venerdì 19 febbraio 2016

11. LA BRIGATA FIAMME VERDI "VALBREMBO"
LA SITUAZIONE GIURIDICA
COL PARABELLO IN SPALLA

Ufficialmente la brigata “Valbrembo” nacque alla fine di giugno 1944. Si venne ad inserire all’interno delle Fiamme Verdi, un movimento resistenziale sorto a Brescia per iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini in forte collegamento con il clero di quella città. La loro più forte area d’insediamento fu la Valcamonica. Alla metà del 1944 il comando delle Fiamme Verdi tentò di estendere la propria influenza anche alla bergamasca: in Val Taleggio (tentativo fallito dopo il grande rastrellamento tedesco del giugno 1944), in Val Serina (formazione “Primo Maggio”) e collegandosi con don Antonio Milesi e Natale Mazzolà.
"Dami" in divisa delle Fiamme Verdi
 nei giorni della Liberazione
.
Nell’autunno del 1943 si costituisce cosi a Villa d’Almè una banda partigiana guidata dall’avvocato trevigiano, ex ufficiale di fanteria nella prima guerra mondiale, sfollato a Bruntino Natale Mazzolà e dal curato dell’oratorio di Villa d’Almè, don Antonio Milesi “Dami”. Fu un’iniziativa spontanea, indipendente da centri di comando, ma che cerca di affrontare le esigenze e i problemi concreti sorti nella nuova situazione dell’occupazione militare tedesca e del regime fascista.
“Sbandati” furono i giovani che dall’8 settembre 1943 stavano svolgendo il servizio militare inquadrati in qualche reparto delle Forze Armate italiane. Coloro che non caddero prigionieri dei tedeschi e riuscirono a fuggire dalle caserme avevano bisogno di tutto: innanzitutto, un luogo sicuro dove rifugiarsi. A costoro si aggiunsero i “renitenti alla leva”: i giovani delle annate ’23, ’24, ’25 che, a partire dal novembre 1943, furono richiamati alla leva dalla RSI (Repubblica Sociale Italiana) e che rifiutarono di presentarsi rendendosi colpevoli di un grave reato punibile con la pena di morte.
Ai giovani che si rivolgevano a lui per consiglio e aiuto don Antonio Milesi offrì dei luoghi di rifugio: S. Croce in Valcava, S. Pellegrino, la Pianca sopra S. Giovanni Bianco. 
La rete che venne formandosi intorno a Milesi e Mazzolà fin dai primi giorni, pensando ai possibili risvolti futuri, creò depositi di armi. Provenivano o dalla raccolta di quelle che erano state abbandonate dai soldati in fuga dalle caserme o dal saccheggio della caserma del distaccamento anti-paracadutisti di Almè o direttamente dall’acquisto, a caro prezzo. Si costituisce un mercato clandestino nel quale erano in concorrenza autorità fasciste e di occupazione e resistenti: in un anno il prezzo di un moschetto modello 91 passa da 200 a 1.000 lire. 
Il "Ricordo del 25 aprile", come scrisse "Rino" Bonalumi
 sul retro della fotografia di alcune Fiamme Verdi del gruppo di Paladina.
I soldati alleati fuggiti dal campo di prigionia di Grumello al Piano e dispersi in tutta la provincia dopo l’8 settembre furono forse duemilacinquecento. Circa centocinquanta prigionieri furono ospitati all’inizio nelle stesse abitazioni, poi nascosti nelle cave di Strozza, in Valle del Giongo, a Sombreno. Dentro il Comune di Almè con Villa (i due paesi all’epoca erano amministrativamente uniti) si organizzò una rete di assistenza per fornire cibo ai prigionieri attraverso l’asportazione delle carte annonarie. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia i primi sintomi della crisi economica che stava investendo il Paese, si avvisarono dalla scarsità di generi alimentari e dall'aumento dei prezzi, che portarono alla costituzione della "carta annonaria". Questa tessera nominativa permetteva in date prestabilite di recarsi da un fornitore per la prenotazione dapprima solo di generi alimentari, ma poi si diffuse, ad esempio, anche per il vestiario. Il negoziante staccava la cedola di prenotazione apponendo la propria firma e, in una o due date prestabilite, si poteva prelevare la merce prenotata. Visto che i prezzi variavano di mese in mese era uso comune prelevare tutto quanto fosse possibile in un'unica soluzione. 
Un'istantanea nei giorni della Liberazione: un gruppo di partigiani tra cui Tito Spini, secondo da sinistra,
e al centro con l'impermeabile chiaro, Natale Mazzolà.
La banda così creatasi raggiunse la consistenza di un centinaio di uomini operanti principalmente tra Bruntino, la Maresana e le pendici del monte Ubione. 
Le prime azioni però non furono favorevoli: il fallimento nel recupero di un aviolancio (5 agosto)e lo scarso successo nella raccolta delle armi. 
Si distinse per una serie di operazioni condotte contro le caserme della G.N.R. della zona, allo scopo di rifornirsi di armi, munizioni, vestiario, equipaggiamento e anche viveri. Tali azioni determinarono la reazione delle forze neofasciste che costrinsero “Dami” e i suoi a cessare momentaneamente l’attività.
Nella primavera del 1944, “Dami” ricostruì la formazione, suddividendola in due gruppi, inquadrati nelle Fiamme Verdi, una col nome di “Valbrembo”, al suo diretto comando, e l’altra col nome di “Primo Maggio”, comandata dal man- tovano Gian Luigi Guerrieri “Gianni” e operante per lo più in Val Serina.
L’8 settembre venne portata a termine un’azione a Selino Imagna: dopo aver fatto esplodere una mina nel muro di una caserma repubblicana, i partigiani investirono il presidio fascista con raffiche di mitra e lanci di bombe a mano. Dopo un’aspra lotta i partigiani cessarono l’attacco e si ritirarono; il giorno seguente i fascisti, a causa delle ingenti perdite, lasciarono la Valle Imagna.
A fine settembre le Fiamme Verdi della “Valbrembo” decisero di effettuare un colpo a Villa Masnada, alle Crocette di Mozzo, per far bottino delle armi e degli equipaggiamenti dei genieri tedeschi impegnati nelle officine Caproni.
Le Fiamme Verdi della "Primo Maggio" alla sfilata del 4 maggio 1945.
Insieme alla "Valbrembo", la formazione di "Gianni" e di "Velio" venne inquadrata nella "Fratelli Calvi".
 Le circostanze fecero sì che il piano originario e progettato scrupolosamente dovesse essere cambiato e tuttavia il 25 settembre del 1944 l’azione ebbe luogo, con la complicità del personale della villa. Sulla via del ritorno a Villa d’Almè però il gruppo fu attaccato dai tedeschi e dai fascisti di Resmini. Alcuni, tra cui “Dami”, riuscirono a dileguarsi, ma dieci partigiani furono fucilati o caddero in combattimento sul colle tra Sombreno e Petosino. Tra di essi Albino Locatelli, fratello del Rino caduto al Buco dell’Orrido, catturato e poi gettato nell’Adda dal ponte di Trezzo. Anche qui non mancarono naturalmente le polemiche circa la condotta sprovveduta e ingenua dei capi della Valbrembo che registrerà poi altre perdite anche tra ottobre e novembre, tra cui Angelo Gotti, fucilato sul monte Ubione.

