Edo&Galdi
Sulle carte geografiche il suo nome era Culmine, ma il dialetto della gente lo trasformò in “Golem”, e poi, per inspiegabili mutamenti linguistici, divenne Guglielmo. Dalla vetta chiamata Castel Bertino l’occhio spazia a trecentosessanta gradi su un paesaggio che nessuna mano d’artista avrebbe saputo dipingere più bello. Una rosa dei venti, scolpita nella pietra e posta a 1949 metri, indica all’escursionista i punti cardinali lungo i quali sono posti i luoghi che beano la sua vista. Chi arriva lassù nelle giornate di luce tersa vede stagliarsi la Presolana con le sue cime superbe, gli appare il magnifico Adamello, scorge il monte Bianco e il Cervino, intravede l’ondulata linea appenninica e la grande Pianura Padana. E mentre lo sguardo percorre la vasta distesa di monti e di valli dentro cui si incastonano il lago di Garda e quello di Iseo, l’animo percepisce un che di pace, e non capisce se sia frutto dell’aria leggera o del silenzio. Anche se, come spesso accade, la nebbia avvolge la montagna lassù una strana sensazione di benessere arriva a placare le ansie interiori.
Di certo è una delle più belle escursioni del Bresciano.
Sulla vetta della montagna arriviamo dalla via d’accesso più comoda: la strada carrareccia che da Cislano (frazione di Zone m617 conduce al Passo della Croce di Marone m1166 dove esiste un rifugio. Da qui una stradina sterrata (chiusa agli autoveicoli), passando per le malghe Malpensata m1348, Guglielmo di sotto m1575, Guglielmo di sopra m1744, sale al Rifugio Almici m1861 da dove è possibile portarsi in pochi minuti in vetta.
Sulla vetta della montagna arriviamo dalla via d’accesso più comoda: la strada carrareccia che da Cislano (frazione di Zone m617 conduce al Passo della Croce di Marone m1166 dove esiste un rifugio. Da qui una stradina sterrata (chiusa agli autoveicoli), passando per le malghe Malpensata m1348, Guglielmo di sotto m1575, Guglielmo di sopra m1744, sale al Rifugio Almici m1861 da dove è possibile portarsi in pochi minuti in vetta.
Due ore di cammino, nel verde dei larici e degli abeti, nei prati macchiati dal giallo dei ranuncoli, dal bianco delle margherite, dal rosa delle rose selvatiche e dei rododendri, dal blu delle genziane. Un giardino creato dalla natura spontaneamente corre negli sconfinati spazi erbosi che si distendono per decine e decine di chilometri quando l’altitudine pone fine ai boschi.
Da giugno a settembre nelle malghe pascolano le mandrie sotto l’occhio vigile dei cani e dei mandriani e i prati della malga Stalletti Bassi e degli Stalletti Alti risuonano del “din don” sordo dei campanacci legati al collo delle mucche.
Dopo la lunga camminata chi arriva lassù, mentre sosta per un poco nello spiazzo dove la cappella del Redentore svetta la sua cuspide aguzza verso il cielo e non può non lasciare andare lo sguardo sulla vasta corona di monti, al rifugio Almici m1861 placa la fame con i casoncelli, le salamelle e il formaggio cotti sulla brace del camino sempre acceso, e poi riprende il cammino dopo aver scaldato il sangue delle sue vene con un sorso di acquavite di genziana.
Per circa un secolo la cappella al Redentore se ne è stata sola a combattere le raffiche di vento e di neve e a godersi i silenzi luminosi del sole e delle stelle. Ora le fa compagnia la figura in bronzo di Paolo VI. I due monumenti affrontano insieme le intemperie meteorologiche e insieme accoglieranno le preghiere di quanti percepiscono nell’azzurra pace di tanta bellezza alpina il respiro divino.
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