mercoledì 10 febbraio 2016

10. IL RASTRELLAMENTO
DEI CORNALBA E DELL'ALBEN
IL PASSAGGIO DEI PARTIGIANI - Ivano Fossati

Tra il 25 novembre ed il 1° dicembre 1944 la brigata “XXIV Maggio” di Giustizia e Libertà, operante in Val Serina, subì due tragici rastrellamenti, a Cornalba e nella zona limitrofa, che segnarono per sempre, come fatto che si può considerare tra i più significativi e dolorosi della Resistenza bergamasca, la storia della piccola località.

Giuseppe Biava
Barnaba Chiesa
Il rastrellamento di Cornalba, non imprevedibile, giunse comunque tragicamente imprevisto. Verso le ore 7.30 di sabato 25 novembre 1944 un reparto di una cinquantina di repubblichini della Compagnia O.P. di Bergamo, guidata dal sanguinario e tristemente noto comandante, capitano Aldo Resmini, risalì la Val Serina con il preciso obiettivo di sorprendere la “XXIV Maggio” che aveva la sua base a Cornalba.
Giunta all’altezza dell’abitato di Rosolo, la colonna, formata da due camion scoperti, muniti di mitragliatrici e mortai e da un’autoblinda, incrociò due autobus di linea che da Zambla stavano scendendo verso Bergamo. I fascisti fermarono il primo, fecero scendere tutti i passeggeri a mani alzate ed iniziarono a perquisirli.
Giacomo Tiragallo
Antonio Ferrari
Dopo pochi minuti sopraggiunse il secondo autobus, a bordo del quale si trovavano tre partigiani, due comandati per un servizio e il terzo sulla via di casa per un permesso; i tre erano Giuseppe Biava, Barnaba Chiesa e Antonio Ferrari.
Quest’ultimo, appena si accorse della presenza dei rastrellatori, tentò di fuggire, slanciandosi dal veicolo mentre era ancora in moto; nel salto finì contro il parapetto della strada, ferendosi ad un ginocchio, ma riesce ugualmente a scavalcare il muretto ed a raggiungere il sottostante avvallamento: qui venne colpito a morte dalle raffiche dei mitra fascisti. Gli altri due vennero subito riconosciuti, uno era in possesso di una pistola, ed entrambi furono immediatamente giustiziati sul posto.
Luigi Cornetti
Pietro Cornetti
Compiuta la strage, la colonna fascista riprese la marcia verso Cornalba, dividendosi in due gruppi: uno salì a piedi lungo la mulattiera che passa per Passoni, dove venne  fermato Giovanni Bianchi, abitante in questa località, e costretto a fare da guida ai rastrellatori verso Cornalba.
Il grosso proseguì sugli automezzi lungo la provinciale per Serina ed effettuò un breve rastrellamento nella zona centrale del paese: molti uomini e giovani del posto si diedero alla fuga e riuscirono con difficoltà a raggiungere i sentieri nei boschi. Qui venne fermato Lorenzo Carrara che fu costretto a salire sul camion militare. Il gruppo dei repubblichini proseguì poi per Cornalba ma, sbagliando direzione,  prese per Valpiana. Giunto nella zona detta “del ristoro” si accorse dell’errore e inverte la marcia: ciò consentì a diversi altri uomini di fuggire.
G.Battista Mancuso
Giuseppe Maffi
E’ chiaro l’intento dei militi di attaccare contemporaneamente da destra e da sinistra chiudendo l’abitato a “sacca”: l’unica via di uscita era costituita dalle mulattiere che salgono sul monte Alben, che verranno però tenute sotto controllo dalle mitraglie. La notizia dell’attacco e dell’imminente arrivo dei fascisti aveva intanto raggiunto il paese attraverso due fonti: una telefonata alla “trattoria della Serafina” e a viva voce, grazie all’avvistamento dei fratelli Luigi e Carlo Carrara, che, usciti di buon mattino per andare a caccia, scorsero la colonna fascista sulla strada di Rosolo dalla zona di San Pantaleone. Il gruppo che saliva da Passoni lanciò un razzo di segnalazione per dare l’allerta ai camerati provenienti da Serina e immediatamente dopo aprì il fuoco con armi leggere.
Franco Cortinovis
