7. LA BRIGATA "CACCIATORI DELLE ALPI 2° DIO SCIATORI"
ERCOLE PEDRETTI il partigiano caduto per la Libertà
SIAM SEMPRE PARTIGIANI
Organizzare delle bande armate in montagna non fu per niente
facile: dopo l’8 settembre del 1943 si radunarono, oltre ad anti-fascisti in
fuga dai campi di prigionia, molti renitenti alla leva della Repubblica Sociale
Italiana. Ragazzi di 17-20 anni, che erano nati sotto il Fascio e,
semplicemente, fuggivano l’idea di combattere ancora.
Così con difficoltà, in alta Valle Brembana, si formò nell’autunno del 1943 la banda “Carlo
Pisacane”, guidata da Ettore Tulli, che ebbe vita brevissima: fu dispersa
durante un rastrellamento nell’ottobre dello stesso anno.
Nella primavera del 1944 si costituì un’altra formazione, la
brigata “Cacciatori delle Alpi”, legata a Giustizia e Libertà, voluta da Mino
Bartoli e Augusto Cerea, due partigiani ex alpini. Il riferimento patriottico
del nome mantiene una sua doppia anima: l’una alta, risorgimentale,
garibaldina; l’altra da ricollegare invece al gergo degli alpini e al loro
spirito di corpo. Il 2° Dio è il 2° Artiglieria di montagna da cui proveniva il
comandante della formazione.
Essa poteva contare su una trentina di elementi locali, disertori o renitenti, e aveva il suo raggio d’azione sui monti che fanno da corona a Foppolo, Valleve, Carona e Branzi. La formazione perse però dopo poco tempo sia Bartoli che Cerea, ridotti in fin di vita dai fascisti a Milano dove si trovavano alla ricerca di armi e attrezzature da montagna. Per futili questioni, ben presto nacquero gravi contrasti con i garibaldini valtellinesi, che sfociarono in uno scontro aperto nella notte tra il 17 e il 18 agosto a Carona con tre vittime: Sandro Mascheroni, comandante provvisorio dei Cacciatori, Venturino Giudici e Fulvio Berera.
Essa poteva contare su una trentina di elementi locali, disertori o renitenti, e aveva il suo raggio d’azione sui monti che fanno da corona a Foppolo, Valleve, Carona e Branzi. La formazione perse però dopo poco tempo sia Bartoli che Cerea, ridotti in fin di vita dai fascisti a Milano dove si trovavano alla ricerca di armi e attrezzature da montagna. Per futili questioni, ben presto nacquero gravi contrasti con i garibaldini valtellinesi, che sfociarono in uno scontro aperto nella notte tra il 17 e il 18 agosto a Carona con tre vittime: Sandro Mascheroni, comandante provvisorio dei Cacciatori, Venturino Giudici e Fulvio Berera.
Boario di Gromo, marzo 1945 - Da sinistra: Goggi, Fasana, Castelli, Bartoli, De Vecchi. |
Dopo un periodo di sbandamento, a rimettere in piedi la
formazione fu lo stesso Bartoli, sfuggito rocambolescamente ai tedeschi dall’ospedale
di Niguarda dove era ricoverato e tornato in alta Valle ancora convalescente. Bartoli
ed Ercole Pedretti effettuarono un audace colpo in banca a Rovetta in Val
Seriana e con il ricavato si procurarono il necessario per stabilirsi nella
zona dei Laghi Gemelli dove furono raggiunti, per trascorrervi l’inverno, anche
dai partigiani della Val Taleggio che avevano seguito “Mario” Paganoni e dai
superstiti dell’eccidio di Cornalba.
In luglio sul Monte Madonnino, nei pressi del rifugio Calvi,
cadde un aereo da bombardamento canadese con cinque militari, tutti morti
nell’incidente. I mesi successivi trascorsero senza fatti notevoli;
sopraggiunto l’inverno, i “Cacciatori delle Alpi”, di stanza ai Laghi Gemelli,
non smisero mai di compiere azioni di disturbo.
