17 marzo 2019
In
lungo il Cammino di Carlo Magno,
un itinerario che nasce dalla
leggenda.
Questo itinerario si sviluppa per circa 100 chilometri ed è diviso in cinque tappe. Prende il nome da un’antica leggenda che narra del passaggio di Carlo Magno in Val Camonica. Secondo la tradizione, il Re de Franchi attraversò tutta la valle e conquistò i castelli dei signori locali, costringendoli alla conversione; e, per celebrare le sue vittorie, l’Imperatore del Sacro Romano impero fece costruire numerose chiese, spesso sopra i ruderi dei castelli appena distrutti.
Il Cammino di Carlo Magno è di difficoltà media: parte da Lovere e termina a Ponte di Legno, vicino al Passo del Tonale. I 100 chilometri del percorso sono suddivisi, come detto, in cinque tappe: partendo da Lovere si attraversa il parco del Lago Moro. In seguito si passa per il parco delle incisioni di Foppe di Nadro e il parco delle Incisioni di Naquane.
Con la prima tappa, da Lovere a Boario Terme, ci si può immergere tra le vie medievali e visitare la Basilica di Santa Maria in Valvendra e il Castello di Gorzone. Cimentandosi nella seconda tappa, da Boario Terme a Breno, si ha la possibilità di scoprire i segreti dell’arte camuna. In particolare, ad Esine, è imperdibile una visita alla Chiesa di Santa Maria Assunta che racchiude una cappella del 1400 e conserva un intero ciclo affrescato dal pittore locale Pietro da Cemmo.
La terza tappa parte da Breno e finisce a Grevo. Passa attraverso le aree sacre degli antichi Camuni: luoghi ricchi di incisioni rupestri riconosciute come il primo sito italiano dell’Unesco. La quarta tappa è sicuramente quella più naturalistica: termina a Edolo, un centro medievale che rappresentava un importante crocevia tra il Passo del Tonale e il Passo dell’Aprica. La quinta e ultima tappa offre la possibilità di scoprire le chiese immerse nei boschi legate a Carlo Magno.
Il nostro Cammino di oggi parte da Rogno verso il Lago Moro, le Gole del Dezzo e termina a Boario Terme. Con le fotografie mi sono "concentrato" su due piccole meraviglie. il Lago Moro e la chiesa di San Silvestro. Le gole del Dezzo sono state molto deludenti!
Il lago Moro è di piccole dimensioni: il giro completo del lago si fa in 50 minuti, ha una larghezza di 320 m, una lunghezza di 820 m e tocca la profondità di 42 m. Le sue pareti di roccia quarzosa bruna rossastra sono ripide e scendono immediatamente in profondità, favorendo la colorazione piuttosto scura delle acque. Questa particolare morfologia è dovuta all’azione erosiva dei ghiacciai che hanno formato il lago.
Sulla sua origine le fonti sono discordanti: la tradizione orale parla di una presunta origine vulcanica, ma l’escavazione glaciale pare la tesi più attendibile. Non ha né emissari né immissari: è alimentato principalmente da sorgenti sublacustri di profondità. Il paesaggio è dominato da prati e boschi. Le acque del lago ospitano diverse specie di pesci, fra cui il persico, la tinca, il cavedano, la carpa e l’anguilla.
Il lago Moro in dialetto è chiamato lac de cuna. Una spiegazione ispirazione da una leggenda, secondo cui, nelle notti di luna piena, nel lago apparirebbe una culla. La storia popolare racconta, infatti, che in origine, al posto del lago, c’era una radura con due case: una abitata da una donna ricca e avara, l’altra da una donna povera e generosa. Un giorno un viandante bussò alla porta della prima donna chiedendo cibo, ma questa lo cacciò malamente. Bussò alla seconda porta e la donna povera gli diede da mangiare. Il viandante, quindi, disse a quest’ultima di fuggire, mentre fece cadere una maledizione sulla seconda. Poco dopo sulla radura arrivò una valanga che sommerse la casa della donna avara e di suo figlio, creando l’attuale lago. Da allora, dice la leggenda, nelle notti di luna piena si vede in fondo al lago una culla vuota e si ode il pianto del bambino.
La chiesa di San Silvestro domina alto sulla valle e sembra quasi riassumere in se tutta la fede della gente e la bellezza del poggio e della borgata che gli stanno ai piedi. Stupendo è in verità il panorama che lo circonda a ridosso delle alture che digradano verso la Valle Camonica. In fondo, nel vano della valle, la Presolana e il monte Altissimo. La struttura architettonica della chiesa è resa elegante da un portico ad archi con colonnette in vivo d'ordine toscano che dona alla chiesa una bellezza particolare. Al di sotto del loggiato la cripta.
Il fiume Dezzo sorge in Comune di Schilpario e sfocia nel fiume Oglio. Il fiume scorre in un alveo naturale il cui substrato è caratterizzato da alluvioni post-glaciali recenti, prevalentemente ghiaiose, e da morene fresche miste a detriti di falda, fino alla località Dezzo di Scalve. Qui s’incunea in una valle, tra rapidissime rive a strapiombo tipo canyon, costituite da Dolomia grigio-biancastra. A monte della località Dezzo di Scalve, le rive sono costituite da fustaie miste tipo abete e larice, con sottobosco di faggio, nocciolo, betulla e fasce di prati pascoli. A valle della suddetta località non esiste pressoché' vegetazione in quanto, incanalandosi nel canyon, oltre a sporadici tratti, predomina la nuda roccia. La bellezza naturale del torrente, non può far dimenticare la tragedia che ha coinvolto e distrutto questi luoghi incantati.
