sabato 30 maggio 2015

S. MARIA ASSUNTA - LOCATELLO
10. LA CUPOLA


  Ritorniamo sul presbiterio per goderci l’Assunzione di Maria, dipinta nella grande tazza della cupola.

Negli “angoli” sono posizionati i quattro Evangelisti: “Così Matteo scrisse nella lingua degli Ebrei il primo Vangelo, al tempo in cui Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondarono la Chiesa. Dopo la partenza dei questi ultimi, Marco, discepolo e interprete di Pietro, mise per iscritto quello che Pietro predicava. Dal canto suo Luca, il compagno di Paolo, consegnava in un libro il Vangelo, che il suo maestro predicava. Poi Giovanni, il discepolo del Signore, quello che si era addormentato sul suo petto, pubblicò anche lui un vangelo quando si trovava a Efeso in Asia”. (Adv. Hae. III Preliminare).

Matteo è raffigurato come un uomo alato (assimilato ad un angelo: tutte le figure sono infatti alate!).
Il Vangelo di Matteo è quello che mette più in risalto l’umanità del Cristo (il Figlio dell’Uomo, come viene spesso indicato). Il testo esordisce con la discendenza di Gesù e, in seguito, narra la sua infanzia, sottolineandone quindi il suo lato umano.
Marco è raffigurato come leone alato. Nel Vangelo di Marco viene maggiormente indicata la regalità, la forza, la maestà del Cristo: in particolare, i numerosi miracoli accentuano l’aspetto secondo cui Cristo vince il male. Inoltre, è proprio questo Vangelo che narra della voce di San Giovanni Battista che, nel deserto, “si eleva a un ruggito” (di leone appunto), preannunciando agli uomini la venuta del Cristo.

Luca è raffigurato come bue alato, ovvero come vitello, simbolo di tenerezza, dolcezza e mansuetudine, caratteri distintivi di questo Vangelo, per descrizione e teologia.

Giovanni è raffigurato come un’aquila. Il suo Vangelo ha una visione maggiormente teologica e, quindi, è quello che ha “la vista più acuta”. L’aquila è quello che “vola più in alto” di tutti gli esseri e che, unico fra tutti, “può vedere il sole con gli occhi senza accecarsi”, ossia guardare verso i cieli e verso Dio. Il Vangelo di Giovanni infatti si apre con le parole di forte carica trascendente: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.

Al “centro” la Morte di Gesù: un po’ strana la posizione di Gesù, appoggiato sul teschio simbolo del posto (Calvario o Golgota) allo stesso livello della terra. Maria, sua madre e Maria di Magdala con in mano il vaso con gli unguenti per ungere il corpo di Gesù.

Gustiamoci…nel vero senso della parola, l’Assunzione di Maria di  Pietro Servalli…nella grande tazza! Nella Sacra Scrittura nulla si dice della morte e dell'Assunzione al cielo, in corpo e anima, di Maria. Proprio alla mancanza di riferimento più precisi, vogliono supplire alcuni testi apocrifi di personaggi autorevoli, quali San Giovanni Apostolo o Giuseppe di Arimatea.
É però certamente utile riassumere il contenuto delle diverte traduzioni. Nei racconti apocrifi si narra della visita di un angelo a Maria, per recarle l'annuncio della morte imminente. L'angelo porta a Maria una palma del paradiso, perché preceda il suo feretro nei funerali e poi annuncia l'arrivo miracoloso di tutti gli apostoli presso di lei. Arriva dapprima Giovanni, l'apostolo prediletto del Figlio, e, dopo di lui, giungono misteriosamente tutti gli altri, rapiti su una nube dal luogo dove si trovavano. All'ora terza del terzo giorno si ode un tuono, appare Gesù con l'arcangelo Michele ed uno stuolo di angeli. Maria muore sorridendo per l'arrivo del Figlio, il quale accoglie la sua anima e la affida nelle mani dell’arcangelo Michele, poi ordina a Pietro di custodire il corpo della madre, deporlo nel sepolcro e attendere la sua venuta. Si forma il corteo funebre con Giovanni, che reca la palma del paradiso, mentre gli apostoli e gli angeli cantano il salmo "In exitu Israel de Aegypto".  Il corteo giunge nella valle di Giosafat, alla tomba dove viene deposto il corpo della Vergine Maria. Gli apostoli vegliano tre giorni in attesa di Cristo, che arriva circondato da miriadi di angeli. Accanto a Lui gli arcangeli Michele e Gabriele. Il Signore ordina all’arcangelo Michele di innalzare il corpo di Maria sulle nubi e di trasportarlo in paradiso, dove si ricongiungerà alla sua anima.
Il Servalli, in questa sua …non riesco a trovare aggettivi adatti… opera d’arte, ci regala alcuni deliziosi particolari.  
Gli undici personaggi (gli Apostoli, ma…chi manca?), ciascuno colto in una posizione differente, in un tripudio di gesti, di agitazione e turbamento, che esprimono varie emozioni e passioni: sorpresa, stupore, incomprensione; mentre qualcuno indica verso l'alto, dove si sta svolgendo l'evento sacro.
Un personaggio (Giovanni, il prediletto di Gesù, a cui aveva affidato sua Madre) mentre raccoglie il lenzuolo, dove era avvolto il corpo di Maria, con tutti quei fiori, posati, come tante reliquie, sul coperchio del sarcofago.
Un lembo del manto e, soprattutto, il velo di Maria si agitano per azione del vento, suscitato dalla rapida assunzione e dal moto delle ali angeliche.
L’accoglienza di Maria in cielo, da parte di tutte e tre le Persone della SS. Trinità.
Semplicemente favoloso!

