EDO, GALDI & zio MAURI
Punto
di partenza: Sueglio, laghetto di Artesso.
Dislivello
e tempo di percorrenza: m260 da Artesso
m1209 al rifugio Roccoli Lorla m1463 (1 ora) e altri m260 dal rifugio al
Legnoncino m1714.
La prima parte dell’escursione prevede una visita alle
fortificazioni presenti sul crinale a monte del laghetto di Artesso, minuscolo
e grazioso bacino artificiale ricavato, un tempo, per abbeverare i numerosi
capi di bestiame che qui monticavano. Si tratta di sei postazioni blindate per
mortai da 210 mm, poste in avvallamenti riparati dal crinale di cresta e da una
copertura in calcestruzzo.
A valle delle cannoniere si trovava una linea
difensiva di trincee direttamente affacciata sul Pian di Spagna, all'incrocio
fra Valtellina e Valchiavenna.
Ritornati presso il laghetto dobbiamo imboccare la
mulattiera che risale il pendio antistante. Si arriva ben presto sul dosso dove
sorgono il Roccolo di Artesso. Con ancora alcuni tornanti si perviene al
Rifugio Bellano disponibile però solo per i soci del Gruppo Escursionistico
Bellano.
Riprendendo la salita, lungo il sentiero che prosegue
dal rifugio, troveremo altre trincee molto ben conservate che corrono a valle
del tracciato. A monte del sentiero si trovano, invece, alcuni ricoveri scavati
nella roccia. Con belle vedute sul fondovalle e una piacevole passeggiata nel
bosco il sentiero conduce agevolmente e, con poca fatica, all'ampia sella dei
Roccoli Lorla.
Poco prima della sella parte, a destra, una sterrata, anche questa ex strada militare, che è la via da seguire per arrivare in cima al Legnoncino.
Fra larici e abeti, il tracciato guadagna quota e, con alcuni tornanti, termina nei pressi della chiesetta di San Sfirio (anche qui troviamo tracce di postazioni militari). Dalla chiesa si prosegue per facile ed aperto crinale fino al cippo di vetta e alla croce che lo fiancheggia.
Poco prima della sella parte, a destra, una sterrata, anche questa ex strada militare, che è la via da seguire per arrivare in cima al Legnoncino.
Fra larici e abeti, il tracciato guadagna quota e, con alcuni tornanti, termina nei pressi della chiesetta di San Sfirio (anche qui troviamo tracce di postazioni militari). Dalla chiesa si prosegue per facile ed aperto crinale fino al cippo di vetta e alla croce che lo fiancheggia.
La Linea Cadorna.
Le linee fortificate
della cosiddetta estesissima "Linea Cadorna" partiva dal Gran San
Bernardo e terminava in corrispondenza delle valli Malenco e Fontana, in
Valtellina. Tutta la zona lariana fu interessata dai lavori di quest'opera.
Approfondendo la storia della "Cadorna" scopriamo che nel caotico
girotondo di alleanze e voltafaccia che precedettero la Grande Guerra, eravamo
noi italiani a pensare ad un'invasione della Svizzera e non i tedeschi. Un
piano dello Stato Maggiore del 1912/14 prevedeva l'ingresso delle nostre truppe
in Svizzera per andare a dar manforte ai tedeschi eventualmente impegnati in
una guerra con la Francia. Nel 1917 le cose cambiarono e il generale francese
Fajalle e il nostro Cadorna, pensarono ad un'occupazione preventiva della
Confederazione per prevenire un eventuale attacco tedesco. Fra queste due date
la Svizzera fu oggetto di piani d'invasione tedeschi, per prendere alle spalle
francesi e italiani, e francesi, per aggirare da Sud le linee tedesche.
