbandonarono la lotta armata, alcuni però solo momentaneamente;
una quindicina seguirono Franco Carrara che si aggregò alla
“Rosselli”(cadranno vittime quasi tutti del rastrellamento del 30 dicembre al “Baitone”
sopra Morterone).
Una decina si aggregarono a “Mario” Paganoni e si traferirono ai Laghi Gemelli, intenzionati a svernare assieme a elementi della
“Cacciatori delle Alpi” e ad altri della “XXIV Maggio” superstiti dell’eccidio
di Cornalba, guidati da “Renato” Fasana.
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Il rifugio Gemelli all'epoca. |
L’abilità messa in mostra da Paganoni nel portare al sicuro
i suoi non sfuggi ai dirigenti garibaldini milanesi e quando, il 5 marzo, egli
tornò in Val Taleggio con una quindicina di compagni, dopo una lunga marcia
attraverso Cassiglio, il Passo Baciamorti e la Valle Asinina, fu messo in
contatto con Vitalino, il quale a sua volta aveva svernato nelle baite sopra
Pizzino con una decina dei suoi: così la formazione fu ricostruita, assumendo
il nome di “86A Brigata Garibaldi Franco Carrara”, a ricordo di Franco Carrara
caduto al Baitone. “Mario” Paganoni ne divenne il comandante e Vitalino assunse
il ruolo di Commissario Politico. La brigata prese decisamente corpo nei giorni
successivi, durante i quali giunsero in Val Taleggio alcuni piccoli gruppi di
neo-partigiani provenienti da diverse zone della bergamasca, indirizzati da
vari comitati di parte comunista e altri partigiani provenienti dalla Valle
Brembana, portando l’organico della formazione a una ottantina di unità.
I rapporti con la popolazione locale e in particolare con la
gente contadina, al di là di qualche caso sporadico, torna- rono buoni, perché
la nuova formazione riuscì a far fronte economicamente alle proprie necessità
di sussistenza.
Alla fine di marzo la brigata era oramai pronta a sfidare i
fascisti della Valle Brembana e poteva contare su un discreto armamento, di cui
disponevano tutti gli effettivi, oltre ad un sufficiente munizionamento; il
collegamento con la “Rosselli” e le altre formazioni della fascia prealpina era
discretamente attivato e all’86A venne trovata una precisa collocazione dal
neonato Comando bergamasco nel piano insurrezionale che si stava velocemente
delineando.
Su queste basi Paganoni e Vitalino si prepararono ad affrontare la
fase insurrezionale che vide la brigata protagonista d’importanti azioni.
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