U.O.E.I. - Bergamo
itinerario d'arte con la presenza...del Diavolo!
Capita spesso che piccoli paesi ospitino dei veri e
propri gioielli artistici e storici: la zona di Lemine, incastonata tra una
miriade di gemme preziose della più svariata foggia, è una di queste!. A poca
distanza, a cavallo tra gli Almenni di San Bartolomeo e San Salvatore, troviamo
cinque splendidi esempi di arte romanica e post-romanica inseriti in un ambiente
che ancora oggi li vede immersi nel verde: la pieve della Madonna del
Castello, San Giorgio, Santa Maria della Consolazione meglio nota come San
Nicola, Santa Caterina di Tremozia e San Tomè.
Percorrere questo l’itinerario che le lega è
un’esperienza che può spingersi ben aldilà della semplice visita,
trasformandosi in un mirabile connubio di arte e storia, di musica e cultura, con
la presenza…del Diavolo!
Madonna del Castello: l'interno con l'edicola rinascimentale e la "Vergine con Bambino" (sec. XII). |
La chiesa di San Giorgio, sorta intorno all'anno 1150,
ora appare isolata e silenziosa nei campi che la circondano, mentre anticamente
si trovava in mezzo a un borgo medioevale, distrutto dalla Repubblica Veneta
nel 1443 come conseguenza disastrosa delle lotte fra i guelfi e i ghibellini. Durante
la peste manzoniana del 1630 San Giorgio, in posizione isolata con il suo
piccolo cimitero, divenne la Chiesa dei Morti, mantenendo questa funzione anche
dopo la fine della peste, con una devozione e un’attenzione maggiore per la
manutenzione dell’edificio, così che gli affreschi superstiti si salvarono. Infatti,
l'aspetto più importante di San Giorgio è la decorazione pittorica che ha
ricoperto integralmente le pareti. La chiesa conserva il più consistente
campionario di affreschi due-trecenteschi che in Bergamasca si possano ammirare
raccolti in un solo luogo: episodi della vita di Gesù, le tracce di una ”Ultima
Cena”, Santi, tra i quali spiccano “S. Giorgio e la Regina” e lo “Sposalizio di
S. Caterina”, Vescovi, scene della Passione di Cristo. La struttura è a tre
navate: quella al centro è più ampia e più elevata rispetto a quelle laterali.
Lo spazio ecclesiale finisce con il transetto e con l’abside.
Il primo occupa trasversalmente
il lato di fondo, definito da tre archi, corrispondenti alle tre navate, che sorreggono
la copertura a volta. Quella a crociera, sopra l’altare, racchiude un maestoso
catino absidale. La facciata si presenta con una veste tutta sua, molto
particolare, quasi unica nel suo genere. Una doppia coloritura dovuta
all’utilizzo di diversi materiali usati, in epoche differenti, nella
costruzione: la parte inferiore in blocchi di arenaria ben squadrati e la parte
superiore in materiale meno nobile, calcareo e di colore chiaro quasi bianco. Secondo alcuni storici questa ricerca del "doppio colore" non è stata
voluta, ma piace supporre che sia stata realizzata così per un motivo: che la
scelta del bianco e del nero riporti alla lotta del bene contro il male, della
luce contro l'oscurità, simbolo che dopotutto San Giorgio e il drago
rappresentano degnamente. La facciata nera nel contatto con la terra e quella bianca
nel contatto con il cielo potrebbe inconsciamente rappresentare proprio questo.
La chiesa conserva una grossa "costola
di un drago". Questa "reliquia"
presente fin dai tempi antichi, dovrebbe essere un osso di balena, ma la
leggenda dice che sia appartenuta a un drago, in particolar modo alla bestia
sconfitta da San Giorgio.
