lunedì 8 luglio 2019

7 luglio 2019


Tutte le valli hanno una loro naturale predisposizione a suscitare nell´osservatore le più differenti sensazioni. La Val Febbraro, con le sue cascate e gli splendidi alpeggi, predispone l´animo alla tranquillità e alla contemplazione. Il gran pubblico dei consumatori della televisione probabilmente non aveva mai sentito parlare della Val Febbraro prima della tragica notte fra il 6 ed il 7 agosto 1999. In quella notte si scatenò un temporale di grande violenza (e a tal proposito c’è da osservare che nella tradizione popolare valtellinese e valchiavennasca è viva la credenza che a San Lorenzo o nei giorni ad esso prossimi si scateni una burrasca detta, appunto, burrasca di San Lorenzo), che fu la causa di una tragedia che costò la vita a tre giovanissime, Martina di 11 anni, Anna di 12 anni e Giulia di 13 anni, le quali partecipavano ad un campo scout. Il temporale notturno aveva provocato un improvviso ingrossamento del torrente Febbraro, che aveva travolto le palafitte sulle quali avevano posto la loro tenda nella quale pernottare: le acque tumultuose non avevano lasciato loro scampo.








































Punto di partenza per la salita in valle è Isola m1283, nel cuore della valle del Liro. Il piccolo paese, la cui denominazione deriva dal fatto che un tempo sorgeva su un terreno circondato da zone paludose, preceduto da uno sbarramento artificiale, è posto allo sbocco delle gole che chiudono la Valle del Liro prima del ripiano terminale sul quale è posto Montespluga. Imbocchiamo il sentierino che parte poco oltre la quattrocentesca chiesa dei santi Martino e Giorgio, e risale ripido alcuni prati, prima di assumere un andamento più dolce e termina nei pressi del ponte sul torrente Febbraro m1487, che mette in comunicazione i due versanti della valle. Percorriamo la strada che fiancheggia il torrente, seguendo le indicazioni per la cascata di Val Febbraro, Borghetto ed il passo di Baldiscio (termine che deriva da “balteus”, cioè balza, zona scoscesa e ripida). Passiamo nelle vicinanze del nucleo di Ca’ Raseri (Cà d’I’aser). Si possono osservare le baite costruire con la tecnica del “carden”: vi ha un’importanza decisiva il legno, in quanto le pareti sono, in parte o totalmente, costituite da travi che si intrecciano e si incastrano negli angoli. La Val Febbraro, vallone pensile delimitato dal pizzo dei Piani, a nord e dal Pian dei Cavalli, fu, fino alla costruzione della strada dello Spluga, nell’Ottocento, una delle vie di comunicazione più importanti fra la Valle del Liro e la Mesolcina. Il passo di Baldiscio, infatti, permette un’agevole transito fra le due valli, e sembra fosse assai frequentato addirittura in età preistoriche. Frequentata da gruppi di cacciatori fin dall’epoca in cui i ghiacci, dopo l’ultima glaciazione, cominciarono a ritirarsi, cioè circa 10.000 anni fa, in età Mesolitica. Ricerche archeologiche hanno trovato tracce degli attendamenti di questi antichissimi cacciatori, tracce che sono le più antiche della Valchiavenna e fra le più antiche in assoluto nelle Alpi centrali. Cominciamo a percorrere la pista, che sale con leggera pendenza, correndo poco distante dal torrente Febbraro. Incontriamo una radura nella quale un’edicola ricorda, nel luogo della tragedia, le tre ragazze travolte dalla furia del torrente. Guardando sul lato opposto del torrente vediamo la famosa cascata che scende, impetuosa, dall’aspro gradino roccioso che caratterizza il fianco della valle. La pista, dopo aver oltrepassato due ponti in legno, termina in corrispondenza di un terzo ponte m1596 che, valicato ci porta a imboccare un sentiero che sale, ripido, nel cuore di una splendida pineta, vincendo il gradino che ci separa dal anfiteatro più alto della valle. La salita è piuttosto faticosa, ma la bellezza del bosco ne attenua l’asprezza. Alla fine usciamo dal bosco sul limite inferiore dei prati dell’alpeggio di Borghetto di Sotto m1897. In passato questo centro era fra i più vivaci dell’intera Valchiavenna e la presenza degli uomini in questi luoghi risale a circa 10.000 anni fa (com’è testimoniato, fra l’altro, dal ritrovamento di oggetti in pietra scheggiata), anche se, a quell’epoca, essi non allevavano animali. I primi “alpigiani”, cioè i primi uomini che conducevano animali al pascolo, comparvero qui almeno 3000 anni fa, nel periodo di transizione tra Età del Bronzo ed Età del Ferro, anche se solo nel Medio Evo l’allevamento animale assunse forme simili a quelle moderne. Oggi, d’estate, l’alpeggio non manca di una sua vita, e gli alpigiani si intrattengono volentieri con gli escursionisti, spiegando soprattutto ai “cittadini” come qui la vita sia priva di comodità, ma più semplice e sana, e come gli echi delle grandi vicende mondiali giungano qui lontani, attenuati, quasi irreali. È la sera il momento più difficile, spiega una contadina, perché è in quel preciso momento che ti prende la malinconia, mentre durante il giorno la vita scorre tranquilla e serena, come pacifico e sereno è lo sguardo delle mucche al pascolo. Ma è tempo di por fine alla conversazione, perché il percorso è ancora piuttosto lungo: riprendendo a salire su una pista sterrata, superiamo anche le baite di Borghetto di Sopra m1980 e proseguiamo sul sentiero per il passo di Baldiscio. Per la verità i contadini lo chiamano il sentiero per “il Lac”, cioè per il lago Grande di Baldiscio, posto appena sotto il passo. Superato un valloncello, il sentiero taglia alcuni dossi erbosi, correndo sul filo di un ultimo dosso (il Mot del lago Grande), che precede l’ampia conca nella quale è posto il lago, annunciato dalle acque del torrente che è alimentato da esso. Ci ritroviamo al bel lago Grande m2302: la conca è chiusa dal monte Baldiscio m2851 e dalle propaggini meridionali del pizzo Bianco m3036. Oltrepassato il lago, un’ultima breve salita conduce ad una conca superiore, quella del passo di Baldiscio m2350, preceduto da un laghetto più piccolo, il laghetto del Mot. Si colloca qui lo spartiacque fra Valchiavenna e Val Mesolcina, ma non il confine fra Italia e Svizzera, che è spostato leggermente più ad ovest, cosicché anche l’ampia conca oltre il passo, detta Serraglia, è in territorio italiano.

Facciamo due conti: siamo in cammino da circa tre ore e mezza, ed abbiamo superato un dislivello di circa 1100 metri. Torniamo per la medesima via di salita, sia per le due gocce d’acqua che ci spaventano e, soprattutto, perché abbiamo poche energie da spendere nelle gambe. 
Un applauso al Marco per la sua prima da Coordinatore: “passi piccoli ma ben distesi”, regolari soste, tanta simpatia…prendiamo, pardon, prendete esempio o voi altri!!

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