Edoardo, Ezio e Galdino
Alùra? Gh'è mia mal!
Alùra? Gh'è mia mal!
“A chi per patria ha il vento,
i boschi, le nuvole e l’acqua dei fiumi.
A chi per patria ha l’alba,
il tramonto e il cielo stellato.
A chi per patria ha la giustizia e la fedeltà”.
Tratto dalla trilogia SENZA PATRIA
(L’anima della frontiera, 2017 - L’ultima patria, 2018 - La terra promessa, 2019)
di Matteo Righetto - Mondadori - 2021
Il percorso parte da Linzanico, un borgo incantevole posizionato in quel di Abbadia Lariana, dove il paesaggio si trasforma in una tela vivente, dipinta con i colori intensi dei boschi rigogliosi e l’armonia dei prati fioriti. Inizio una gara tra me e la mia ombra. Ma non c’è gusto, per quanto cammino con passo abbastanza svelto, l’altra è sempre in testa. Mi fermo a prendere fiat …no, non sto parlando della macchina… Mentre si procede il sentiero diventa un concerto, con la varietà della flora che si mescola ai canti degli uccelli, creando un’atmosfera magica, quasi sospesa fuori dal tempo. Il bosco intorno a noi cambia colore e profumi. Ogni tanto gli estenuanti picchiettii prodotti dal becco del picchio nero annuncia la nostra presenza a tutti gli animali del bosco. Il martellante picchiettio del suo becco lo rende facilmente individuabile, e infatti lo scorgiamo. Era aggrappato al tronco di un faggio, a una decina di metri di altezza. E’ di un nero lucido, con la parte superiore della testa rossa e il becco color avorio. Camminiamo e finalmente arriviamo a pochi passi da una pozza d’acqua verde, profonda un paio di metri. Avvertiamo il suono del ruscello e il tonfo scrosciante della sua piccola ma alta cascata. Ci fermiamo ad ascoltare a occhi chiusi il meraviglioso fragore dei suoi flutti, mentre un pulviscolo d’acqua gelida si solleva dalla corrente e ci bagna i visi arrosasti dal sudore, dal vento e dal sole, offrendoci un piacevole refrigerio. In quel frastuono costante ci pervade una strana suggestione, una strana sensazione: siamo diventati sordi, non sentiamo più niente. Si sono nascosti tutti i rumori cattivi del mondo, comprese le grida di dolore e i pianti disperati delle persone. Ci sediamo su un grosso masso di ghiandone: prendiamo dallo zaino un coltello, un po’ di pane vecchio e della soppressa. Affettiamo il porcino raccolto poco prima e ficchiamo tutto insieme dentro il tozzo di pane. Estraggo dallo zaino una manciata di tabacco triturato e tre foglie di betulla. Arrotoliamo i riccioli di tabacco trinciato delle foglie, le lecchiamo e infine le accendiamo, tenendo gli occhi chiusi e aspirando con voluttà il fumo azzurro densissimo che mandava un forte aroma. Dopo due tiri: ”Ho le gambe dure e indolenzite, la schiena a pezzi e il culo ammaccato e insensibile per la scivolata (e relativo ruzzolone) sul terreno del sottobosco ricoperto di foglie secche”. Mi rispondono: “Gran bella giornata, diversa dalle altre”. Vero! “E adesso l’acqua santa” dico attaccando la bocca al bottiglione di grappa. Scoppiamo a ridere. Sul sentiero del ritorno il canto degli uccelli ci fa stare bene, così come il contatto con gli alberi. Ogni tanto abbraccio un castagno centenario e lo stringo forte, attaccandomi più che posso alla sua corteccia dura. Ne ricavo forza e serenità, una scossa, come avessi dato un morso ad una susina acerba. Il sole sta tramontando sul mondo, sul mondo ogni giorno uguale a se stesso, sul solito mondo.
Il tempo trascorso all’aria aperta, in mezzo alla natura, fa bene al cuore e all’anima.
Ma ti posso assicurare che il passare delle ore nel verde è anche carburante pulito per il cervello.
P.S.: nel leggere queste mie righe avrai ben capito che l’ossigeno che ho respirato era …troppo puro!
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