Iniziò una fuga precipitosa e disordinata verso le pendici dell’Alben da parte dei partigiani e di giovani di Cornalba. E’ molto probabile che da parte partigiana non si  abbia risposto minimamente al fuoco nemico. Ormai anche il primo gruppo di rastrellatori proveniente da Serina aveva raggiunto il piazzale della chiesa parrocchiale di Cornalba. Partigiani e uomini in fuga, che speravano di trovare via libera sulla sinistra del paese, furono bloccati da un fuoco intensissimo: una mitraglia era piazzata su di un prato, una seconda, ancora più micidiale, sul campanile della chiesa. Sorte non migliore aspettò chi cercava scampo verso la destra dell’abitato: i fascisti, che ormai occupavano tutto il paese, piazzarono almeno due mortai e tirarono sui fuggitivi, favoriti anche dal fatto che la vegetazione, siamo alla fine di novembre, era completamente spoglia.
Proprio con un mortaio venne colpito mortalmente il comandante Giacomo Tiragallo “Ratti” e ferito gravemente un giovane diciassettenne di Cornalba, Luigino Cornetti, che verrà “finito” immediatamente con due colpi di pistola.
Callisto Sguazzi
Intanto sul lato sinistro del paese, con estrema difficoltà, riparandosi dietro le rocce e sfruttando la nebbia piovigginosa che calava dalla montagna, altri uomini in fuga raggiunsero i sentieri alti e corsero disperatamente verso la cima del monte Alben. In questa fuga caddero mortalmente feriti dalle raffiche di mitraglia Pietro Cornetti (fratello gemello di Luigino), Battista Mancuso e Giuseppe Maffi.
Mentre ancora si sparava in questa zona, non distante dal centro abitato, fu catturato il partigiano Franco Cortinovis. Portato nella piazza del paese venne sommariamente interrogato, violentemente malmenato e poi barbaramente ucciso sul posto dallo stesso Resmini.
Intorno alle ore dieci venne dato il “cessate il fuoco”. Iniziò poi il rastrellamento nei prati, boschetti e cascine sopra l’abitato: venne subito fatto prigioniero Luigi Maver, che proveniva da Nembro in Valle Seriana. Vennero pure catturati, nascosti in un anfratto di roccia, due giovani di Cornalba, Egidio Bianchi e Luigi Carrara; stavano  per essere interrogati quando, non lontano,  venne fermato Callisto Sguazzi “Peter”. Riconosciuto come partigiano fu immediatamente assassinato da un tenente della O.P. con due colpi di pistola.
Celestino Gervasoni
Il paese intanto era in preda al terrore: vennero perquisite varie case, si minacciarono distruzioni e stragi, venne fatta saltare la cabina elettrica.
Verso mezzogiorno, la colonna lasciò Cornalba con i prigionieri Egidio Bianchi, Giovanni Bianchi e Luigi Maver che si aggiunsero a Lorenzo Carrara catturato in precedenza a Serina.
A Bergamo essi verranno riconosciuti amici e collaboratori dei partigiani, brutalmente torturati nella caserma dalla O.P. al fine di estorcere informazioni che mai rivelarono e incarcerati a Sant’Agata: Lorenzo Carrara morirà, causa le torture subite, due anni dopo.
Prima di lasciare la Val Serina, Resmini si fermò al municipio di Bracca, sito in Algua, e minacciò personalmente il podestà e il curato di Trafficanti, prospettando nuove azioni di rastrellamento.
Intanto a Cornalba iniziò la pietosa raccolta dei cadaveri e le salme vennero composte nella camera mortuaria del cimitero: fu vietata ogni cerimonia e imposta la fossa comune.
Pur con la paura di nuove azioni contro la popolazione, vennero fatte costruire delle bare e la commozione e la partecipazione nell’omaggio ai caduti fu generale.
Martedì 28 novembre si svolse la cerimonia funebre, che fu controllata e difesa da un gruppo di partigiani in armi scampati alla strage.
Mario Ghirlandetti
La formazione, dispersa sull’Alben, fu faticosamente ricomposta nella zona di Zambla, per iniziativa del nuovo comandante “Renato”.
Una settimana dopo questi tragici fatti, sabato 1 dicembre, si ebbe una nuova azione di rastrellamento, condotta da un reparto della Guardia Forestale che provenivano dalla caserma di San Pellegrino Terme, che interessava la zona del monte Alben.
