11. LA BRIGATA FIAMME VERDI "VALBREMBO"
LA SITUAZIONE GIURIDICA
COL PARABELLO IN SPALLA
Ufficialmente la brigata “Valbrembo” nacque alla fine di
giugno 1944. Si venne ad inserire all’interno delle Fiamme Verdi, un movimento
resistenziale sorto a Brescia per iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini
in forte collegamento con il clero di quella città. La loro più forte area d’insediamento
fu la Valcamonica. Alla metà del 1944 il comando delle Fiamme Verdi tentò di
estendere la propria influenza anche alla bergamasca: in Val Taleggio (tentativo fallito dopo il grande rastrellamento tedesco del giugno 1944), in Val Serina
(formazione “Primo Maggio”) e collegandosi con don Antonio Milesi e Natale Mazzolà.
Nell’autunno del 1943 si costituisce cosi a Villa d’Almè una banda partigiana
guidata dall’avvocato trevigiano, ex ufficiale di fanteria nella prima guerra
mondiale, sfollato a Bruntino Natale Mazzolà e dal curato dell’oratorio di
Villa d’Almè, don Antonio Milesi “Dami”. Fu un’iniziativa spontanea,
indipendente da centri di comando, ma che cerca di affrontare le esigenze e i
problemi concreti sorti nella nuova situazione dell’occupazione militare
tedesca e del regime fascista.
"Dami" in divisa delle Fiamme Verdi nei giorni della Liberazione. |
“Sbandati” furono
i giovani che dall’8 settembre 1943 stavano svolgendo il servizio militare
inquadrati in qualche reparto delle Forze Armate italiane. Coloro che non caddero
prigionieri dei tedeschi e riuscirono a fuggire dalle caserme avevano bisogno
di tutto: innanzitutto, un luogo sicuro dove rifugiarsi. A costoro si aggiunsero
i “renitenti alla leva”: i giovani delle annate ’23, ’24, ’25 che, a partire
dal novembre 1943, furono richiamati alla leva dalla RSI (Repubblica Sociale
Italiana) e che rifiutarono di presentarsi rendendosi colpevoli di un grave
reato punibile con la pena di morte.
Ai giovani che si rivolgevano a lui per consiglio e aiuto don
Antonio Milesi offrì dei luoghi di rifugio: S. Croce in Valcava, S. Pellegrino,
la Pianca sopra S. Giovanni Bianco.
La rete che venne formandosi intorno a Milesi e Mazzolà fin
dai primi giorni, pensando ai possibili risvolti futuri, creò depositi di armi.
Provenivano o dalla raccolta di quelle che erano state abbandonate dai soldati
in fuga dalle caserme o dal saccheggio della caserma del distaccamento anti-paracadutisti
di Almè o direttamente dall’acquisto, a caro prezzo. Si costituisce un mercato
clandestino nel quale erano in concorrenza autorità fasciste e di occupazione e
resistenti: in un anno il prezzo di un moschetto modello 91 passa da 200 a
1.000 lire.
Il "Ricordo del 25 aprile", come scrisse "Rino" Bonalumi sul retro della fotografia di alcune Fiamme Verdi del gruppo di Paladina. |
I soldati alleati fuggiti dal campo di prigionia di Grumello
al Piano e dispersi in tutta la provincia dopo l’8 settembre furono forse duemilacinquecento.
Circa centocinquanta prigionieri furono ospitati all’inizio nelle stesse
abitazioni, poi nascosti nelle cave di Strozza, in Valle del Giongo, a Sombreno. Dentro il Comune di Almè con Villa (i due paesi all’epoca erano
amministrativamente uniti) si organizzò una rete di assistenza per fornire cibo
ai prigionieri attraverso l’asportazione delle carte annonarie. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia i primi sintomi della crisi economica che
stava investendo il Paese, si avvisarono dalla scarsità di generi alimentari e
dall'aumento dei prezzi, che portarono alla costituzione della "carta
annonaria". Questa tessera nominativa permetteva in date prestabilite di
recarsi da un fornitore per la prenotazione dapprima solo di generi alimentari, ma poi si diffuse, ad esempio, anche per il vestiario. Il negoziante staccava la cedola di
prenotazione apponendo la propria firma e, in una o due date prestabilite, si
poteva prelevare la merce prenotata. Visto che i prezzi variavano di mese in
mese era uso comune prelevare tutto quanto fosse possibile in un'unica
soluzione.