Ma non si interruppe nemmeno la repressione nazi-fascista
che costrinse gran parte dei partigiani a trovare provvisorio rifugio qua e là
e provocò altre vittime tra cui Ercole Pedretti, sorpreso e ammazzato dai
fascisti fuori dalla sua casa a Branzi il 22 gennaio 1945.
Il 2 marzo 1945 i “Cacciatori delle Alpi” attaccarono il
presidio della G.N.R. di Branzi ma l’operazione ebbe un finale drammatico. Dopo
la fucilazione, da parte dei partigiani, del commissario prefettizio di Carona
Ernesto Riceputi, accusato di essere una spia, sopraggiunsero in forze le
Brigate Nere di Bergamo e Piazza Brembana e gli scontri si conclusero a Carona
con sette perdite da parte fascisti e tre partigiani: Enzo Pedrali “Morgan”, Battista
Zanga “Tino” e Mosè Piccardi “Spinassa”.
Questa fu l’ultima azione della brigata prima della
Liberazione, a cui partecipò attivamente.
Il comandante "Mino" Bartoli, il primo a destra. |
Tratti da alcuni articoli e dal libro “La zia nell’armadio” di
Giacomo Bartoli “Mino”:
“Il nostro scopo era quello di salvaguardare gli impianti
idroelettrici dell’alta Valle Brembana, nel timore che i tedeschi, prima
della fuga, li facessero brillare.
Infatti, pochi giorni prima della fine della guerra, ci fu
il tentativo di minarli, ma vennero respinti da un nostro assalto e gli
impianti furono salvi”.
“Il nostro armamento era rappresentato da vecchi fucili
della prima guerra mondiale e da poche mitraglie portatili, oltre agli Sten di
origine inglese.
Quindi molto leggero e poiché le munizioni dovevamo
risparmiarle al massimo le nostre azioni si riducevano a dei colpi di mano,
effettuati con la massima sorpresa”.
“Le migliori azioni sono state quelle in cui non abbiamo
sparato un solo colpo.
Ci sono comunque stati dei combattimenti, come nel caso
della battaglia di Branzi. Non potevamo minimamente pensare di occupare centri
abitati e tenerli, e tanto meno potevamo opporci ai cannoni del nemico”.
“Con le imboscate avremmo potuto eliminare molti più nemici,
con la conseguenza però che i paesi delle nostre basi, sarebbero stati
incendiati, con conseguenze per noi, incalcolabili”.
“La nostra presenza in montagna, con i nostri continui
disturbi, aveva soprattutto lo scopo di tenere molte truppe nemiche, impegnate
a presidiare i centri urbani, impedendo che fossero inviate al fronte”.
Renato Farina, in un articolo intitolato “Il partigiano
scomodo Mino Bartoli” scrive: “La sua è una storia bellissima: quella di un uomo
coraggioso…un Comandante partigiano alla testa di duecento uomini, sciatori
provetti nelle alte valli orobiche”.
La bandiera delle Brigate "Giustizia e Libertà". |
Ercole Pedretti, nato a Branzi nel 1920, abile sciatore e
appartenente alla squadra nazionale di discesa, si aggregò alla brigata
“Cacciatori delle Alpi” di Giustizia e Libertà nel giugno del 1944, assieme a
un gruppo di compaesani con i quali si era dato alla macchia nel mese
precedente.
Da quel momento il giovane sciatore prese parte alle principali azioni compiute dalla formazione guidata da Mino Bartoli in Alta Valle
Brembana, a cominciare dall’attacco al presidio fascista del Lago Venina, dove
la “Cacciatori delle Alpi”, senza nessuna perdita, riuscì a far prigionieri diciotto militi e a impadronirsi di un notevole carico di armi e munizioni.
Sempre Pedretti, che intanto aveva assunto il nome di
battaglia di “diavolo della montagna”, assieme al comandante Bartoli fu
protagonista dell’audace colpo all’agenzia di Rovetta della Banca Mutua
Popolare di Bergamo, allo scopo di procurarsi danaro per l’acquisto di
rifornimenti ed attrezzature logistiche in vista dell’inverno. Così Bartoli
ricorda l’avvenimento: “Partimmo, io ed Ercole Pedretti in sci dai Laghi Gemelli, un giorno che nevicava ed attraverso
il passo omonimo (molto pericoloso per le slavine) raggiungemmo Valcanale e
quindi Ardesio, il Colle Palazzo, Valzurio, il Monte Blum e finalmente Rovetta.