Il disastro del Gleno fu causato dal cedimento strutturale della diga del Gleno l’1 dicembre del 1923. In quel tragico giorno il manufatto crollò, causando un'immane sciagura che sconvolse la Valle di Scalve e la Valle Camonica. Attraverso la forra del Dezzo l'enorme massa d'acqua percorse lo stretto alveo montano carica di detriti e fango, portandosi via tutto quello che incontrava sul suo cammino.
Dallo sperone roccioso su cui sorge il castello di Gorzone si scopre, attraverso un precipizio, la forra del Dezzo caratterizzata da rive a strapiombo tipo canyon. Poco prima di entrare in territorio bresciano la valle si trasforma in una forra stretta e profonda. Questo tratto di circa 400m è particolarmente affascinante poiché scavato nella roccia viva di una forra, percorsa dall'impetuoso torrente Dezzo e serrata tra due pareti rocciose dalle quali scendono numerose cascate. La forra è resa particolarmente unica anche grazie alla sua posizione solitaria, che le permette di conservare nel tempo le sue tipicità ambientali anche grazie all’impossibilità di raggiungerla a piedi.
Sulla sua origine le fonti sono discordanti: la tradizione orale parla di una presunta origine vulcanica, ma l’escavazione glaciale pare la tesi più attendibile. Non ha né emissari né immissari: è alimentato principalmente da sorgenti sublacustri di profondità. Il paesaggio è dominato da prati e boschi. Le acque del lago ospitano diverse specie di pesci, fra cui il persico, la tinca, il cavedano, la carpa e l’anguilla.
Il lago Moro in dialetto è chiamato lac de cuna. Una spiegazione ispirazione da una leggenda, secondo cui, nelle notti di luna piena, nel lago apparirebbe una culla. La storia popolare racconta, infatti, che in origine, al posto del lago, c’era una radura con due case: una abitata da una donna ricca e avara, l’altra da una donna povera e generosa. Un giorno un viandante bussò alla porta della prima donna chiedendo cibo, ma questa lo cacciò malamente. Bussò alla seconda porta e la donna povera gli diede da mangiare. Il viandante, quindi, disse a quest’ultima di fuggire, mentre fece cadere una maledizione sulla seconda. Poco dopo sulla radura arrivò una valanga che sommerse la casa della donna avara e di suo figlio, creando l’attuale lago. Da allora, dice la leggenda, nelle notti di luna piena si vede in fondo al lago una culla vuota e si ode il pianto del bambino.
La chiesa di San Silvestro domina alto sulla valle e sembra quasi riassumere in se tutta la fede della gente e la bellezza del poggio e della borgata che gli stanno ai piedi. Stupendo è in verità il panorama che lo circonda a ridosso delle alture che digradano verso la Valle Camonica. In fondo, nel vano della valle, la Presolana e il monte Altissimo. La struttura architettonica della chiesa è resa elegante da un portico ad archi con colonnette in vivo d'ordine toscano che dona alla chiesa una bellezza particolare. Al di sotto del loggiato la cripta.
Il fiume Dezzo sorge in Comune di Schilpario e sfocia nel fiume Oglio. Il fiume scorre in un alveo naturale il cui substrato è caratterizzato da alluvioni post-glaciali recenti, prevalentemente ghiaiose, e da morene fresche miste a detriti di falda, fino alla località Dezzo di Scalve. Qui s’incunea in una valle, tra rapidissime rive a strapiombo tipo canyon, costituite da Dolomia grigio-biancastra. A monte della località Dezzo di Scalve, le rive sono costituite da fustaie miste tipo abete e larice, con sottobosco di faggio, nocciolo, betulla e fasce di prati pascoli. A valle della suddetta località non esiste pressoché' vegetazione in quanto, incanalandosi nel canyon, oltre a sporadici tratti, predomina la nuda roccia. La bellezza naturale del torrente, non può far dimenticare la tragedia che ha coinvolto e distrutto questi luoghi incantati.
Il disastro del Gleno fu causato dal cedimento strutturale della diga del Gleno l’1 dicembre del 1923. In quel tragico giorno il manufatto crollò, causando un'immane sciagura che sconvolse la Valle di Scalve e la Valle Camonica. Attraverso la forra del Dezzo l'enorme massa d'acqua percorse lo stretto alveo montano carica di detriti e fango, portandosi via tutto quello che incontrava sul suo cammino.
Dallo sperone roccioso su cui sorge il castello di Gorzone si scopre, attraverso un precipizio, la forra del Dezzo caratterizzata da rive a strapiombo tipo canyon. Poco prima di entrare in territorio bresciano la valle si trasforma in una forra stretta e profonda. Questo tratto di circa 400m è particolarmente affascinante poiché scavato nella roccia viva di una forra, percorsa dall'impetuoso torrente Dezzo e serrata tra due pareti rocciose dalle quali scendono numerose cascate. La forra è resa particolarmente unica anche grazie alla sua posizione solitaria, che le permette di conservare nel tempo le sue tipicità ambientali anche grazie all’impossibilità di raggiungerla a piedi.
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