  A conclusione della mia narrazione, per quanto riguarda la nostra Chiesa, vorrei portare l’interesse a due scritte per quelle persone che ancora potrebbero avere dei dubbi: sono iscrizioni, posizionate in posti dove l’occhio, pur allenato, fa fatica ad arrivare e a scorgere, in oro zecchino incassate tra magnifici stucchi decorativi.

La prima, posizionata sopra il portone principale d’ingresso, recita: “HAEC EST DOMUN DEI ET PORTA COELI” … “ Questa è la casa di Dio e la Porta del Cielo”.

La seconda, sopra i gradini che portano all’altare maggiore, riporta: “D.O.M. AC BEATAE MARIAE VIRGINI IN COELUM ASSUMPTAE”  …”A Dio, l’Ottimo, il Massimo - Beata Vergine Maria in cielo Assunta”.

venerdì 29 maggio 2015

LETTERA D’ADDIO 



Ringrazio Danilo per avermi inviato questa bellissima poesia.


“Se solo per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di pezza e mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma in definitiva penserei tutto ciò che dico. Darei valore alle cose, non per ciò che valgono, ma per ciò che significano.
Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei quando gli altri si fermano, mi sveglierei mentre gli altri dormono.
Ascolterei mentre gli altri parlano, e come mi godrei un buon gelato al cioccolato.

Se Dio mi facesse dono di un pezzo di vita, vestirei semplicemente, mi butterei disteso al sole, lasciando scoperto non solo il mio corpo, ma anche la mia anima. 

Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e aspetterei che il sole uscisse. Dipingerei con un sogno di Van Gogh sulle stelle una poesia di Benedetti, e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che gli offrirei alla luna.
Annaffierei con le mie lacrime una rosa, per sentire il dolore delle sue spine, e con le labbra la carnosa sensazione dei suoi petali…
Dio mio, se io avessi un pezzo di vita… Non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente a cui voglio bene, che le voglio bene.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna che essi sono i miei preferiti, e vivrei innamorato dell’amore.
Agli uomini gli dimostrerei quanto si sbagliano al pensare che smettono d’innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono d’innamorarsi!
A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che da solo imparasse a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con l’oblio.
Tante cose ho imparato da voi uomini…

Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità risiede proprio nel risalire la scarpata.
Ho imparato che quando un appena nato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito del padre, lo racchiude per sempre.
Ho imparato che un uomo ha diritto a guardarne un altro dall’alto solo per aiutarlo ad alzarsi.

Sono tante le cose che ho potuto apprendere da voi, ma in verità a molto non potrebbero servire, perché quando mi metterete dentro quella borsa, infelicemente starò morendo.

Dì sempre ciò che senti e fai ciò che pensi. Se sapessi che oggi sarà l’ultimo giorno in cui ti vedrò dormire, ti abbraccerei forte e pregherei il Signore affinché possa essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti bacerei, e ti richiamerei per dartene ancora.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ascolterò la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterla riascoltare una ed un’altra volta all’infinito.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti in cui ti vedo, ti direi “ti amo” senza assumere, scioccamente, che lo sai di già.
Sempre c’è un domani e la vita ci da un’altra opportunità per fare bene le cose, ma se sbaglio, e oggi è tutto ciò che mi resta, mi piacerebbe dirti che ti voglio bene, e che mai ti dimenticherò.