Un'immagine sfuocata ma importante: Dami alla testa delle Fiamme Verdi della "Valbrembo"
nella sfilata del 4 maggio 1945, la festa partigiana per le vie di Bergamo.
“Dami”, individuato e braccato dai fascisti, dovette prima rifugiarsi sul monte Ubione e ai primi di dicembre fu costretto a rifugiarsi in Svizzera. Altre polemiche ancora scoppiarono quando il comandante della “Primo Maggio” Guerreri “Gianni” strinse un accordo con le autorità fasciste provinciali per cui i suoi uomini furono reclutati come boscaioli o nelle miniere Sapez di Zorzone ed Oltre il Colle. Il comando provinciale ordinò la smobilitazione e lo scioglimento della “Primo Maggio”…“obbligati a deporre le armi e a ritornare in seno alla bastardata società”. In realtà il gruppo di Fiamme Verdi non smobilitò, e riuscì a superare la stretta del secondo inverno dividendosi in tre nuclei e trasferendosi dal monte Ubione alla Roncola, a San Pellegrino e a Sorisole. Su di essi e sul gruppo interno al Linificio potrà contare “Dami” dopo il suo rientro in patria a fine marzo 1945.  Il rientro di “Dami”, con il nome di copertura di “Delfino”, da ovviamente impulso alla riorganizzazione della formazione in vista delle operazioni insurrezionali. Le Fiamme Verdi della “Valbrembo” e della “Primo Maggio” parteciparono alla liberazione della città, rimanendo acquartierate nelle scuole di via Borfuro fino allo scioglimento.

  

Nella provincia di Bergamo un gran numero di parroci e curati ebbero parte attiva nella lotta partigiana e non di rado pagarono a carissimo prezzo il loro impegno: quasi sempre le canoniche furono luoghi di riferimento importanti, spesso insostituibili, per le formazioni di montagna. Soltanto don Antonio Milesi, tuttavia, diventò comandante di formazione, pur rimanendo formalmente, fino al dicembre 1944, in servizio presso la parrocchia di Villa d’Almè. Ricordiamo don Achille Bolis, parroco di Calolziocorte, morto in seguito ai maltrattamenti subiti nel carcere di San Vittore nel 1994, e don Antonio Seghezzi, assistente dei giovani di Azione Cattolica, morto a Dachau nel maggio del 1945.

Nella foto:Don Antonio Seghezzi


Il Codice penale vigente nel 1944 (ancora oggi in applicazione anche se ha subito molte modifiche) fu approvato dalle Camere nel 1930, emanato con Regio decreto il 19 ottobre ed è in vigore dal 1° luglio 1931. Oggi non è più prevista la pena di morte (sostituita con l’ergastolo dal 1994 anche nel Codice Penale Militare di Guerra) nemmeno per i reati d’insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art.284), devastazione e saccheggio (art.285), guerra civile (art.286), usurpazione di potere politico (art.287), arruolamenti o armamenti a servizio di uno Stato estero (art.288), atti contro le forze armate in guerra, intelligenze con lo straniero, vio- lenza a sentinella, vedetta o scorta, resistenza alla Forza armata (art.140), ecc. Allora invece era prevista la pena di morte tramite fucilazione nel petto (art.21), ma nel 1944, stante la guerra civile, veniva spesso eseguita anche sul posto, senza alcun processo, da parte di chiunque e da entrambe le fazioni in modo spesso arbitrario!

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