10. IL RASTRELLAMENTO
DEI CORNALBA E DELL'ALBEN
IL PASSAGGIO DEI PARTIGIANI - Ivano Fossati
Tra il 25
novembre ed il 1° dicembre 1944 la brigata “XXIV Maggio” di Giustizia e
Libertà, operante in Val Serina, subì due tragici rastrellamenti, a Cornalba e
nella zona limitrofa, che segnarono per sempre, come fatto che si può
considerare tra i più significativi e dolorosi della Resistenza bergamasca, la
storia della piccola località.
Giuseppe Biava |
Barnaba Chiesa |
Giunta
all’altezza dell’abitato di Rosolo, la colonna, formata da due camion
scoperti, muniti di mitragliatrici e mortai e da un’autoblinda, incrociò due
autobus di linea che da Zambla stavano scendendo verso Bergamo. I fascisti
fermarono il primo, fecero scendere tutti i passeggeri a mani alzate ed
iniziarono a perquisirli.
Giacomo Tiragallo |
Antonio Ferrari |
Quest’ultimo,
appena si accorse della presenza dei rastrellatori, tentò di fuggire,
slanciandosi dal veicolo mentre era ancora in moto; nel salto finì contro il
parapetto della strada, ferendosi ad un ginocchio, ma riesce ugualmente a
scavalcare il muretto ed a raggiungere il sottostante avvallamento: qui venne
colpito a morte dalle raffiche dei mitra fascisti. Gli altri due vennero subito
riconosciuti, uno era in possesso di una pistola, ed entrambi furono immediatamente giustiziati sul posto.
Luigi Cornetti |
Pietro Cornetti |
Il grosso
proseguì sugli automezzi lungo la provinciale per Serina ed effettuò un breve
rastrellamento nella zona centrale del paese: molti uomini e giovani del posto
si diedero alla fuga e riuscirono con difficoltà a raggiungere i sentieri nei
boschi. Qui venne fermato Lorenzo Carrara che
fu costretto a salire sul camion militare. Il gruppo dei repubblichini
proseguì poi per Cornalba ma, sbagliando direzione, prese per Valpiana. Giunto nella zona detta “del ristoro”
si accorse dell’errore e inverte la marcia: ciò consentì a diversi altri uomini
di fuggire.
G.Battista Mancuso |
Giuseppe Maffi |
Franco Cortinovis |
Proprio con
un mortaio venne colpito mortalmente il comandante Giacomo
Tiragallo “Ratti” e ferito gravemente un giovane diciassettenne di
Cornalba, Luigino Cornetti, che verrà “finito” immediatamente con due colpi di
pistola.
Callisto Sguazzi |
Mentre ancora
si sparava in questa zona, non distante dal centro abitato, fu catturato il
partigiano Franco Cortinovis. Portato nella piazza del paese venne
sommariamente interrogato, violentemente malmenato e poi barbaramente ucciso
sul posto dallo stesso Resmini.
Intorno alle
ore dieci venne dato il “cessate il
fuoco”. Iniziò poi il rastrellamento nei prati, boschetti e cascine sopra l’abitato:
venne subito fatto prigioniero Luigi Maver,
che proveniva da Nembro in Valle Seriana. Vennero pure catturati, nascosti in
un anfratto di roccia, due giovani di Cornalba, Egidio
Bianchi e Luigi Carrara; stavano per essere interrogati quando, non lontano, venne fermato Callisto
Sguazzi “Peter”. Riconosciuto come partigiano fu immediatamente assassinato
da un tenente della O.P. con due colpi di pistola.
Celestino Gervasoni |
Verso
mezzogiorno, la colonna lasciò Cornalba con i prigionieri Egidio Bianchi, Giovanni
Bianchi e Luigi Maver che si aggiunsero
a Lorenzo Carrara catturato in precedenza
a Serina.
A Bergamo
essi verranno riconosciuti amici e collaboratori dei partigiani, brutalmente
torturati nella caserma dalla O.P. al fine di estorcere informazioni che mai
rivelarono e incarcerati a Sant’Agata: Lorenzo
Carrara morirà, causa le torture subite, due anni dopo.
