10 marzo 2019
Rezzago: soltanto un piccolo paese nel cuore del triangolo Lariano? Nossignori: la natura, lassù, ha voluto essere generosa. Ci sembra di vederla, infinitamente saggia, sussurrare qualcosa al ghiacciaio dell’Adda, dal quale 20 mila anni fa sbucavano appena le cime più alte della zona, dal Bolettone al San Primo, e lasciarlo fare. La gigantesca colata di ghiaccio ce la mise tutta e, ai piedi della Colma del Piano, depositò dei potenti cordoni morenici, creando un anfiteatro dove oggi, oltre a Rezzago, sono adagiati Caglio e Sormano. Le morene, con i loro sassi erratici: talmente tanti, da queste parti, che sembrano piovuti dal cielo, come per fertilizzare il terreno. E in effetti, se a Rezzago esiste uno straordinario castagneto, 22 ettari (220.000 mq.!) con circa 2mila alberi, a valle del quale sono spuntati funghi sui generis, che nessuno si sognerebbe di abbinare a una polenta sia perchè di dimensioni esagerate sia perché fatti di…terra, il merito è dei “trovanti” giunti dalla Valtellina.
Il perché è presto detto: il castagno rifugge il calcare prediligendo terreni acidi e il Triangolo Lariano, dove il calcare regna incontrastato, in teoria sarebbe per l’albero zona vietata. Ma attenzione: dove il ghiacciaio ha lasciato le sue tracce (frammenti di granito e gneiss) il suolo è diventato acido permettendo ai castagneti di svilupparsi. Facciamo un ingresso, quasi solenne, nel fantastico castagneto. Che è un esercito di alberi, dove si cammina e si cammina, in dolce pendenza, lasciando che lo sguardo si inoltri in ogni direzione, alla ricerca di una successione di tronchi particolarmente regolare, musicale quasi. E par di essere sorvegliati, controllati da quelle creature che, chissà perché, sono quasi tutte numerate. I numeri, però, si ripetono e, terminata una “serie” di alberi sui quali si legge, ad esempio, “25”, ne comincia un’altra con un numero diverso. Come mai? Il suolo del castagneto è di proprietà comunale. Tuttavia, secondo un’antica consuetudine, lo “jus plantandi” le piante sono di proprietà di 74 rezzaghesi che, identificati da altrettanti numeri, ogni anno versano nelle casse del comune un contributo simbolico di 10 centesimi per albero.
Restano i “funghi”: come si sono formate quelle curiose strutture che si incontrano timidamente nascoste nel bosco? Osserviamole bene: il gambo non è altro che un amalgama di sabbia, ghiaia e piccoli massi, è tutto materiale morenico, mentre il cappello, nettamente distinto, è costituito da un masso erratico. In tempi remoti il pietrone era imprigionato nella morena ma, grazie all’azione delle acque meteoriche che hanno inesorabilmente eroso ciò che gli stava sopra, si è ritrovato a fare da efficace ombrello al materiale che, invece, si trovava sotto di lui. Detto questo la “fase due” è facilmente immaginabile: con la successiva demolizione esclusiva della morena attorno al masso-ombrello, esso si è ritrovato in cima ad una vera e propria colonna, formando un fungo dalla vita per nulla eterna. Proprio così: il gambo è fragile, il cappello pesa e gli agenti atmosferici non danno tregua per cui, prima o poi, arriva il momento del crollo. La vittima più recente è stato l’ex fungo numero 3: fino a pochi anni fa bello e slanciato, sicuramente il più fotogenico della famiglia (ora ridotta a due componenti ben formati e ad altri “in gestazione”), oggi non esiste più. Il fungo numero 2 appare, come per magia, nel bel mezzo di un valloncello, con alle spalle una parrete dalla quale si stanno “staccando” nuove formazioni: ci dà l’impressione di essere un po’ il compiaciuto signore di questo mondo singolare, facendo finta di non sapere che il proprio gambo non gode di buona salute visto che l’acqua, scendendo dal cappello, è riuscita a scavare un pericoloso canaletto. Più sano il fungo numero 1, isolato nel bosco e dal nobile portamento. Ce lo troviamo davanti all’improvviso. Quanto sarà alto? Una decina di metri? No, probabilmente di meno, ma non troppo. Noi, in ogni caso, non finiamo di contemplarlo.
