venerdì 4 dicembre 2015

6.L'86A BRIGATA "GARIBALDI"
"MARIO" PAGANONI E VITALINO VITALI
comandanti partigiani in Val Taleggio

LA BRIGATA GARIBALDI - Giovanna Daffini

Dopo il rastrellamento di Cantiglio la banda, piano piano, si riorganizzò, tanto che in un paio di mesi fu “promossa” a brigata: la “XA Garibaldi”.
Ne diventò comandante il tenente “Gastone” Nulli che poté contare anche su una decima di gappisti milanesi, oltre a un distaccamento di Fiamme Verdi, comandate da Rino Locatelli.
Meglio armati, i partigiani scesero dalle montagne ed occuparono le popolose contrade della valle (Sottochiesa, Olda, Peghera) e proclamarono la nascita di una “zona libera” non sottoposta al controllo dei fascisti.
L’impresa spaventò i capi delle Brigate Nere dell’adiacente Valle Brembana che chiesero aiuto al reparto di Bergamo nel tentativo di fermare i ribelli.
Non paga dei successi ottenuti la “XA Garibaldi” cominciò a compiere azioni e sfidare il nemico con sortite esterne in Valle Imagna e poi spingersi in Valle Brembana.
Il 18 giugno alcuni di questi partigiani posizionarono delle mine presso i ponti di Sedrina e partirono a bordo di un camion lanciando granate e sparando contro le caserme e i posti di blocco delle Guardie Nazionali Repubblicane dei  paesi lungo i quali passavano. L’azione fu più che altro dimostrativa ma suscitò grande scalpore tra la popolazione, che reagì positivamente, e preoccupazione tra i gerarchi fascisti dell’intera provincia, tanto che provocarono la controffensiva nazi-fascista.


La lapide nella zona del Buco (orrido della Val Taleggio) a ricordo dei caduti della Brigata

Durante la mattinata del 27 giugno 1944 l’intera Valle Taleggio venne messa a ferro e fuoco da un grosso contingente di truppe tedesche: ottocento fascisti cominciarono a salire verso la Valle Taleggio impedendo qualsiasi via di fuga.
La brigata in quel momento disponeva di circa cento uomini e di un equipaggiamento non adatto a reggere un attacco massiccio come quello che si sareb­be verificato.
I partigiani furono informati da staffette di altre piccole formazioni, che avevano notato l’affluenza di grossi reparti delle Guardie Nazionali Repubblicane, e cercarono di organizzare un piano per rallentare le truppe fasciste che sarebbero giunte dalla vicina Valsassina e dall’Alta Valle Brembana tramite la Culmine di San Pie­tro e il Passo Baciamorti.
Avvennero scontri in tutta la valle, in particolare lungo l’orri­do della Val Taleggio che da San Giovanni Bianco porta verso Pizzino. Dopo una stre­nua resistenza alcuni partigiani riuscirono a rifugiarsi lungo i dirupi del Cancervo, nella zona del rifugio Castelli o scappando verso la Valle Brembilla.
Decisiva a que­sto proposito fu l’azione di difesa portata avanti dal comandante Guerino Locatelli ed altri quattro compagni lungo la zona del Buco, nell’orrido, per rallentare la risalita delle truppe moto­rizzate da San Giovanni Bianco. Il progetto era quello di far saltare in aria un ponte di pietra per immobilizzare la colonna fasci­sta e lasciarla esposta al fuoco partigiano. La carica piazzata tuttavia non esplose e dalle camionette conciarono a partire vio­lente raffiche di mitra a cui i cinque partigiani resistettero finché poterono rifugiandosi dietro speroni di roccia.

La lapide nella zona del Buco (orrido della Val Talegggio) a ricordo di Locatelli e Manzoni,
entrambi medaglia d'argento al valore militare