In questo caos, il paese di Guglielmo Tell risolse brillantemente la faccenda scoraggiando ogni velleità quando si dichiarò neutrale, ma pronto ad entrare in conflitto con chiunque avesse minacciato il suo "status". I lavori della "Cadorna" furono ufficialmente iniziati nel maggio del 1916 e si protrassero per tutta la durata del conflitto. I lavori erano condotti sia da personale militare, sia da imprese civili sotto la direzione del Genio del Regio Esercito. Si fece anche grande uso di manodopera locale, poco pagata, ma ben lieta di evitare l'impegno diretto al fronte. Purtroppo quest'ultima speranza cadde per molti con la sconfitta di Caporetto, allorché, per reggere all'urto delle armate Austro-Ungariche, fu necessario richiamare tutti al fronte. Le opere difensive erano costituite da osservatori con funzione sia di vedetta sia di calcolo per dirigere il tiro delle artiglierie. Vi erano poi le postazioni fisse che ospitavano grossi calibri di artiglieria disposti singoli o in batterie da due-quattro pezzi. Vi erano postazioni campali, mascherate e ricavate in avvallamenti al riparo dei crinali e invisibili al nemico; postazioni in casamatta, ospitate in finte dimore di calcestruzzo o in caverne; postazioni in pozzo, dove la cavità che ospitava il cannone era riparata da una cupola di ghisa e acciaio. Accanto alle postazioni d'artiglieria c'erano gli appostamenti con i nidi di mitragliatrici e di mortai e le postazioni per i fucilieri. Tutto il sistema era poi collegato in varia misura da trincee e camminamenti, oltre che da gallerie che comunicavano con le diverse postazioni nodali. Il personale militare era, quindi in grado di muoversi quasi sempre al coperto e protetto. Strade, sentieri e mulattiere, spesso dei veri capolavori talmente ben costruiti che sono ancor oggi usati, servivano al collegamento della linea con le retrovie e i magazzinamenti. Le postazioni del Legnoncino e del Legnone erano direttamente affacciate sul solco della Valchiavenna, temuta direttrice di un'eventuale invasione austro-tedesca passante dallo Spluga e dall'Engadina.
In questo caos, il paese di Guglielmo Tell risolse brillantemente la faccenda scoraggiando ogni velleità quando si dichiarò neutrale, ma pronto ad entrare in conflitto con chiunque avesse minacciato il suo "status". I lavori della "Cadorna" furono ufficialmente iniziati nel maggio del 1916 e si protrassero per tutta la durata del conflitto. I lavori erano condotti sia da personale militare, sia da imprese civili sotto la direzione del Genio del Regio Esercito. Si fece anche grande uso di manodopera locale, poco pagata, ma ben lieta di evitare l'impegno diretto al fronte. Purtroppo quest'ultima speranza cadde per molti con la sconfitta di Caporetto, allorché, per reggere all'urto delle armate Austro-Ungariche, fu necessario richiamare tutti al fronte. Le opere difensive erano costituite da osservatori con funzione sia di vedetta sia di calcolo per dirigere il tiro delle artiglierie. Vi erano poi le postazioni fisse che ospitavano grossi calibri di artiglieria disposti singoli o in batterie da due-quattro pezzi. Vi erano postazioni campali, mascherate e ricavate in avvallamenti al riparo dei crinali e invisibili al nemico; postazioni in casamatta, ospitate in finte dimore di calcestruzzo o in caverne; postazioni in pozzo, dove la cavità che ospitava il cannone era riparata da una cupola di ghisa e acciaio. Accanto alle postazioni d'artiglieria c'erano gli appostamenti con i nidi di mitragliatrici e di mortai e le postazioni per i fucilieri. Tutto il sistema era poi collegato in varia misura da trincee e camminamenti, oltre che da gallerie che comunicavano con le diverse postazioni nodali. Il personale militare era, quindi in grado di muoversi quasi sempre al coperto e protetto. Strade, sentieri e mulattiere, spesso dei veri capolavori talmente ben costruiti che sono ancor oggi usati, servivano al collegamento della linea con le retrovie e i magazzinamenti. Le postazioni del Legnoncino e del Legnone erano direttamente affacciate sul solco della Valchiavenna, temuta direttrice di un'eventuale invasione austro-tedesca passante dallo Spluga e dall'Engadina.
San Sfirio e i sette fratelli.
La gita termina sulla
vetta del Legnoncino nei cui pressi sorge la chiesetta dedicata a San Sfirio,
misterioso santo "endemico" della Valvarrone. Il Santo appartiene al
gruppo dei cosiddetti "sette fratelli" la cui leggenda si ritrova in
diverse versioni e in molte località alpine. Tutte le storie hanno, però, in
comune il fatto che questi fratelli scelsero di vivere in eremitaggio, ma in
località visibili fra di loro; e per comunicare reciprocamente il loro stato di
salute usavano far segnalazioni fra di loro con grandi fuochi. Il nome dei
"sette fratelli" varia da zona a zona e, a volte, anche all'interno
della stessa area. E' il caso del nostro Sfirio che, a seconda delle versioni
fu "fratello" di Amato, Fedele, Margherita, Eufemia, Ulderico, Miro,
Rocco, Gottardo, Bernardino, Eusebio, Iorio (Giorgio), Gerolamo, Grato,
Calimero, Defendente.
Se osserviamo una
cartina collegando con linee le chiesette di questi santi sparse sul
territorio, possiamo notare come tutte si trovino a sentinella di importanti
sbocchi vallivi.
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