Gli assalitori raggiunsero la zona da due diverse direzioni: un gruppo salì da Dossena e si diresse verso Serina, occupando i dintorni del Passo della Crocetta, l’altro salì lungo la strada di Ambria.
I primi, arrivati in prossimità della Crocetta, vennero notati da tre partigiani che aprirono il fuoco contro di loro, riuscendo a ferire un milite; l’immediata reazione della Forestale causò la morte del partigiano ex carabiniere Celestino Gervasoni, mentre i suoi due compagni riuscirono a porsi in salvo.
Intanto a Serina era arrivato il secondo plotone di rastrellatori che si diresse immediatamente verso il monte Alben e, come seguendo un piano prestabilito, raggiunsero una baita che fungeva da deposito per i viveri, l’equipaggiamento e di armamenti della “XXIV Maggio”.
La lapide commemorativa posta sulla baita Cascinetto
A guardia della baita Cascinetto stavano cinque partigiani, quattro russi ed il diciassettenne Mario Ghirlandetti, che si stavano preparando a lasciare la zona per raggiungere il resto dei superstiti della brigata. Nell’imboscata rimasero uccisi il Ghirlandetti, giovanissimo partigiano di diciassette anni, e tre partigiani di nazionalità russa, “Angelo”, “Carlo” e “Michele”; un quarto partigiano russo “Scialico” Giogavaz, gravemente ferito ad una gamba, venne catturato e portato a Serina. Qui, tratto in salvo e aiutato da alcune persone del paese, venne curato e tenuto nascosto fino alla primavera del 1945 e ai giorni della Liberazione, nell’abitazione privata di Serafino Cortinovis.
Il fatto, del resto, si inserisce in quel durissimo periodo per la Resistenza in tutta l’Alta Italia, che va dal settembre al novembre 1944 e che fu contrassegnato da un lato dal proclama Alexander (dai più inteso come invito, da parte degli Alleati, alla smobilitazione degli uomini in armi contro il nazi-fascismo), dall’altra dai pesanti e incessanti rastrellamenti nemici, nonché da un inverno, ormai alle porte, che già si preannunciava particolarmente inclemente.
I partigiani caduti nel rastrellamento di Cornalba.
Ai nomi dei quindici caduti della brigata “XXIV Maggio” vanno idealmente aggiunti anche quelli di Mario Maini, Paolo Sonzogni, Norberto Duzioni e Giovanni Zelasco.
Mario Maini, operando con un nucleo di partigiani sopra i monti di Zogno, cadde in un’imboscata in località Colle del Rondo nella frazione di Ambria il 18 settembre 1944. Questo nucleo, chiamato poi “Mario Maini”, raggiunse la consistenza di quaranta unità e si unì alla brigata “XXIV Maggio” nel mese do ottobre, pochi giorni, quindi, prima dell’eccidio di Cornalba.
Maini Mario, operando con un nucleo di partigiani sopra i monti di Zogno, cadde in un'imboscata in località Colle del Rondo nella frazione di Ambria.
Questo nucleo, chiamato poi con il suo nome, si unì alla brigata "XXIV Maggio". 
Sempre nel comune di Zogno, ma questa volta in località Carmine, il giorno 26 settembre 1944 Paolo Sonzogni  venne ucciso durante un’azione di rastrellamento ad opera del Corpo ausiliario della questura repubblicana fascista.
Norberto Duzioni (“Cerri”, comandante della divisione Orobica “Giustizia e Libertà) e Giovanni Zelasco (“Gilardi”, commissario di zona e fiduciario del Comando regionale del Corpo Volontari della Libertà) morirono in conseguenza di un incidente stradale avvenuto il 30 settembre 1944 lungo la strada che collega Zogno con Serina.
I due, con Mario Buttaro (“Bassi”, che doveva succedere a Duzioni nel comando della divisione Orobica), a bordo di un motocarro guidato da un partigiano fidato, Pasqualino Carrara, cercavano di raggiungere le formazioni che operavano in montagna partendo dalla Valle Serina, quando all’altezza dei Laghetti di Algua si ruppero i freni e il motocarro finì fuori strada.
Carrara e Buttaro si salvarono, mentre Duzioni e Zelasco, ricoverati fortunosamente all’ospedale di Bergamo, morirono a causa delle ferite riportate, il primo lo stesso giorno ed il secondo dopo alcuni giorni.
Il monumento di Cornalba, sul piazzale della chiesa parrocchiale.