Tre componenti della banda riuscirono a mettersi in salvo, il comandante Guerino Locatelli ed Eugenio Manzoni (entrambi medaglia d’argento al valore militare) morirono crivellati dai colpi degli assalitori permettendo, così, al resto della brigata di fuggire. Nei pressi di Vedeseta i soldati tedeschi catturarono cinque partigiani (tre vennero fucilati in località Crotti: il lecchese Ettore Fumagalli e i due gappisti milanesi Domenico di Candia e Riccardo Paparella). Furono inoltre uccisi i civili Giovanni Corvini e Lorenzo Rinaldi.
Il grosso della brigata si riorganizzò nella zona di Campo di Cespedosio, a monte di Camerata Cornello. Reagendo ad alcune azioni, coraggiose ma spregiudicate, il 28 luglio 1944 i nazi-fascisti rastrellarono la zona di Brembilla uccidendo tre civili: Vincenzo Offredi, Lorenzo Pesenti e il giovane Bortolo Vanotti.
Intanto avevano lasciato la formazione il gruppo di Giorgio il Canadese e anche il distaccamento delle Fiamme Verdi al comando di Albino Locatelli. Il loro posto venne subito occupato dal gruppo di “Mario” Paganoni, squadra affiatata di partigiani dell’Alta Valle Brembana, oltre che da un da un nuovo nucleo di gappisti, già operante nell’hinterland milanese.
Gastone venne riconfermato comandante e il 2 settembre la brigata, col nome di “86A Garibaldi”, entrò a far parte della Seconda Divisione Lombarda. Rioccupata l’intera Val Taleggio, Gerosa compresa, la brigata trascorse un paio di mesi rinfrancandosi e organizzando alcuni colpi di mano contro le postazioni e le caserme repubblichine, come l’attacco alla caserma della G.N.R. di Piazzo in Valsassina che, condotto in collaborazione con la brigata “Rosselli”, portò alla cattura di ben trentuno prigionieri e fruttò una gran quantità di materiale bellico. La Val Taleggio visse in quei giorni una surreale atmosfera insurrezionale, quasi di…vallata libera!.
Il 12 ottobre attacchi serrati, partiti dalle montagne della Valtellina e della Valsassina, e rastrellamenti in Valtorta, nella zona di Branzi, nelle valli Brembilla e Imagna, misero allo sbando la formazione: Gastone e altri lasciarono la brigata; i gappisti tornarono a Milano; Paganoni si rifugiò con i suoi in alta Valle Brembana, ai Laghi Gemelli, ospite della brigata “Cacciatori delle Alpi” del comandante Bartoli. Il tenente degli alpini Franco Carrara passò con la brigata “Rosselli” ad Avolasio. Questo momento “buio” costò ai partigiani ben nove caduti.
La mattina del 30 dicembre nel “Baitone” sopra Morterone, a cavallo tra la Val Taleggio e la Valsassina, furono circondati, catturati e fucilati sedici partigiani della “Rosselli” fra i quali Felice Beltramelli di Lenna; Franco Carrara fu colpito a morte nel tentativo di fuga.

Da sinistra: i partigiani Franco e Patera, don Camillo Gandossi, "Mario" Paganoni e "Renato" Fasana
Con l’avvicinarsi della primavera il gruppo di Paganoni ritornò in Val Taleggio e in collaborazione con Vitalino Vitali ricostruì la brigata che in poco tempo crebbe a dismisura, sia sul piano quantitativo che qualitativo.
Nel mese di Marzo fu un susseguirsi di azioni e di colpi di mano contro le caserme e le forze nazifasciste.
L’11 aprile 1945 è la data dell’ultimo rastrellamento, il colpo di coda delle Brigate Nere: due caduti, entrambi di Taleggio, Giulio Bellaviti e Virgilio Arnoldi, catturati e fucilati.
Infine la Liberazione, che discese al piano, fino a Bergamo.