Prima di
lasciare la Val Serina, Resmini si fermò al municipio di Bracca, sito in Algua,
e minacciò personalmente il podestà e il curato di Trafficanti, prospettando
nuove azioni di rastrellamento.
Intanto a
Cornalba iniziò la pietosa raccolta dei cadaveri e le salme vennero composte nella camera mortuaria del cimitero:
fu vietata ogni cerimonia e imposta la fossa comune.
Pur con la
paura di nuove azioni contro la popolazione, vennero fatte costruire delle bare
e la commozione e la partecipazione nell’omaggio ai caduti fu generale.
Martedì 28
novembre si svolse la cerimonia funebre, che fu controllata e difesa da un
gruppo di partigiani in armi scampati alla strage.
Mario Ghirlandetti |
Una settimana
dopo questi tragici fatti, sabato 1 dicembre, si ebbe una nuova azione di
rastrellamento, condotta da un reparto della Guardia Forestale che provenivano
dalla caserma di San Pellegrino Terme, che interessava la zona del monte Alben.
Gli
assalitori raggiunsero la zona da due diverse direzioni: un gruppo salì da Dossena
e si diresse verso Serina, occupando i dintorni del Passo della Crocetta,
l’altro salì lungo la strada di Ambria.
I primi,
arrivati in prossimità della Crocetta, vennero notati da tre partigiani che aprirono
il fuoco contro di loro, riuscendo a ferire un milite; l’immediata reazione
della Forestale causò la morte del partigiano ex carabiniere Celestino Gervasoni, mentre i suoi due compagni riuscirono
a porsi in salvo.
Intanto a
Serina era arrivato il secondo plotone di rastrellatori che si diresse
immediatamente verso il monte Alben e, come seguendo un piano prestabilito,
raggiunsero una baita che
fungeva da deposito per i viveri, l’equipaggiamento e di armamenti della
“XXIV Maggio”.
La lapide commemorativa posta sulla baita Cascinetto |
Il fatto, del
resto, si inserisce in quel durissimo periodo per la Resistenza in tutta l’Alta
Italia, che va dal settembre al novembre 1944 e che fu contrassegnato da un
lato dal proclama
Alexander (dai più inteso come invito, da parte degli Alleati, alla
smobilitazione degli uomini in armi contro il nazi-fascismo), dall’altra dai
pesanti e incessanti rastrellamenti nemici, nonché da un inverno, ormai alle
porte, che già si preannunciava particolarmente inclemente.
I partigiani caduti nel rastrellamento di Cornalba. |
Mario
Maini,
operando con un nucleo di partigiani sopra i monti di Zogno, cadde in un’imboscata
in località Colle del Rondo nella frazione di Ambria il 18 settembre 1944.
Questo nucleo, chiamato poi “Mario Maini”, raggiunse la consistenza di quaranta
unità e si unì alla brigata “XXIV Maggio” nel mese do ottobre, pochi giorni,
quindi, prima dell’eccidio di Cornalba.
Sempre nel
comune di Zogno, ma questa volta in località Carmine, il giorno 26 settembre
1944 Paolo Sonzogni
venne ucciso durante un’azione di rastrellamento ad opera del
Corpo ausiliario della questura repubblicana fascista.
Norberto
Duzioni (“Cerri”, comandante della divisione Orobica “Giustizia e Libertà) e Giovanni Zelasco (“Gilardi”, commissario di zona e
fiduciario del Comando regionale del Corpo Volontari della Libertà) morirono in
conseguenza di un incidente stradale avvenuto il 30 settembre 1944 lungo la
strada che collega Zogno con Serina.
I due, con Mario Buttaro (“Bassi”, che doveva succedere a Duzioni nel comando della divisione Orobica), a
bordo di un motocarro guidato da un partigiano fidato, Pasqualino
Carrara, cercavano di raggiungere le formazioni che operavano in
montagna partendo dalla Valle Serina, quando all’altezza dei Laghetti di Algua
si ruppero i freni e il motocarro finì fuori strada.