Vi sono diverse chiese che conservano questa particolarissima reliquia e non a caso sono sempre dedicate a San Giorgio. Esiste un'altra costola identica a questa all'interno del vicinissimo Santuario della Natività della Beata Vergine, che sorge sul colle di Sombreno, a pochi chilometri da qui. Appeso al soffitto della chiesa, in posizione quasi centrale prima dell’altare, è possibile vedere un enorme osso, quasi sicuramente una costola di animale, lunga circa 1,80 metri: essa dovrebbe essere appartenuta allo stesso animale mitologico. Alcune interessanti leggende raccolte e archiviate nel Santuario di Sombreno narrano di un pericoloso drago che seminava morte e distruzione nelle aree circostanti, fino a quando un giovane e coraggioso cavaliere, il cui nome è rimasto sconosciuto, affrontò e finalmente uccise l’enorme bestia: fatta a pezzi, egli donò alcune parti alle diocesi locali. Le cronache narrano che il bellicoso drago sorgeva ogni notte dalle acque dello scomparso lago (o mare) di Gerundo e attaccava i villaggi circostanti. Questa estesa zona paludosa era compresa pressappoco tra Milano, il Po e l’Adda ed è sopravvissuta sino agli inizi del XIX secolo le cui tracce stratigrafiche sono state, non da molti anni, individuate dai geologi durante alcuni scavi. Della costola e della struttura osteologica s’interessò il professor Enrico Caffi, cui è dedicato il Museo di Storia Naturale di Bergamo, che volle classificarla come appartenente a un mammut preistorico.
Anche le “voci” che vengono dagli Almenni dicono che questo drago sarebbe vissuto in queste zone, con la tana vicino al fiume Brembo, terrorizzando i contadini, fino all'arrivo del nobile cavalier S. Giorgio che avrebbe riportato pace e serenità in seguito alla sua uccisione. In ricordo di questa vicenda la chiesa mostra agli increduli la preziosa costola cosicché si possa ringraziare il prode guerriero. La sconfitta del drago è vista come la sconfitta del "Diavolo", come la vittoria del bene sul male, motivo questo del perché San Giorgio è collegato a San Michele arcangelo che uccide "la Bestia" nell'Apocalisse, sempre con una lancia. Il Cristianesimo ortodosso è molto legato alla figura di San Giorgio, mentre San Michele è una figura più "occidentale". Che siano la stessa "persona" è avvalorato dal fatto che entrambi salvano una donna: San Giorgio soccorre la principessa rapita dal drago, San Michele difende la donna partoriente vista come Maria Vergine. Il fatto di mostrare la costola come elemento vero, reale, tangibile, suggestionava moltissimo il popolo, abituato a comprendere l'Antico e il Nuovo Testamento leggendolo direttamente dalle figure degli affreschi. Le reliquie dei Santi conservate nelle chiese erano fondamentali perché erano le uniche prove della loro esistenza: per non parlare degli strumenti della passione di Cristo. Era difficile non essere spaventati da un'autentica costola gigantesca, sopra i propri occhi, perché in questo caso c'era di mezzo la Bestia, l'essere mostruoso, il Demonio. Insomma si giungeva a una sola conclusione... che il male esisteva veramente!
A poche centinaia di metri un ponte che pochi conoscono: il Ponte del Diavolo o del Tarchino. Il nome con cui è chiamato nei documenti antichi è “pons sancti tomei”, perché si trova nella valle sotto la rotonda di S. Tomè. In tempi abbastanza recenti iniziò a essere denominato Tarchì, dal nome del proprietario di una casa poco distante. Fu costruito per permettere alla via militare romana della Rezia di superare la valle scavata dal torrente Tornago, da cui anche “pons Tornagi”.
Santa Caterina: sopra l'arco del presbiterio: la "Crocifissione" e le "Mistiche nozze di Santa Caterina"; sulla parete il racconto della vita della Santa in sei scene. |
San Giorgio: esterni dell'abside e della facciata. |
Vi sono diverse chiese che conservano questa particolarissima reliquia e non a caso sono sempre dedicate a San Giorgio. Esiste un'altra costola identica a questa all'interno del vicinissimo Santuario della Natività della Beata Vergine, che sorge sul colle di Sombreno, a pochi chilometri da qui. Appeso al soffitto della chiesa, in posizione quasi centrale prima dell’altare, è possibile vedere un enorme osso, quasi sicuramente una costola di animale, lunga circa 1,80 metri: essa dovrebbe essere appartenuta allo stesso animale mitologico. Alcune interessanti leggende raccolte e archiviate nel Santuario di Sombreno narrano di un pericoloso drago che seminava morte e distruzione nelle aree circostanti, fino a quando un giovane e coraggioso cavaliere, il cui nome è rimasto sconosciuto, affrontò e finalmente uccise l’enorme bestia: fatta a pezzi, egli donò alcune parti alle diocesi locali. Le cronache narrano che il bellicoso drago sorgeva ogni notte dalle acque dello scomparso lago (o mare) di Gerundo e attaccava i villaggi circostanti. Questa estesa zona paludosa era compresa pressappoco tra Milano, il Po e l’Adda ed è sopravvissuta sino agli inizi del XIX secolo le cui tracce stratigrafiche sono state, non da molti anni, individuate dai geologi durante alcuni scavi. Della costola e della struttura osteologica s’interessò il professor Enrico Caffi, cui è dedicato il Museo di Storia Naturale di Bergamo, che volle classificarla come appartenente a un mammut preistorico.