Prima di entrare nella Resistenza, Davide Paganoni aveva partecipato alla seconda guerra mondiale con il grado di sottotenente di fanteria, distinguendosi per atti di valore durante la campagna di Russia e meritandosi la medaglia di bronzo al valore militare.
Dopo l’8 settembre si diede a organizzare la lotta armata in alta Valle Brembana, con il nome di battaglia di “Mario”, mettendosi a capo di un gruppo di giovani renitenti e operando tra Cespedosio e le montagne sopra Roncobello.
In Val Taleggio Paganoni arrivò nel luglio 1944, con una dozzina di partigiani, sufficientemente armati, abituati alla vita di montagna, amalgamati e ben motivati: i vari Vanni, Lino, Tito, Rosso, Pietro, che formeranno poi il fulcro della formazione.
La “XA Brigata Garibaldi Issel”, così chiamata in memoria del Tenente Giorgio Issel fucilato nel rastrellamento di Cantiglio, che operava in valle da un paio di mesi, era uscita malconcia dal rastrellamento del 26 giugno 1944 che aveva fatto otto vittime tra i partigiani e determinato l’abbandono della brigata da parte di alcuni ufficiali. Tra coloro che erano rimasti al loro posto c’era Vitalino Vitali, un contadino che abitava in una cascina posta sul sentiero che collega l’Orrido della Val Taleggio con Cantiglio e che assieme alla sorella Piera aveva abbracciato la lotta fin dal tempo delle prime bande nell’autunno-inverno del 1943.
“Mario” Paganoni entrò subito in sintonia con Vitalino e si segnalò per l’abilità organizzativa che gli derivava dall’esperienza militare e contribuì alla riorganizzazione della formazione che prese il nome di “86A Brigata Garibaldi Issel” nella quale assunse l’incarico di Capo di Stato Maggiore al fianco del comandante Gastone.
La collaborazione tra i due diede buoni frutti, cosicché la “Issel” poté recuperare le conseguenze del rastrellamento e raggiungere il controllo pressoché incontrastato della valle. Non è fuori luogo affermare che, anche se mancarono le strutture amministrative, la Val Taleggio divenne in quei mesi una vera e propria “repubblica” partigiana.
Tra le tante azioni compiute dalla brigata in quel periodo, vanno segnalate due azioni di disturbo portate in esecuzione da Vitalino e Cleto Baroni tra il 18 e il 20 settembre, finalizzate ad impedire il trasporto di truppe cosacche verso Piazzatorre: il minamento di un tratto della ferrovia della Valle Brembana e del canale idrico della centrale elettrica.
Il ruolo del comandante Gastone cominciò a declinare dopo il nuovo e sanguinoso rastrellamento del 12 ottobre 1944, che seminò il panico tra la popolazione e costò la vita a sei partigiani. Altri cinque furono arrestati, dopo un furioso combattimento, tra questi Vitalino. I prigionieri dovettero incassare pugni e calci, ma nessuno proferì parola. Caricati di munizioni, vennero condotti a piedi scalzi a Vedeseta, dove furono messi a muro per essere fucilati. Prima di sparare i nazi-fascisti chiesero a Vitalino se avesse qualcosa da dire. Lui rispose che lo fucilassero pure, ma che i suoi compagni, quando sarebbero venuti a conoscenza del fatto, sarebbero scesi con la testa dei repubblichini che tenevano prigionieri. I tedeschi, venuti a sapere che i partigiani tenevano dei prigionieri, sospesero la fucilazione e inviarono un emissario a Gastone per lo scambio, cosa che avvenne pochi giorni dopo.
Dopo quei tragici avvenimenti Gastone assunse un atteggiamento ambiguo: si recò a Bergamo e prese contatto con il comando nazista, avviando trattative che avrebbero dovuto portare allo scioglimento della formazione in cambio dell’impunità dei suoi componenti. La reazione all’interno della brigata non si fece attendere: “Mario” Paganoni e l’altro ufficiale Franco Carrara presero nettamente le distanze da Gastone ed allacciarono rapporti con la “56A Brigata Garibaldi Rosselli” di stanza in Valsassina allo scopo di soppiantare il comandante della brigata.
Paganoni, in particolare, si era ormai convinto che Gastone fosse sempre stato d’accordo con il nemico: “E’ andato via con le armi e questo è sintomatico della sua connivenza con i tedeschi. Una volta andai con lui a Bergamo, i tedeschi mi avevano arrestato il padre e cercavo di farlo rilasciare. Fummo ricevuti dal Comando tedesco e fummo trattati con estremo riguardo; avevamo sempre un maresciallo di scorta e alla sera ci mandarono a dormire al Cappello d’Oro, ma io non andai all’albergo, perché vedevo in giro certe facce di cui non mi fidavo e per non correre rischi trascorsi la notte da una mia sorella che abitava appena fuori città”.
I contrasti all’interno della “Issel” culminarono il 24 novembre 1944 con il tentativo di disarmo della stessa da parte della “Rosselli” che si concluse tragicamente con la morte di cinque partigiani. Gli effetti di questo avvenimento portarono allo scioglimento di fatto della formazione: Gastone lasciò la Val Taleggio e fece perdere le sue tracce, una sessantina di partigiani abbandonarono la lotta armata, alcuni però solo momentaneamente; una quindicina seguirono Franco Carrara che si aggregò alla “Rosselli”(cadranno vittime quasi tutti del rastrellamento del 30 dicembre al “Baitone” sopra Morterone).
Una decina si aggregarono a “Mario” Paganoni e si traferirono ai Laghi Gemelli, intenzionati a svernare assieme a elementi della “Cacciatori delle Alpi” e ad altri della “XXIV Maggio” superstiti dell’eccidio di Cornalba, guidati da “Renato” Fasana.
Il rifugio Gemelli all'epoca.
L’abilità messa in mostra da Paganoni nel portare al sicuro i suoi non sfuggi ai dirigenti garibaldini milanesi e quando, il 5 marzo, egli tornò in Val Taleggio con una quindicina di compagni, dopo una lunga marcia attraverso Cassiglio, il Passo Baciamorti e la Valle Asinina, fu messo in contatto con Vitalino, il quale a sua volta aveva svernato nelle baite sopra Pizzino con una decina dei suoi: così la formazione fu ricostruita, assumendo il nome di “86A Brigata Garibaldi Franco Carrara”, a ricordo di Franco Carrara caduto al Baitone. “Mario” Paganoni ne divenne il comandante e Vitalino assunse il ruolo di Commissario Politico. La brigata prese decisamente corpo nei giorni successivi, durante i quali giunsero in Val Taleggio alcuni piccoli gruppi di neo-partigiani provenienti da diverse zone della bergamasca, indirizzati da vari comitati di parte comunista e altri partigiani provenienti dalla Valle Brembana, portando l’organico della formazione a una ottantina di unità.
I rapporti con la popolazione locale e in particolare con la gente contadina, al di là di qualche caso sporadico, torna- rono buoni, perché la nuova formazione riuscì a far fronte economicamente alle proprie necessità di sussistenza.
Alla fine di marzo la brigata era oramai pronta a sfidare i fascisti della Valle Brembana e poteva contare su un discreto armamento, di cui disponevano tutti gli effettivi, oltre ad un sufficiente munizionamento; il collegamento con la “Rosselli” e le altre formazioni della fascia prealpina era discretamente attivato e all’86A venne trovata una precisa collocazione dal neonato Comando bergamasco nel piano insurrezionale che si stava velocemente delineando.
Su queste basi Paganoni e Vitalino si prepararono ad affrontare la fase insurrezionale che vide la brigata protagonista d’importanti azioni.

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