Carrara e Buttaro si salvarono, mentre Duzioni e Zelasco,
ricoverati fortunosamente all’ospedale di Bergamo, morirono a causa delle
ferite riportate, il primo lo stesso giorno ed il secondo dopo alcuni giorni.
Il monumento di Cornalba, sul piazzale della chiesa parrocchiale. |
Alcune delle numerose testimonianze dei sopravvissuti e degli stessi protagonisti della vicenda tratte da ”La mitraglia sul campanile”:
Quando eravamo lì (sull’Alben) in sette o otto, non mi ricordo i nomi di tutti, io dico:” Se voi fate delle stupidaggini, se rubate le galline o la roba, se fate qua e là, un giorno non mi vedete più!”. Avevo già fissato il mio posto. Che io non sapevo neanche cosa volesse dire “Partigiani”. Perdio! Andavo a nascondermi per non farmi vedere neanche da loro. Volevo solo salvare la pelle. Altro che storie: ”Sì finirà la guerra” dicevo. Che io sapevo che coi tedeschi già con la guerra del ’18 non si andava d’accordo, e poi c’erano gli Alleati che salivano dalla bassa Italia. Ma è andata avanti ancora due anni, Dio bono!. (Sandro Vistalli).
Primavera 1945. Partigiani della XXIV Maggio: si riconoscono Tarcisio Moro "Ugo" (primo a sinistra), Fortunato Fasana "Renato" (con la giacca bianca), e Antonio Malenza "Nino" (ultimo a destra). |
E’ arrivato il Tino Gervasoni,
e poi un ragazzo della Val Seriana, non ricordo il nome, che faceva da
infermiere. Poi è venuto il Tito,
cecoslovacco, un vero antifascista, un vero comunista! Io ero sempre con lui e
quando gli parlavo in bergamasco si arrabbiava! Era una persona istruita, non
come me che non ho fatto le scuole. E si discuteva. C’era uno jugoslavo. Dopo è
arrivato un genovese che era stato…fucilato! Questa non la sapete mica!
C’era questo genovese che dovevo stargli sempre vicino
perché avrebbe ammazzato tutti! Ogni tanto andava in crisi, si credeva…”Mi ammazzano! Mi ammazzano!”. Fortuna
che ero più forte di lui e riuscivo a tenerlo fermo. Lui era stato chiamato di
leva nei fascisti, poi c’era stato non so che cosa e i tedeschi avevano presa
dieci tra questi militi e li avevano fucilati. Lui si vede che è caduto prima
ed è rimasto sotto, la gente l’ha tirato fuori illeso, ma lo shock c'era…ogni
tanto non ragionava più.(Spiridione Nozza).
La gente del paese non poteva realmente esprimersi. Cosa ti esprimevi? Eravamo indietro di cultura e di tutte quelle cose. (Luigi
Tadè).
Perché noi abbiamo pagato tutto! Nessuno in Val Serina potrà
mai dire che noi abbiamo sequestrato roba se non gli abbiamo pagato. Di ogni
cosa davamo regolare ricevuta. Questa è una grande verità su cui nessuno può dire
niente. Anzi, abbiamo anche preso dei ladri e sono stati puniti (fustigati in
piazza), da noi, piuttosto duramente.(Antonio Malenza).
Per conto mio il Ratti
era un “uomo”. Era tra quelli che
avevano il fegato. Per me era un”unione”.
Un simbolo. Un comandante. Era impulsivo, questo sì, un po’ sventato. Ma se era
sventato il Tiragallo che aveva una certa
età, noi eravamo peggio! Noi se potevamo sparare…sparavamo senza pensarci due
volte.
E vero, quella notte bastava uno giù di guardia e "venia mia so". Questo è stato detto e
stradetto da tutti. Non si può immaginare una valle senza avamposto. Perché
la nostra è anche una valle facile da curare. Questa è stata veramente grossa. Ma non per esimersi…a ventanni non si può essere
attenti! Eravamo giovani, adesso con l’esperienza si può dire, ma allora…(Ferdinando
Carrara).