Il domani non è assicurato a nessuno, giovane o vecchio.
Oggi può essere l’ultimo giorno che vedi coloro che ami.
Perciò non aspettare più, fallo oggi, perché se il domani non dovesse mai arrivare, sicuramente lamenterai il giorno che non hai preso tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio, e che sarai stato troppo occupato per concederli un ultimo desiderio.
Mantieni coloro che ami vicini a te, dì loro all’orecchio quanto ne hai bisogno, amali e trattali bene, prenditi tempo per dirgli “mi dispiace”, “perdonami”, “per piacere”, “grazie”, e tutte le parole d’amore che conosci.

Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per saperli esprimere; e dimostra ai tuoi amici quanto t’importano.”

giovedì 28 maggio 2015

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I TRE  CHE VENDETTERO
L'ANIMA AL DIAVOLO
BERGAMO(1)

Tre giovani bergamaschi contattarono un famoso mago, nientemeno che l’eretico curato di Sant’Agata a Bergamo, e grazie alla sua mediazione evocarono lo spirito maligno, che non tardò a comparire e si informò di quali fossero i loro desideri.
“Ti chiediamo solo due cose - risposero i tre giovani - mille scudi per ciascuno e quella graziosa fanciulla della quale siamo invaghiti, ma che non vuole saperne di noi”.
“Ebbene - tuonò il Demonio - esaudirò i vostri desideri, ma in cambio io avrò le vostre anime!”.
Senza pensarci un attimo i tre sciagurati accettarono la proposta e ascoltarono le indicazioni impartite loro dal Diavolo affinché potessero ottenere i doni richiesti.
“Dovrete procurarvi una ciocca di capelli della ragazza, poi vi recherete in un bosco e costruirete un altare di pietra, sopra il quale deporrete i capelli. Quindi, indossati i paramenti sacerdotali (2), renderete omaggio al mio spirito e mi adorerete, onorandomi con fumo d’incenso”.
Senza por tempo in mezzo, i tre costruirono l’altare e si procurarono senza troppa difficoltà i paramenti e l’incenso, ma i problemi sorsero quando si trattò di entrare in possesso dei capelli della ragazza.
Costei, infatti, ben conscia delle intenzioni tutt’altro che oneste dei tre manigoldi (3) nei suoi confronti, quando si presentarono a casa sua, situata appena fuori città, e fecero la strana richiesta, li cacciò via in malo modo.
“Cara Letizia, - la supplicarono i tre babbei - il nostro amore per te è grande e ci faresti felici se potessimo avere una ciocca dei tuoi magnifici capelli”.
“Andate al Diavolo; - fu la risposta della ragazza - se mi amaste davvero non vi presentereste tutti e tre assieme, ma ognuno verrebbe di nascosto dagli altri a farmi la serenata e dichiararmi il suo amore. Sono sicura che voi volete ben altro da me che i miei capelli…”.
Ma i giovani non si diedero per vinti e tornarono alla carica più volte, finché la ragazza, per mettere fine a quella sceneggiata, ebbe un’idea: si recò nella stalla, tagliò
un ciuffo di peli dalla coda di una mucca, li lavò per bene, li profumò e poi li diede ai tre spasimanti che non si avvidero dell’inganno e finalmente smisero di importunarla.
Avuto quello che cercavano, si precipitarono nel bosco, si accostarono all’altare, accesero le candele, indossarono i sacri paramenti e diedero inizio alla sacrilega (4) cerimonia dell’adorazione del Maligno.
Preghiere e canti liturgici, scimmiottati alla meglio, ruppero il silenzio del bosco e l’inebriante profumo d’incenso cominciò a diffondersi tra gli alberi, mentre sull’altare faceva bella mostra di sé il ciuffo dei peli di vacca.
Ad un certo punto ci fu un lampo seguito da un fragoroso tuono, mentre tutt’intorno si diffondeva un acre odore di zolfo. Subito dopo, il luogo fu avvolto da una fitta nuvola di fumo e dalle viscere della terra giunsero le cavernose parole del Diavolo: “Bravi, avete fatto tutto quello che vi avevo ordinato, per questo ho esaudito i vostri desideri, ma ricordate che le vostre anime adesso sono mie!”.
Poi ci fu silenzio, il fumo si diradò e sull’altare apparvero tre borse di cuoio contenenti ciascuna mille scudi.
“Evviva, siamo ricchi; - esultarono i tre giovani - adesso non ci resta che attendere la ragazza che finalmente ci concederà le sue grazie”.
Il Diavolo era stato di parola anche in questo: infatti la proprietaria del ciuffo di…peli, richiamata da una forza irresistibile, era riuscita a slegarsi dalla sua mangiatoia, era scappata dalla stalla e si era precipitata nel bosco.
Quando vide i tre giovani, assalita da una frenesia incontenibile, si diede a prenderli a cornate e a calci, infierendo ora sull’uno ora sull’altro, fino a lasciarli assai malconci; fece poi lo stesso con l’altare, riducendolo a un mucchio di sassi.
Dopo un po’ sopraggiunsero la ragazza e i suoi fratelli, che erano alla ricerca della mucca, e trovarono i giovani per terra, gravemente feriti, poi notarono i resti dell’altare e dedussero che in quel luogo si era svolto un rito satanico.
Non sapendo però spiegarsi come i malcapitati fossero stati ridotti così male, si limitarono a recuperare la mucca, ormai placatasi, e a denunciare l’accaduto alle autorità.
Dopo opportune indagini, appurata la verità, i tre adoratori di Satana furono condannati alle patrie galere.