Entrammo in banca armati di pistola, visti da cinque militi della Brigata Nera
armati di mitra che però non ebbero il coraggio di affrontarci e che si limitarono
a telefonare a Clusone chiedendo rinforzi.
Infatti subito dopo la nostra operazione…bancaria…(ci
qualificammo come patrioti e che quanto prelevato sarebbe stato restituito a
fine guerra: rilasciammo un impegno scritto e mi risulta che in seguito sia
stato onorato), mentre affrontavamo il Monte Blum, arrivarono a Rovetta tre
camion gremiti di fascisti, i quali spararono nella nostra direzione e ci
seguirono anche dopo che avevamo superato la Valzurio. Rientrammo per la stessa
via ai Laghi Gemelli”.
Sfuggito alle azioni condotte contro la brigata dai fascisti
tra dicembre e l’inizio di gennaio, Ercole cadde durante il rastrellamento del
22 gennaio 1945 a Branzi.
Il partigiano Ercole Pedretti |
“… la Brigata Nera di
Piazza Brembana, comandata dal capitano Bondioli (buon alpinista e perfetto
conoscitore delle montagne bergamasche : aveva attrezzato i suoi uomini, una
cinquantina, con gli sci e quindi era in grado di darci una caccia spietata),
si portò nella zona di Branzi. L’azione fu condotta da due squadre guidate
rispettivamente dai tenenti Bulzinetti e Tringali e forti di una quarantina di
uomini. Nel pomeriggio, dopo aver perquisito gli alberghi Branzi e Monaci e
gli avventori delle osterie, i rastrellatori si misero alla ricerca di
partigiani nei dintorni del paese. Era sceso in paese dai Laghi Gemelli assieme
a Bartoli (Comandante della “Cacciatori delle Alpi”) e a Lino Oberti per
compiere alcune commissioni finalizzate a rilanciare l’attività della brigata
in vista dell’imminente ripresa della lotta. Nel tardo pomeriggio, al momento
di tornare in montagna, Pedretti chiese il permesso di recarsi alla propria
abitazione, per aggiustare la porta di casa danneggiata dai rastrellatori
(…altrimenti corro il rischio che mi portino via tutto) e, pare, a recuperare
un’arma e delle munizioni che vi aveva nascoste.
Al momento di ripartire fu però sorpreso dall’arrivo dei
fascisti i quali, appostati sul ponte Redorta e sulla mulattiera adiacente,
aprirono il fuoco su di lui che cercò di mettersi in salvo risalendo il
torrente in direzione di Valleve come aveva fatto già altre volte: ma lo
aspettavano al varco. Benché ferito gravemente, Ercole rispose al fuoco e ferì
uno degli assalitori, ma poi dovette soccombere: ai militi disse che preferiva
morire piuttosto che cadere nelle loro mani.
Fu crivellato di colpi e abbandonarono nel greto del
torrente della Val Liffa, poco a monte
del ponte Redorta”.
I partigiani, avvisati dell’attacco, scesero a Branzi e
costrinsero i fascisti a lasciare il paese. Nel frattempo il parroco, avvertito
da una sentinella repubblichina della morte di Ercole e seguendo le indicazioni
di questa, si mise alla ricerca del caduto, aiutato da diverse persone del
paese che, con le lanterne da minatore, risalirono la valle seguendo le
impronte lasciate nella neve.
Trovarono il corpo del partigiano esanime sulla neve, ad una
curva della strada, seminascosto in un cespuglio dove si era impigliato quando
i nazisti lo avevano gettato dall’alto nel torrente. Caricato su una scala a
pioli, fu portato nella camera mortuaria del cimitero dove fu raggiunto dai
compagni partigiani.
Ercole Pedretti era il più bravo sciatore nella Bergamasca e
un partigiano coraggioso, la sua scelta di unirsi alla brigata “Cacciatori
delle Alpi” non fu dettata da interessi personali, ma dal solo desiderio di
dare il proprio contributo alla lotta per la libertà.
Nessun commento:
Posta un commento