Alcune delle numerose testimonianze dei sopravvissuti e degli stessi protagonisti della vicenda tratte da ”La mitraglia sul campanile”:

Quando eravamo lì (sull’Alben) in sette o otto, non mi ricordo i nomi di tutti, io dico:” Se voi fate delle stupidaggini, se rubate le galline o la roba, se fate qua e là, un giorno non mi vedete più!”. Avevo già fissato il mio posto. Che io non sapevo neanche cosa volesse dire “Partigiani”. Perdio! Andavo a nascondermi per non farmi vedere neanche da loro. Volevo solo salvare la pelle. Altro che storie: ”Sì finirà la guerra” dicevo. Che io sapevo che coi tedeschi già con la guerra del ’18 non si andava d’accordo, e poi c’erano gli Alleati che salivano dalla bassa Italia. Ma è andata avanti ancora due anni, Dio bono!. (Sandro Vistalli).

Primavera 1945. Partigiani della XXIV Maggio: si riconoscono Tarcisio Moro "Ugo" (primo a sinistra),
Fortunato Fasana "Renato" (con la giacca bianca), e Antonio Malenza "Nino" (ultimo a destra).
Ci siamo spostati in una baita sopra Cornalba. Eravamo sempre in sette, più il Ratti. Dopo di lì viene  in contatto con Beppino Biava, con Mancuso e i fratelli Cornetti che erano giovanissimi, due ragazzi, anche di statura sembravano di meno dell’età. A Serina si erano appostati quelli della Guardia forestale, che era un bel gruppo, e allora siamo andati alle casere dell’Alben con il Ratti. Siamo arrivati al primo settembre. E la formazione è cominciata ad ingrandirsi. Avevamo recuperato qualche arma che ci avevano ceduto gli sbandati di Oltre il Colle e Serina. E infatti avevamo almeno un fucile per uno.
E’ arrivato il Tino Gervasoni, e poi un ragazzo della Val Seriana, non ricordo il nome, che faceva da infermiere. Poi è venuto il Tito, cecoslovacco, un vero antifascista, un vero comunista! Io ero sempre con lui e quando gli parlavo in bergamasco si arrabbiava! Era una persona istruita, non come me che non ho fatto le scuole. E si discuteva. C’era uno jugoslavo. Dopo è arrivato un genovese che era stato…fucilato! Questa non la sapete mica!
C’era questo genovese che dovevo stargli sempre vicino perché avrebbe ammazzato tutti! Ogni tanto andava in crisi, si credeva…”Mi ammazzano! Mi ammazzano!”. Fortuna che ero più forte di lui e riuscivo a tenerlo fermo. Lui era stato chiamato di leva nei fascisti, poi c’era stato non so che cosa e i tedeschi avevano presa dieci tra questi militi e li avevano fucilati. Lui si vede che è caduto prima ed è rimasto sotto, la gente l’ha tirato fuori illeso, ma lo shock c'era…ogni tanto non ragionava più.(Spiridione Nozza).

La gente del paese non poteva realmente esprimersi. Cosa ti esprimevi? Eravamo indietro di cultura e di tutte quelle cose. (Luigi Tadè).

Perché noi abbiamo pagato tutto! Nessuno in Val Serina potrà mai dire che noi abbiamo sequestrato roba se non gli abbiamo pagato. Di ogni cosa davamo regolare ricevuta. Questa è una grande verità su cui nessuno può dire niente. Anzi, abbiamo anche preso dei ladri e sono stati puniti (fustigati in piazza), da noi, piuttosto duramente.(Antonio Malenza).

Per conto mio il Ratti era un “uomo”. Era tra quelli che avevano il fegato. Per me era un”unione”. Un simbolo. Un comandante. Era impulsivo, questo sì, un po’ sventato. Ma se era sventato il Tiragallo che aveva una certa età, noi eravamo peggio! Noi se potevamo sparare…sparavamo senza pensarci due volte.

E vero, quella notte bastava uno giù di guardia e "venia mia so". Questo è stato detto e stradetto da tutti. Non si può immaginare una valle senza avamposto. Perché la nostra è anche una valle facile da curare. Questa è stata veramente grossa. Ma non per esimersi…a ventanni non si può essere attenti! Eravamo giovani, adesso con l’esperienza si può dire, ma allora…(Ferdinando Carrara).