(1) Tratto dalle “EFFEMERIDI” di Padre Donato Calvi (1613-1678), che nella sua opera riportò racconti relativi a streghe, maghi e diavoli nella bergamasca.
(2) Le vesti indossate dal sacerdote durante l'ufficio liturgico.
(3) Farabutti della peggior risma, delinquenti incalliti.
(4) Una profanazione o un oltraggio recato a ciò che è sacro. Qualunque trasgressione alle leggi religiose. In genere, si intendono con essa forme gravi di irriverenza nei confronti di persone, cose o luoghi sacri. Quando la mancanza di rispetto è espressa solo verbalmente, si parla di bestemmia.

Il demonio spesso ci fà un quadro dipinto
 a vividi colori dei difetti altrui,
 ed oscura i nostri.
Giuseppe Marello
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VENDERE L'ANIMA AL DIAVOLO
STROZZA (Valle Imagna)

Un giovane contadino della Valle Imagna era proprietario di un roccolo (1) posto presso la forcella (2) del Monte Castra. Era tormentato dal desiderio di far arrivare l’acqua al suo roccolo, ma ogni tentativo era stato vano, finché un giorno gli comparve il Diavolo. Che si offrì di fargli avere l’acqua, fresca e abbondante, chiedendo in cambio la sua anima. Dopo parecchi tentennamenti, il contadino si ridusse a scendere a patti con il Diavolo il quale però avrebbe dovuto realizzare l’acquedotto durante la notte seguente, ultimandolo prima del canto del gallo. Per sua fortuna il contadino aveva una moglie assai accorta e intraprendente, la quale, messa al corrente dello scellerato contratto, nel colmo della notte girò tutti i pollai della zona, finché riuscì, non si sa come, a far cantare il gallo un po’ prima dell’alba, quando il Diavolo non aveva ancora ultimato la sua opera. Così il contadino si salvò l’anima ed ebbe il suo acquedotto, che esiste ancora oggi, anche se in condizioni di abbandono, sopra le Cave. E quella zona da allora prese il nome di Cantagallo.


(1) Una piccola costruzione per la caccia agli uccelli, in genere di tre piani, mimetizzata da piante rampicanti, in cui stanno gli uccellatori durante l'attività di caccia. Attorno a questo casello vi è l'impianto arboreo dove si appoggiano gli uccelli. Spesso qui sono posizionate anche delle gabbiette con uccelli da richiamo.
(2) Valico montano.

Vi sono delle persone alle quali il Diavolo non impedisce di fare del bene,
 perchè il bene che fanno gli serve per ingannarle.
Louis Lallemant

mercoledì 27 maggio 2015

 LE CINQUEDELLA GITA
24 maggio 2015
Gargnano - Lago di Garda
Monte Comer m. 1280
Si sale. Tanti punti panoramici. Ci si deve fermare...
proseguire sarebbe un vero peccato!
Sorpresa! Un magnifico balconcino super panoramico!
Asfodelo montano
Peonia selvatica
Il meritato riposo.

lunedì 25 maggio 2015

S. MARIA ASSUNTA - LOCATELLO
9. TRA GLI ALTARI E LA VOLTA


  Tra gli altari e la volta abbiamo altri affreschi. Due santi importanti  ci guardano dall’alto: s. Francesco d’Assisi e s. Antonio Abate.