Un'istantanea nei giorni della Liberazione: un gruppo di partigiani tra cui Tito Spini, secondo da sinistra, e al centro con l'impermeabile chiaro, Natale Mazzolà. |
La banda così creatasi raggiunse la consistenza di un centinaio
di uomini operanti principalmente tra Bruntino, la Maresana e le pendici del monte
Ubione.
Le prime azioni però non furono favorevoli: il fallimento
nel recupero di un aviolancio (5 agosto)e lo scarso successo nella raccolta
delle armi.
Si distinse per una serie di operazioni condotte contro le
caserme della G.N.R. della zona, allo scopo di rifornirsi di armi, munizioni,
vestiario, equipaggiamento e anche viveri. Tali azioni determinarono la
reazione delle forze neofasciste che costrinsero “Dami” e i suoi a cessare
momentaneamente l’attività.
Nella primavera del 1944, “Dami” ricostruì la formazione,
suddividendola in due gruppi, inquadrati nelle Fiamme Verdi, una col nome di
“Valbrembo”, al suo diretto comando, e l’altra col nome di “Primo Maggio”,
comandata dal man- tovano Gian Luigi Guerrieri “Gianni” e operante per lo più
in Val Serina.
L’8 settembre venne portata a termine un’azione a
Selino Imagna: dopo aver fatto esplodere una mina nel muro di una caserma
repubblicana, i partigiani investirono il presidio fascista con raffiche di
mitra e lanci di bombe a mano. Dopo un’aspra lotta i partigiani cessarono
l’attacco e si ritirarono; il giorno seguente i fascisti, a causa delle
ingenti perdite, lasciarono la Valle Imagna.
A fine settembre le Fiamme Verdi della “Valbrembo” decisero
di effettuare un colpo a Villa Masnada, alle Crocette di Mozzo, per far bottino
delle armi e degli equipaggiamenti dei genieri tedeschi impegnati nelle
officine Caproni.
Le Fiamme Verdi della "Primo Maggio" alla sfilata del 4 maggio 1945. Insieme alla "Valbrembo", la formazione di "Gianni" e di "Velio" venne inquadrata nella "Fratelli Calvi". |
Un'immagine sfuocata ma importante: Dami alla testa delle Fiamme Verdi della "Valbrembo" nella sfilata del 4 maggio 1945, la festa partigiana per le vie di Bergamo. |
Nella provincia di Bergamo un gran numero di parroci e curati ebbero
parte attiva nella lotta partigiana e non di rado pagarono a carissimo prezzo
il loro impegno: quasi sempre le canoniche furono luoghi di riferimento importanti,
spesso insostituibili, per le formazioni di montagna. Soltanto don Antonio
Milesi, tuttavia, diventò comandante di formazione, pur rimanendo formalmente,
fino al dicembre 1944, in servizio presso la parrocchia di Villa d’Almè. Ricordiamo
don Achille Bolis, parroco di Calolziocorte, morto in seguito ai maltrattamenti
subiti nel carcere di San Vittore nel 1994, e don Antonio Seghezzi, assistente
dei giovani di Azione Cattolica, morto a Dachau nel maggio del 1945.
Nella foto:Don Antonio Seghezzi
Il Codice penale vigente nel 1944 (ancora oggi in
applicazione anche se ha subito molte modifiche) fu approvato dalle Camere
nel 1930, emanato con Regio decreto il 19 ottobre ed è in vigore dal 1° luglio
1931. Oggi non è più prevista la pena di morte (sostituita con l’ergastolo dal
1994 anche nel Codice Penale Militare di Guerra) nemmeno per i reati d’insurrezione
armata contro i poteri dello Stato (art.284), devastazione e saccheggio
(art.285), guerra civile (art.286), usurpazione di potere politico (art.287),
arruolamenti o armamenti a servizio di uno Stato estero (art.288), atti
contro le forze armate in guerra, intelligenze con lo straniero, vio- lenza a
sentinella, vedetta o scorta, resistenza alla Forza armata (art.140), ecc. Allora
invece era prevista la pena di morte tramite fucilazione nel petto (art.21), ma
nel 1944, stante la guerra civile, veniva spesso eseguita anche sul posto,
senza alcun processo, da parte di chiunque e da entrambe le fazioni in modo
spesso arbitrario!
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