Ecco, forse mancava un po’ di polso. Non incuteva, non imponeva. La prima volta che l’ho incontrato il Tiragallo
è stato quando siamo andati a prendere le armi in Val Canale. E lì non è che:
”Ostia andemm!!”. Cioè, c’è modo e
modo di dire le cose, lui era quasi: ”Dai,
se vegnet mia…te porti”. Lasciava un po’ andare. (Ferdinando Carrara).
Tra i partigiani il miglior amico era il Biava. Il Biava era un “uomo”. Era posato. Io di democrazia non sapevo neanche cosa fosse. Non avevo mai sentito parlare di politica, di partiti. Il partito era sempre stato uno solo. Non si riusciva neanche a capire che cosa volesse dire “più partiti”. Nel vero senso della parola. Con lui si poteva parlare di queste cose e spiegava. Mi ricordo una sera che eravamo giù all’”Alpino”, io domando: “Dimmi che cos’è Democrazia Cristiana e Partito Comunista”. E lui: “Guarda: questo qui ha un’idea, quest’altro questa idea”.
Come parlava lui era D.C., ma non era uno che diceva di fare così o così. No, lui spiegava e raccontava. Ci spiegava bene. (Ferdinando Carrara).
Mi ricordo che quando siamo venuti su da Zogno abbiamo
scaricato la roba presa al monopolio in piazza a Cornalba. Mentre siamo andati
a bere dalla “Serafina”, tutta la
piazza piena di sale e tabacco, la "s’è
smesada!". Ricordo che il Tiragallo era "nigher, nigher!". Lo sapevano tutti che
eravamo andati a fare il colpo. (Ferdinando Carrara.).
Mia mamma mi diceva: “Non
andare giù in corriera! Non andare. Perché
è pericoloso”. “No, no, noi ci
abbiamo le bombe a mano” dicono. Questo la sera del 24. Che nella casa
della nonna dormivano il Cortivovis, il
tenente Ratti, Mancuso
e Peppino Biava. E la nonna diceva: “Non andate che mettete in pericolo la vita
nostra e degli altri”. Ma tornando indietro un attimo. Una sera che han
preso il *** l’han messo vicino al fuoco e ci dicevano: “Tu devi finir male. Tu lo sai la fine che ti tocca fare”. Però non
l’hanno ucciso perché era una spia e doveva essere fucilato. Ma lui li ha
traditi lo stesso, e c’ha detto: “Quand’è
che partite voialtri?”. “Andiamo giù
in corriera”. E lui è partito la sera stessa ed è andato ad avvertire i
repubblicani. (Giuseppina Tadè).
In quell’epoca ero segretario comunale di Bracca e di Costa Serina, che allora comprendeva i tre comuni di oggi: Bracca, Algua e Costa Serina. Il municipio era ad Algua. Io abitavo a Serina e prendevo la corriera tutte le mattine per andare in Comune. Quella mattina del 25 ero in corriera. Arriviamo alla prima curva appena dopo Rosolo, quasi ci scontriamo con questo camion di fascisti: “Alt! Alt!”. Sono scesi giù dal camion e hanno aperto la corriera, han fatto scendere tutti. Mi han domandato: “Lei dove và? Cosa fa?”. “Sono il segretario comunale di Bracca, abito a Serina”.
Finite le perquisizioni siamo saliti in corriera. Proprio in
quel momento sentiamo arrivare l’altra corriera, e loro: “Un’altra corriera! Un’altra corriera!”. Tutti scatenati contro
questa corriera. Noi non abbiamo visto bene cosa stava succedendo dietro.
Dopo un momento vediamo un gruppo di militi che portano giù, davanti alla
nostra corriera, davanti ai nostri occhi, Il Biava.