Al termine di questa camminata Sergio, il cittadino numero uno di Rezzago, ci ha aperto le porte della bellissima Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, facendoci anche da cicerone.
La struttura attuale ha avuto origine in età romanica, ma fu costruita sulle fondamenta di una chiesa forse paleocristiana, come hanno dimostrato alcuni scavi archeologici. Altra testimonianza della sua antichità è la dedicazione ai santi Cosma e Damiano, medici che furono martirizzati nel IV secolo e il cui culto si diffuse immediatamente per guarigioni ritenute miracolose. Questo edificio ebbe la funzione di parrocchiale del paese fino a quando, nel 1654, fu inaugurata la chiesa dedicata alla Natività di Maria Vergine.
Situata all’esterno del centro abitato del paese, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano era circondata dal cimitero; il sagrato fu dotato delle cappelle della Via Crucis nel corso del Settecento: gli affreschi, danneggiati dagli agenti atmosferici, furono sostituiti da mosaici nel 1972. L’esterno, a pietre a vista, rivela gli interventi di modifica ed ampliamento a cui fu soggetto l’edificio religioso. Già osservando la facciata, con portale sormontato da lunetta e finestra circolare, si può comprendere la divisione dell’interno e la trasformazione del portico laterale in navata tra il 1570 e il 1584. Proseguendo sullo stesso lato, si incontra la torre campanaria dalla tipica architettura del romanico comasco (con due ordini di feritoie e quattro di bifore). Sulla parete esterna dell’abside, un affresco abbastanza rovinato ritrae la Pietà.
Vi sono conservati molti affreschi. Nella navata destra (o cappella della Vergine) sono rimasti solo dei lacerti, di cui si riconoscono: sulla parete di fondo due tondi con l’Annunciazione e sul sottarco che dà accesso all’aula il Trigramma, con ai lati due Santi poco leggibili (san Rocco e sant’Antonio Abate?). La zona più interessante è il presbiterio, perché conserva la maggior parte delle pitture. Al centro dell’arco trionfale Dio Padre assiste all’Annunciazione, mentre nel sottarco sono rappresentati i Profeti (quelli a destra sono andati persi). Gli affreschi che decorano l’abside, a quanto risulta dai documenti, furono realizzati da Andrea De Passeris e possono essere datati al 1505. Sulla parete di fondo rimane la Crocifissione: si tratta di una delle Crocifissioni più interessanti del Triangolo Lariano per la ricchezza compositiva; purtroppo, lo stato di conservazione non permette di ammirare la qualità e la quantità dei particolari. A sinistra, invece, il De Passeris dipinse la Pentecoste, un tema abbastanza inusuale. Sotto questa scena sono ritratti tre Santi, due dei quali poco riconoscibili: forse si tratta di sant’Antonio Abate e di san Sebastiano; la terza figura è sicuramente sant’Agata, in quanto regge su un vassoio i seni, simboli del suo martirio. La Pentecoste è l’affresco meglio conservato: in una stanza, la Vergine è circondata da dodici apostoli seduti su panche marmoree; attraverso la bifora della fascia superiore entra la colomba, simbolo dello Spirito Santo; all’avvenimento assiste un santo, raffigurato all’esterno della stanza, che sta leggendo un libro e stringe con una mano un serpente: dalla lunga barba castana si può identificare come san Paolo. Probabilmente, questa scena fu soggetta a ridipinture in epoche posteriori: si è giunti a questa conclusione osservando il differente stato di conservazione di questo affresco rispetto agli altri. La decorazione della volta, infine, presenta al centro Dio Padre circondato, nelle vele, dagli Evangelisti e dai Dottori della Chiesa.
E poi c'è da raccontare la storia del mistero delle frittelle di mele. Ci saranno...? Non ci saranno,...?
Certoooooo che c'erano! E non ne sono avanzate. Insomma, la durezza del percorso si è poi fatta sentite!!
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