13 OTTOBRE 2019
GIORNATA D'AUTUNNO
"Maurizio Gervasoni" - Roncobello
Si tratta di un piccolo edificio seicentesco costruito da un corpo principale, al cui interno si trovano un mulino per farine e un torchio per noci, e da un piccolo locale adibito a caseificio.
Esistente almeno dal 1550, ha ospitato un maglio, e poi contemporaneamente un torchio per la spremitura delle noci, un mulino per le farine, un forno per il pane e una casera. Dall’attività di questi opifici decine di comunità della Valle Brembana hanno ricavato per secoli i beni della propria sussistenza: farina gialla e bianca, miglio, olio da alimentazione e per l’illuminazione, formaggio e pane. Quassù arrivavano da tutta la valle per far macinare farine e spremere noci, miste sovente a nocciole.
Dopo secoli di attività le ruote del mulino e il torchio che schiacciava le noci erano fermi, il locale della casera pericolante e i muri dell’edificio crepati. Il progetto del FAI ha recuperato e restaurato l’edificio e i suoi meccanismi, affinché la preziosissima memoria storica in esso custodita non andasse perduta. Tutto però, all’interno, sembra rimasto come una volta. Quasi che l’ultima persona che ha fatto funzionare quei delicati attrezzi sia uscito una sera senza sapere di dover rientrare mai più: le ruote del torchio e la macina sono capaci ancora di girare, gli attrezzi del maglio e del mulino “appoggiati” nelle cassette, ovunque recipienti, pezzi e ricordi di un tempo ormai perduto. L’ultimo che aveva fatto girare il mulino per ricavare farina gialla a uso domestico era stato Maurizio Gervasoni, membro della famiglia che da secoli aveva la proprietà del torchio.
Per arrivare al torchio-mulino scendeva dalla località Oro di Baresi. L’ultima casa è proprio quella della famiglia Gervasoni che dall’alto sembra custodire e vegliare sul mulino. Dall’abitazione si scende per 200 metri di sentiero raggiungendo così l’antico edificio che ospita il torchio, immerso nella Valsecca. Alcune piante di noci vicino al sentiero ricordano l’attività che era svolta nel torchio. Oggi una comoda strada, in autunno è favolosa, porta fino a 400 metri dalla struttura. Sopra l’ingresso un affresco: una Madonna con bambino che tiene in mano una specie di anfora (forse contenente olio) mentre a destra è raffigurato un albero di noce. Dentro non c’è nessuna finestra che lasci entrare uno spiraglio di luce; è buio pesto, rotto solo dalla lampada che permette di vedere un vero e proprio tesoro per la storia rurale. Il mulino per la farina, con le due macine di pietra perfettamente funzionanti, porta la data del 1674; ci sono ancora setacci, palette e contenitori pronti all’uso. In fondo all’edificio quello che molto probabilmente era il forno per il pane. Ma il pezzo più importante dell’intero complesso è sicuramente rappresentato dal torchio per le noci: un complicato sistema di ruote (quella grossa e verticale, che dava il via al sistema mosso da un uomo che vi camminava all’interno) consentiva di ottenere olio di noce, utilizzato come alimento oppure per l’illuminazione, e i panetti, ricavati dalle noci, servivano per l’alimentazione dell’uomo o degli animali. Sul grosso legno che sorregge la vite mobile del torchio è riportata la data del 1672. Nel resto dell’edificio ci sono pezzi di ruote in pietra o in legno, altri strumenti di lavoro, per il maglio o la macina. Una vera officina con tutto il necessario, ancora oggi, per poter ritornare a funzionare attivamente. Un locale adiacente al principale ospitava invece una casera: ci sono gli attrezzi per la lavorazione del latte e del burro, varie vecchie arnie con le cellette delle api,... All’esterno la ruota principale del mulino è ancora utilizzabile tramite il canaletto che portava l’acqua dalla valle vicina.
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