Aveva su un paltò nero. Non proferiva parola, silenzioso, composto, muto. L’hanno messo contro il muro e senza dire niente uno ha estratto la pistola, gli ha
puntato al petto. L’altro non si è scomposto per niente! E ha sparato. Il Biava è caduto nella cunetta della strada. Dopo un
attimo si sente di nuovo gridare e ne trascinano giù un altro. Era il Chiesa. Anche lui l’hanno portato davanti alla
nostra corriera. Lui implorava misericordia: “Io non ho fatto niente! Sono innocente!”. Gli han detto: “Faccia vedere i documenti!”. Ha tirato
fuori qualche cosa, ma l’han portato giù sotto la curva e abbiamo sentito una
scarica. Quando dopo siamo passati era a terra anche lui. Nel frattempo arriva
il terzo. Ma il terzo gli era sfuggito di mano. E’ salito sul parapetto della
strada e tutti gli puntavano il fucile, ma non avevano al momento…chi lo sa. E’
stato un attimo stranissimo, sembrava che tutto si fosse fermato, lui era
immobile sul parapetto, e questi con i fucili che lo guardavano e esitavano a
sparargli. Poi lui è saltato giù dal muretto e allora gli hanno sparato nella
valle e l’hanno ucciso. Il Biava l’hanno lasciato in mutande. Gli hanno portato via paltò, vestito e scarpe. (Isaia Bonomi).
Mio fratello mi dice: “Tu
vai alla cappella di S. Pantaleone”, lì dove arriva la rua che si faceva
venire giù i legni a rotoloni. E lì è anche il posto che quando la lepre la
faceva correre i cani arrivava lì. Ad un certo punto sento una sparatoria.
Sotto Rosolo. “E la Madonna! Sarà mia i
republicà?”. Ho detto. Tanto per dire. Ostrega! Vedo che viene davanti
un auto blindata, di quelle piccolette e due camion.
Sono corso di qua e ho gridato. “Ariva i republicà! Scapa! Scapa!”. “ Eh, pota, scapa!... Scappare dove? Ma cosa facciamo? Di corsa
in piazza a dirlo a tutti. (Luigi Carrara).
Da Rosolo han telefonato a Serina che c’erano i fascisti che arrivavano.
Da Serina han telefonato a Cornalba, pota, al lupo! Al lupo! Non ci credevamo.
Eravamo un po’…dicevamo: “Non vengono su a Cornalba, hanno paura a venire su a
Cornalba”. Dopo una ventina di minuti sentiamo delle donne che gridano: “Gli è chè! Gli è chè! Scappate. Gli è chè”.
E allora noi via tutti! Che siamo scappati in quel gruppo c’era io, il tenente Ratti, il “Maresciall”,
il tenente Cortinovis, il Mancuso, "s’era
ses o set!". Siamo saliti per il “Fil del Rol”, abbiamo inforcato per la
strada dell’Alben, il tenente Ratti invece è
andato dall’altra parte verso la cappelletta, mentre noi si correva verso il “Sapel del Crot”. Quando siamo arrivati
allo scoperto abbiamo sentito “cantare”
le mitraglie. Immaginarsi! Il tenente Ratti
loro lo vedevano da solo, l’hanno ucciso col mortaio.
Al “Vandull”. (Egidio
Bianchi).
La lapide posta al cimitero di Cornalba. |
Come i due fratelli (Cornetti) che hanno ucciso qua di sopra. Loro andavano su cosi, innocenti, o no. Non sono mica …nasconditi! O no. Mica chiamare la Madonna. L’han data loro la Madonna! Eh, la paura: “Madonna, Madonna, ma- dona me”. Li sentivo io, perché li han presi proprio nel canalone. Uno di sti fascisti fa: “Devo ucciderlo?!” al capitano giù, il Resmini: “Uccidilo! Che sarai premiato a Bergamo”. (Sandro Vistalli).
Andavamo in giro a raccogliere i morti, con le scale. Sapevamo quello che era successo, perché i fascisti parlavano tra loro: “Quello là l’ho preso io! Quello l’ho fatto
fuori io! Quello ci ho sparato io!”.
