UOEI Bergamo 11 agosto 2019
FAVOLOSA, FANTASTICA, MERAVIGLIOSA, SPLENDIDA, STUPENDA, GRANDIOSA,
ECCEZIONALE, STRAORDINARIA, INCREDIBILE, SPETTACOLARE, STUPEFACENTE
Il rifugio Roberto Bignami all'alpe Fellaria m2401, edificato nel 1957, è situato in una posizione splendida: una balconata che offre un colpo d'occhio incomparabile sulla vedretta di Fellaria orientale. L’alpe Fellaria (o Fellerìa) è uno dei più alti alpeggi alpini posta a 2400 metri. Il suo centro è posto in un piccolo avvallamento che pone le baite al riparo dai venti che spirano dai ghiacciai omonimi. Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso era caricata da una decina di famiglie con una settantina di capi che salivano fin qui dopo aver sostato nei sottostanti alpeggi di Campomoro e di Gera, prima che gli attuali invasi li sommergessero. Lo sperone sul quale è posto il rifugio si innalza sulla grande conca della diga di Gera, il grande sbarramento idroelettrico che occupa la parte alta della valle di Campomoro. È stata costruita fra il 1960 ed il 1965 nella piana che prima ospitava l’alpe di Gera, ed è una delle più grandi d’Italia. La sua muratura ha un’altezza di 110 metri e si impone quindi prepotentemente allo sguardo di chi raggiunga la piana di Campomoro (a sua volta occupata da uno sbarramento più basso e meno capiente, la diga di Campomoro). La diga di Gera può contenere 65 milioni di metri cubi d’acqua.
Dopo
aver attraversato le impressionanti gallerie scavate nei roccioni strapiombanti
della Val Lanterna raggiungiamo Campo Franscia e concludiamo la salita in pullman
in valle di Campomoro, dove si trovano i due grandi sbarramenti delle
dighe di Campomoro m1965 e Gera m2175. Guadagnata la sommità della diga ci incamminiamo
su un comodo sentiero, che effettua una lunga diagonale sul fianco orientale
del Sasso Moro e sul versante
di pascoli e rocce, raggiungendo, dopo un tornante nel punto finale,
il rifugio Bignami dopo circa un'ora e mezza di cammino (il dislivello
è di 440 metri). Da qui, oltre al panorama già contemplato, si aggiunge la
possibilità di gettare uno sguardo sul vallone terminale della val Lanterna,
dove si riversano fragorosamente tre grandi cascate che scendono dalla vedretta
di Fellaria.
“Sandro,
vado a fare un pezzo del sentiero glaciologico. A che ora è la partenza dal
rifugio?”.
“Alle
14.00…facciamo alle 13.30…se arriva il temporale prima!”.
Dal rifugio Bignami intraprendo così una seconda interessante e
poco impegnativa escursione, quella del sentiero glaciologico Luigi Marson, professore
al Regio Istituto Tecnico di Sondrio e membro della Società Geografica
Italiana, appassionato studioso delle Alpi, che effettuò esplorazioni di
carattere naturalistico, geomorfologico e meteorologico tra la fine dell'800 e
l'inizio del '900 in territori allora ancora sconosciuti. Fu il primo ad
osservare diversi ghiacciai in Valmalenco, tra cui quelli di Cassandra, del
Disgrazia-Sissone, della Ventina, di Scerscen, dello Scalino e di Fellaria. Ed
è proprio quest'ultimo a costituire lo scenario che il sentiero ci permette di
cogliere in tutto il suo fascino ancora possente. Esso è oggi costituito da due
corpi chiamati vedretta di Fellaria occidentale ed orientale, storicamente
trattati come ghiacciai separati, ma che si univano in passato in una lingua
valliva comune. Il Fellaria ha il suo nucleo centrale nell'altopiano omonimo,
un bianco lenzuolo ghiacciato quasi pianeggiante che si estende, in buona parte
in territorio italiano, dai 3400 metri in su, sotto le imponenti creste dei
Pizzi Palu, Argient e Zupò e del Bellavista, per poi diramarsi in tre colate,
quella occidentale, raggiunta dall'itinerario del sentiero glaciologico, quella
orientate e l'elvetica Vadret da Palù.
I sentieri sono tre. Agli storici sentieri A e B si è aggiunto, dal 2017, il sentiero C, che traversa il neolaghetto glaciale ai piedi della Vedretta di Fellaria orientale. Con il tempo (sempre tiranno per la UOEI) scelgo il sentierio B. Nel primo tratto il sentiero coincide con l'itinerario che dal rifugio Bignami sale alla bocchetta di Caspoggio. Mi incammino e oltrepasso le baite dell’alpe Fellaria. Attraverso l’ononimo torrente su un ponte di legno e, risalito sul lato opposto, arrivo dove parte il sentiero glaciologico. Superato un secondo torrente, trovo, su un grande masso m2430 metri, l'indicazione di un bivio: il sentiero Marson si divide, qui, nei due rami denominati "A" (di sinistra) e "B" (di destra). Seguo il secondo, che prosegue diritto, salendo, in direzione nord, fra magri pascoli annegati in una colata di massi. Terminata la salita, taglio il fianco montuoso sul quale incombenti roccioni scaricano abbondanti sfasciumi, e giungo in vista di una lunga morena, posta sul limite occidentale del grande bacino un tempo interamente occupato dal ghiacciaio. Intuisco subito che la morena sia stata formata dalla forza del lato occidentale del ghiacciaio, che agì come un immane caterpillar. Ma...il Generale Tempo ha i suoi comandanti nei nostri coordinatori e perciò…devo tornare a ritroso sui miei passi.