Ecco, forse mancava un po’ di polso. Non incuteva, non imponeva. La prima volta che l’ho incontrato il Tiragallo è stato quando siamo andati a prendere le armi in Val Canale. E lì non è che: ”Ostia andemm!!”. Cioè, c’è modo e modo di dire le cose, lui era quasi: ”Dai, se vegnet mia…te porti”. Lasciava un po’ andare. (Ferdinando Carrara).


Tra i partigiani il miglior amico era il Biava. Il Biava era un “uomo”. Era posato. Io di democrazia non sapevo neanche cosa fosse. Non avevo mai sentito parlare di politica, di partiti. Il partito era sempre stato uno solo. Non si riusciva neanche a capire che cosa volesse dire “più partiti”. Nel vero senso della parola. Con lui si poteva parlare di queste cose e spiegava. Mi ricordo una sera che eravamo giù all’”Alpino”, io domando: “Dimmi che cos’è Democrazia Cristiana e Partito Comunista”. E lui: “Guarda: questo qui ha un’idea, quest’altro questa idea”.

Come parlava lui era D.C., ma non era uno che diceva di fare così o così. No, lui spiegava e raccontava. Ci spiegava bene. (Ferdinando Carrara). 

Mi ricordo che quando siamo venuti su da Zogno abbiamo scaricato la roba presa al monopolio in piazza a Cornalba. Mentre siamo andati a bere dalla “Serafina”, tutta la piazza piena di sale e tabacco, la "s’è smesada!". Ricordo che il Tiragallo era "nigher, nigher!". Lo sapevano tutti che eravamo andati a fare il colpo. (Ferdinando Carrara.).


Mia mamma mi diceva: “Non andare giù in corriera! Non andare. Perché  è pericoloso”. “No, no, noi ci abbiamo le bombe a mano” dicono. Questo la sera del 24. Che nella casa della nonna dormivano il Cortivovis, il tenente Ratti, Mancuso e Peppino Biava. E la nonna diceva: “Non andate che mettete in pericolo la vita nostra e degli altri”. Ma tornando indietro un attimo. Una sera che han preso il *** l’han messo vicino al fuoco e ci dicevano: “Tu devi finir male. Tu lo sai la fine che ti tocca fare”. Però non l’hanno ucciso perché era una spia e doveva essere fucilato. Ma lui li ha traditi lo stesso, e c’ha detto: “Quand’è che partite voialtri?”. “Andiamo giù in corriera”. E lui è partito la sera stessa ed è andato ad avvertire i repubblicani. (Giuseppina Tadè).



In quell’epoca ero segretario comunale di Bracca e di Costa Serina, che allora comprendeva i tre comuni di oggi: Bracca, Algua e Costa Serina. Il municipio era ad Algua. Io abitavo a Serina e prendevo la corriera tutte le mattine per andare in Comune. Quella mattina del 25 ero in corriera. Arriviamo alla prima curva appena dopo Rosolo, quasi ci scontriamo con questo camion di fascisti: “Alt! Alt!”. Sono scesi giù dal camion e hanno aperto la corriera, han fatto scendere tutti. Mi han domandato: “Lei dove và? Cosa fa?”. “Sono il segretario comunale di Bracca, abito a Serina”.

Finite le perquisizioni siamo saliti in corriera. Proprio in quel momento sentiamo arrivare l’altra corriera, e loro: “Un’altra corriera! Un’altra corriera!”. Tutti scatenati contro questa corriera. Noi non abbiamo visto bene cosa stava succedendo dietro. Dopo un momento vediamo un gruppo di militi che portano giù, davanti alla nostra corriera, davanti ai nostri occhi, Il Biava. Aveva su un paltò nero. Non proferiva parola, silenzioso, composto, muto. L’hanno messo contro il muro e senza dire niente uno ha estratto la pistola, gli ha puntato al petto. L’altro non si è scomposto per niente! E ha sparato. Il Biava è caduto nella cunetta della strada. Dopo un attimo si sente di nuovo gridare e ne trascinano giù un altro. Era il Chiesa. Anche lui l’hanno portato davanti alla nostra corriera. Lui implorava misericordia: “Io non ho fatto niente! Sono innocente!”. Gli han detto: “Faccia vedere i documenti!”. Ha tirato fuori qualche cosa, ma l’han portato giù sotto la curva e abbiamo sentito una scarica. Quando dopo siamo passati era a terra anche lui. Nel frattempo arriva il terzo. Ma il terzo gli era sfuggito di mano. E’ salito sul parapetto della strada e tutti gli puntavano il fucile, ma non avevano al momento…chi lo sa. E’ stato un attimo stranissimo, sembrava che tutto si fosse fermato, lui era immobile sul parapetto, e questi con i fucili che lo guardavano e esitavano a sparargli. Poi lui è saltato giù dal muretto e allora gli hanno sparato nella valle e l’hanno ucciso. Il Biava l’hanno lasciato in mutande. Gli hanno portato via paltò, vestito e scarpe. (Isaia Bonomi).