Non si sapeva quanti. E avanti a cercarli! E i morti erano
dieci con i tre di Rosolo. Grondavano ancora di sangue. Li abbiamo portati al
cimitero. Al cimitero avevano dato l’ordine di non sotterrarli subito, di
lasciarli ”alla vista”. E alla
domenica, non ne sono sicuro, ma…c’era qualche fascista in borghese a
controllare tutto. (Luigi Tadè).
Nel ritorno sono venuti giù in municipio, ad Algua. Arriva su il Resmini infuriato
come una belva! Io ero nel mio ufficio, con me c’era il podestà, Dolci Gottardo
e il prete di Trafficanti, don Carminati. Era furioso. Si mette a inveire
contro il podestà: “Lei è d’accordo!
D’accordo con i partigiani!”. Ho avuto l’impressione che volesse
provocarlo, perché reagisse. Continuava a spingerlo contro uno spigolo
dell’ufficio, e gli dava colpi sul braccio, strattoni: “Capito! Lei, un podestà, che tiene, che aiuta i partigiani! Noi lo
sappiamo!!”. E lui andava sempre più in un angolo: “Ma no, ma no, noi non sappiamo niente…”.
Fatto sta che in quel momento il Resmini, forse un po’
sfogato, gli ha detto: “E lei si ricordi
che questa mattina ne abbiamo uccisi sedici, e lei sarà il primo della nuova
serie!”. E dopo dice: “E adesso
avanti il prete!”. Viene avanti questo “preticello”,
tutto ingenuo, come niente fosse si stava mettendo a parlare, a dare qualche
spiegazione.
“Faccia silenzio lei!
Anche i parroci tengono in accordo con i partigiani! E’ ora di finirla!!”. E il prete: “ Ma no…”.
“Silenzio!!”. Si è messo a inveire contro il prete come aveva fatto con
il podestà. Quando poi sono scesi io ho guardato giù dalla finestra, ho fatto
in tempo a vedere che avevano sul camion qualcuno preso nei paesi, ma loro
subito: “Via di lì!!”. Mi han puntato
il mitra. Non scherzavano mica!. (Isaia Bonomi).
La guardia partigiana alle tombe dei russi "Carlo", "Michele", "Angelo" uccisi nel corso del rastrellamento del 1° dicembre e sepolti nel cimitero di Serina. |
Sciatico si è nascosto dietro un sasso e l’han ferito a un ginocchio. L’han portato giù dall’Alben e i fascisti hanno detto che venivano a prenderlo il giorno dopo, intanto l’hanno messo nella “casa delle orfanelle”. Noi eravamo vicine al cimitero dove avevano portato gli altri tre russi (“Angelo”, “Carlo” e “Michele”) morti nel rastrellamento. Le persone li in giro dicevano: “A vedere quello che han preso è andato il dottor Cavagnis. Ha detto che ha una ferita superficiale”. Perché il dottor Cavagnis aveva paura dei fascisti e non voleva neanche medicarlo. Dico: “Se è una ferita superficiale, lo portiamo a casa, lo curiamo e poi lo rimandiamo su in montagna, senza vedere se è russo o altro”. E la notte infatti siamo andate a prenderlo. (Olga Mantovani).
Serina, primavera 1945. Scialico Giogavaz (secondo da destra) con Costantino Faggioli e la sua famiglia, Anita Carrara e Olga Mantovani. |
Con Serafino facevano
tante discussioni insieme. Loro si tenevano compagnia. Lui non voleva che gli
toccassero Stalin, per lui era come… E una volta Serafino
gli fa: “Scialico
quando eri sull’Alben ferito, solo, con la paura di morire congelato, chi
cercavi? Cercavi Stalin?”. “ Ah no Serafino, non cercavo Stalin, io cercavo “Melto” e
mamma” che vuol dire Dio e mamma. (Anita Carrara).
Cornalba, 25 novembre 1945. La commemorazione dell'eccidio, nel primo anniversario. In primo piano il comandante "Renato". |
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