San Giorgio: tra le varie scene della Passione di Gesù spicca il "San Giorgio e la Principessa" del sec. XIII. |
Anche le “voci” che vengono dagli Almenni dicono che questo drago sarebbe vissuto in queste zone, con la tana vicino al fiume Brembo, terrorizzando i contadini, fino all'arrivo del nobile cavalier S. Giorgio che avrebbe riportato pace e serenità in seguito alla sua uccisione. In ricordo di questa vicenda la chiesa mostra agli increduli la preziosa costola cosicché si possa ringraziare il prode guerriero. La sconfitta del drago è vista come la sconfitta del "Diavolo", come la vittoria del bene sul male, motivo questo del perché San Giorgio è collegato a San Michele arcangelo che uccide "la Bestia" nell'Apocalisse, sempre con una lancia. Il Cristianesimo ortodosso è molto legato alla figura di San Giorgio, mentre San Michele è una figura più "occidentale". Che siano la stessa "persona" è avvalorato dal fatto che entrambi salvano una donna: San Giorgio soccorre la principessa rapita dal drago, San Michele difende la donna partoriente vista come Maria Vergine. Il fatto di mostrare la costola come elemento vero, reale, tangibile, suggestionava moltissimo il popolo, abituato a comprendere l'Antico e il Nuovo Testamento leggendolo direttamente dalle figure degli affreschi. Le reliquie dei Santi conservate nelle chiese erano fondamentali perché erano le uniche prove della loro esistenza: per non parlare degli strumenti della passione di Cristo. Era difficile non essere spaventati da un'autentica costola gigantesca, sopra i propri occhi, perché in questo caso c'era di mezzo la Bestia, l'essere mostruoso, il Demonio. Insomma si giungeva a una sola conclusione... che il male esisteva veramente!
San Tomè: l'interno del presbiterio e la "Madonna del Giglio". |
A poche centinaia di metri un ponte che pochi conoscono: il Ponte del Diavolo o del Tarchino. Il nome con cui è chiamato nei documenti antichi è “pons sancti tomei”, perché si trova nella valle sotto la rotonda di S. Tomè. In tempi abbastanza recenti iniziò a essere denominato Tarchì, dal nome del proprietario di una casa poco distante. Fu costruito per permettere alla via militare romana della Rezia di superare la valle scavata dal torrente Tornago, da cui anche “pons Tornagi”.
Attraverso
questo ponte, perciò, la via Bergomum-Comum
(Bergamo-Como) giungeva nella località ora denominata “agro di Almenno”, nei pressi dell’area dell’attuale chiesa di San
Tomè (sorta su un luogo di sepoltura pagano del I secolo d.C.). Secondo gli storici, in origine
esisteva un viadotto costruito in legno, sostituito in epoca romanica da quello
attuale, con struttura di età medievale, in conci ben squadrati, con arco a
perfetto semicerchio impostato sulle sponde. La sua dislocazione in mezzo alla
vegetazione selvaggia ha dato vita a diverse leggende, tra cui quella che
nell’orrido sottostante si apra un accesso all’inferno: da qui anche il nome
Ponte del Diavolo.
Termino con
un po’ di paura e con due citazioni che ci riguardano: “Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini” (Karl
Kraus) - ”Se il diavolo non esiste, ma
l’ha creato l’uomo, credo che egli l’abbia forgiato a propria immagine e
somiglianza” (Fëdor Dostoevskij).
Così sia!
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