Mio fratello mi dice: “Tu vai alla cappella di S. Pantaleone”, lì dove arriva la rua che si faceva venire giù i legni a rotoloni. E lì è anche il posto che quando la lepre la faceva correre i cani arrivava lì. Ad un certo punto sento una sparatoria. Sotto Rosolo. “E la Madonna! Sarà mia i republicà?”. Ho detto. Tanto per dire. Ostrega! Vedo che viene davanti un auto blindata, di quelle piccolette e due camion.

Sono corso di qua e ho gridato. “Ariva i republicà! Scapa! Scapa!”. “ Eh, pota, scapa!... Scappare dove? Ma cosa facciamo? Di corsa in piazza a dirlo a tutti. (Luigi Carrara).

Da Rosolo han telefonato a Serina che c’erano i fascisti che arrivavano. Da Serina han telefonato a Cornalba, pota, al lupo! Al lupo! Non ci credevamo. Eravamo un po’…dicevamo: “Non vengono su a Cornalba, hanno paura a venire su a Cornalba”. Dopo una ventina di minuti sentiamo delle donne che gridano: “Gli è chè! Gli è chè! Scappate. Gli è chè”. E allora noi via tutti! Che siamo scappati in quel gruppo c’era io, il tenente Ratti, il “Maresciall”, il tenente Cortinovis, il Mancuso, "s’era ses o set!". Siamo saliti per il “Fil del Rol”, abbiamo inforcato per la strada dell’Alben, il tenente Ratti invece è andato dall’altra parte verso la cappelletta, mentre noi si correva verso il “Sapel del Crot”. Quando siamo arrivati allo scoperto abbiamo sentito “cantare” le mitraglie. Immaginarsi! Il tenente Ratti loro lo vedevano da solo, l’hanno ucciso col mortaio.
Al “Vandull”. (Egidio Bianchi).
La lapide posta al cimitero di Cornalba.
Come i due fratelli (Cornetti) che hanno ucciso qua di sopra. Loro andavano su cosi, innocenti, o no. Non sono mica …nasconditi! O no. Mica chiamare la Madonna. L’han data loro la Madonna! Eh, la paura: “Madonna, Madonna, ma- dona me”. Li sentivo io, perché li han presi proprio nel canalone. Uno di sti fascisti fa: “Devo ucciderlo?!” al capitano giù, il Resmini: “Uccidilo! Che sarai premiato a Bergamo”. (Sandro Vistalli).

Andavamo in giro a raccogliere i morti, con le scale. Sapevamo quello che era successo, perché i fascisti parlavano tra loro: “Quello là l’ho preso io! Quello l’ho fatto fuori io! Quello ci ho sparato io!”.
Non si sapeva quanti. E avanti a cercarli! E i morti erano dieci con i tre di Rosolo. Grondavano ancora di sangue. Li abbiamo portati al cimitero. Al cimitero avevano dato l’ordine di non sotterrarli subito, di lasciarli ”alla vista”. E alla domenica, non ne sono sicuro, ma…c’era qualche fascista in borghese a controllare tutto. (Luigi Tadè).