Qui una targa m’illustra la natura del ghiacciaio. Le morene sono state formare dall’avanzata dei ghiacciai, che, con un’azione paragonabile a quella di una ruspa, hanno eretto queste grandi colline di detriti sui loro lati. L’ultima avanzata del ghiacciaio di Fellaria risale alla piccola età glaciale compresa fra la metà del secolo XVI alla metà del secolo XIX. Tale avanzata portò il ghiacciaio fino alla piana ora occupata dal grande invaso artificiale di Gera. Iniziò poi una progressiva ritirata: agli inizi del Novecento le due grandi seraccate della parte orientale ed occidentale del ghiacciaio erano ancora unite, ma si divisero negli anni Trenta, ed ora presentano fronti nettamente separati. Con uno sforzo di immaginazione posso ricostruire lo scenario del ghiacciaio nella sua massima imponenza, quando, dal punto in cui sono, si poteva accedere direttamente al ghiacciaio ed attraversare l’intera valle. Guardando verso nord, posso vedere quanto resta dell'imponente lingua del ghiacciaio; in alto, occhieggiano i possenti corni gemelli dei pizzi Argient e Zupò.
Dal ghiacciaio scendono le imponenti cascate di Fellaria. Nella traversata trovo l'indicazione della posizione della fronte del ghiacciaio in diverse date. Osservando di quanto si elevi rispetto alla mia posizione la morena laterale, posso immaginare quanto fosse profondo l'oceano di ghiaccio che un tempo era l'incontrastato signore di questi luoghi. Ora ha dovuto cedere buona parte della sua signoria alle rocce ed alle acque. Le rocce mostrano, lungo il sentiero, le forme più diverse, ma sempre arrotondate. I diversi torrentelli che le solcano, con percorsi sinuosi e vari, intonano melodie cristalline, quasi pregustando la gioia del vertiginoso salto cui le loro acque sono destinate quando giungono alla soglia del salto che le porterà ad infrangersi al limite superiore della conca di Gera.
L'anello dei due rami del sentiero comporta un dislivello abbastanza contenuto (m260 circa) ed un tempo approssimativo di 2 ore e mezza. Molti pannelli informativi mi accompagnano ma…avere il tempo di leggerli!
Dopo
una tranquilla “schiscetta” con birra riprendiamo il cammino di ritorno passando
dall’altro lato del lago di Gera. Dal pianoro sul quale è posto la bignàmi con,
non mi stancherò mai di dirlo, la magnifica vista sulla vedretta di Fellaria
orientale, che cade nel ripiano inferiore con impressionanti seracchi, scendiamo
al livello del lago, imboccando il “sentiero dei sette ponti” che ci aiuteranno
a superare i diversi torrentelli che alimentano il lago. Si tratta di un percorso
alternativo e più lungo di accesso al rifugio, rispetto a quello classico. Non
mi ricordo se vi ho detto che dal ghiacciaio scendono tre grandi cascate: quella
orientale, quella centrale e quella occidentale? Comunque si uniscono in un grandioso
ultimo salto nelle vicinanze del lago che genera uno spettacolo
di forte impatto emotivo. Oggi camminiamo a notevole distanza dal ghiacciaio,
che però fa intuire la sua presenza ancora potente alimentando i torrentelli,
la cui portata non è insignificante.
Raggiungiamo,
con un tratto in salita, l'alpe Gembrè m2224. L'alpe è interessante per la
struttura delle 15 baite, alte, al centro, quanto una persona, coperte di
lastroni di pietra, con il focolare in un angolo ed un rialzo per i pagliericci. Ma è tempo di proseguire: attraversando le baite dell’alpe e lasciate
queste alle spalle, scendiamo bruscamente
per diverse decine di metri, riavvicinandosi al bacino artificiale. Dopo essere
passati sotto un impressionante artiglio roccioso lungo una pista sterrata intagliata
nel fianco della montagna, iniziamo l’ultimo deciso strappo salendo in val Poschiavina (da non
confondere con la più ampia Valle di Poschiavo, in territorio elvetico) per poi
scendere bruscamente per diverse decine di metri, riavvicinandosi al bacino artificiale.
Se il Signore vuole…siamo arrivati alla diga!!
Dal romanzo "Chesil Beach" di Ian McEwan (2007), un piccolo tributo a un bellissimo blog:
RispondiElimina"Era una giornata calda e umida di fine maggio; Edward e il padre stavano in piedi sotto l’olmo grande. Dopo giorni e giorni di pioggia, nell’aria pesava il rigoglio dell’estate imminente – il baccano di uccelli e insetti, il profumo dell’erba tagliata e disposta in file sul prato davanti a casa, il vigoroso intrico impaziente del giardino che quasi si confondeva con la fascia di bosco al di là della staccionata, il polline che offriva sia al padre che al figlio il primo assaggio stagionale di febbre da fieno e, nella brezza leggera, il tappeto d’erba chiazzato di piastrelle mobili d’ombra e di sole".
Ti ringrazio... con una frase di Victor Hugo:"Fate come gli alberi: cambiate le foglie, ma conservate le Radici. Quindi, cambiate le vostre idee ma conservate i vostri principi".
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