Nel ritorno sono venuti giù in municipio,  ad Algua. Arriva su il Resmini infuriato come una belva! Io ero nel mio ufficio, con me c’era il podestà, Dolci Gottardo e il prete di Trafficanti, don Carminati. Era furioso. Si mette a inveire contro il podestà: “Lei è d’accordo! D’accordo con i partigiani!”. Ho avuto l’impressione che volesse provocarlo, perché reagisse. Continuava a spingerlo contro uno spigolo dell’ufficio, e gli dava colpi sul braccio, strattoni: “Capito! Lei, un podestà, che tiene, che aiuta i partigiani! Noi lo sappiamo!!”. E lui andava sempre più in un angolo: “Ma no, ma no, noi non sappiamo niente…”.
Fatto sta che in quel momento il Resmini, forse un po’ sfogato, gli ha detto: “E lei si ricordi che questa mattina ne abbiamo uccisi sedici, e lei sarà il primo della nuova serie!”. E dopo dice: “E adesso avanti il prete!”. Viene avanti questo “preticello”, tutto ingenuo, come niente fosse si stava mettendo a parlare, a dare qualche spiegazione.
“Faccia silenzio lei! Anche i parroci tengono in accordo con i partigiani! E’ ora di finirla!!”. E il prete: “ Ma no…”.
“Silenzio!!”. Si è messo a inveire contro il prete come aveva fatto con il podestà. Quando poi sono scesi io ho guardato giù dalla finestra, ho fatto in tempo a vedere che avevano sul camion qualcuno preso nei paesi, ma loro subito: “Via di lì!!”. Mi han puntato il mitra. Non scherzavano mica!. (Isaia Bonomi).

La guardia partigiana alle tombe dei russi "Carlo", "Michele", "Angelo" uccisi nel corso del rastrellamento del 1° dicembre e sepolti nel cimitero di Serina.
Ma lo sai che a me si era drizzato i capelli…per due mesi sempre in piedi?!. Io avevo pensato di aver rovinato il sangue. Poi mi sono sposato e così…ma pensavo sempre a quella paura. “Chissà i figli se saranno giusti?”. Oggi uno si sposa e gli fanno la visita, ma una volta si andava così, come le pecore! E’ anche per questo che non si può mai dire “la gioventù è sbandata”  o “la colpa è dei figli”,  la colpa è della vita che hai passato! Le paure insomma non fanno bene. (Sandro Vistalli).


Sciatico si è nascosto dietro un sasso e l’han ferito a un ginocchio. L’han portato giù dall’Alben e i fascisti hanno detto che venivano a prenderlo il giorno dopo, intanto l’hanno messo nella “casa delle orfanelle”. Noi eravamo vicine al cimitero dove avevano portato gli altri tre russi (“Angelo”, “Carlo” e “Michele”) morti nel rastrellamento. Le persone li in giro dicevano: “A vedere quello che han preso è andato il dottor Cavagnis. Ha detto che ha una ferita superficiale”. Perché il dottor Cavagnis aveva paura dei fascisti e non voleva neanche medicarlo. Dico: “Se è una ferita superficiale, lo portiamo a casa, lo curiamo e poi lo rimandiamo su in montagna, senza vedere se è russo o altro”. E la notte infatti siamo andate a prenderlo. (Olga Mantovani).


Serina, primavera 1945. Scialico Giogavaz (secondo da destra) con Costantino Faggioli e la sua famiglia, Anita Carrara e Olga Mantovani.
Disgraziatamente scoperta la ferita abbiamo visto che la pallottola era entrata da una parte e uscita dall’altra, non era certo una “ferita superficiale”!. Sono usciti undici pezzi d’osso, e poi febbri fortissime per l’infezione, tanto è vero che sono andata io a Bergamo dal dottor Ghilberti dicendo che Sciatico era mio marito, rimasto ferito in battaglia a Olbia. Mi ero fatta dare anche una fede da mettere al dito. Siamo andate ad Albino a prendere i medicinali. Qui a Serina non ci fidavamo! (Olga Mantovani).

Con Serafino facevano tante discussioni insieme. Loro si tenevano compagnia. Lui non voleva che gli toccassero Stalin, per lui era come… E una volta Serafino gli fa: Scialico quando eri sull’Alben ferito, solo, con la paura di morire congelato, chi cercavi? Cercavi Stalin?”. “ Ah no Serafino, non cercavo Stalin, io cercavo “Melto” e mamma” che vuol dire Dio e mamma. (Anita Carrara).
Cornalba, 25 novembre 1945. La commemorazione dell'eccidio, nel primo anniversario. In primo piano il comandante "Renato".

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