Il primo  è patrono d’Italia: una delle grandi figure dell'umanità che parla a ogni generazione. Il suo fascino deriva dal grande amore per Gesù di cui, per primo, ricevette le stimmate, segno dell'amore di Cristo per gli uomini e per l'intera creazione.
L’altro è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Fu considerato il santo patrono dei maiali e, per estensione, di tutti gli animali domestici e della stalla. Il grasso del maiale veniva usato per curare  “il male o fuoco di s. Antonio”.
Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau’ ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel giorno della sua festa liturgica,  tradizionalmente si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici.
Ai nostri tempi moderni ha preso molta consuetudine benedire i cavalli…auto, i potenti e giganteschi camion,...!
E’ anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico, ma anche in base alla leggenda popolare, secondo la quale s. Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti con il diavolo e, mentre il suo maialino sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a ‘tau’ e lo portò fuori, insieme al maialino recuperato e lo donò all’umanità, accendendo una catasta di legna.
Ancora oggi, nei paesi si usa accendere, il giorno 17 gennaio, i cosiddetti “falò di s. Antonio”.
Le ceneri, poi raccolte nei bracieri casalinghi dei nostri nonni, servivano a riscaldare la casa e, con un’apposita campana, fatta con listelli di legno ad asciugare i panni umidi.

  Abbiamo i quattro profeti maggiori: vengono chiamati così per l’ampiezza dei loro scritti od oracoli (responsi profetici), a confronto di quelli “minori”.
In ordine cronologico: Isaia “Che soccorre o salva” (740–693 a.C.): vissuto sotto la dominazione assira e appartenente a Famiglia Nobile.
Fu il maggiore dei Profeti. Le sue profezie sono di una tale chiarezza, che sembrano una storia del passato, piuttosto che una predizione. 
Gli scritti di Isaia narrano principalmente le minacce di Dio al popolo di Israele e ai popoli vicini per i loro peccati, ma il profeta nel descrivere i giusti giudizi di Dio allude molto spesso alla venuta del Liberatore e, descrivendo la sua nascita, le sue opere e specialmente la sua passione eccitano negli animi l’amore e la confidenza in Lui.
 Geremia “Dio innalza o stabilisce” (650–586 a.C.): vissuto sotto la dominazione babilonese e appartenente a Famiglia Sacerdotale. 
Uomo mite e timido; fu chiamato, contro la sua volontà e la sua natura di uomo sensibile, ad una missione profetica durissima, cioè quella di essere annunciatore e testimone della rovina di Gerusalemme e del regno davidico di Giuda.
Ezechiele “Dio è forte” (593–570 a.C.): appartenente a Famiglia Sacerdotale e Sacerdote lui medesimo.
Daniele “Dio è mio Giudice” (605–536 a.C.): di stirpe reale o nobile, esperto nella Dottrina.



   Tra le pareti e la volta vi sono una serie pregevole di stucchi architettonici decorativi che meritano un’occhiata, seppur veloce. La tinteggiatura fu affidata a Emilio Giarin e le dorature a Arturo Panza.
S. MARIA ASSUNTA - LOCATELLO
8. LA VOLTA


  Continuiamo il nostro tour d’arte, ritornando nel “salone” principale della Chiesa.
Alziamo gli occhi al…cielo e guardiamo la volta! Umberto Marigliani (Bergamo 1885-Ivi 1960) ha l'incarico di dipingere queste immagini, chiaramente con la storia della Madonna, in quattro delle smaglianti medaglie. Osserviamo al di là di un discorso artistico e guardiamo cosa ci dicono i nostri occhi, perché il bello è un concetto molto soggettivo: “…non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”.

Partiamo dalla Presentazione di Maria al Tempio: l’immagine richiama molto la tela del Tiziano, con questa bambinetta che sale tutti quegli scalini; l’opera si trova alle Gallerie dell'Accademia, il museo di Venezia. Di solito, i pittori erano molto attenti e aderenti a quelli che sono i racconti apocrifi, perché nel Vangelo non c’è scritto niente di più delle poche parole che conosciamo, per cui i gradini avrebbero dovuto essere quindici. Secondo la tradizione Maria, quando aveva tre anni, viene affidata dalla madre al Tempio, perchè aveva fatto voto che, se fosse rimasta “in cinta” e avesse potuto avere un figlio, l'avrebbe affidato al Tempio. Questa bambina si stacca dalla sua mamma, saltellando e danzando, sale da sola. Secondo i testi, i quindici gradini del Tempio richiamano i quindici Salmi del Salterio che i pellegrini recitavano, scendendo verso Gerusalemme. I nostri bambini, quando vanno all’asilo, non hanno esattamente questo atteggiamento, a tre anni: la meraviglia che viene descritta riguarda proprio questo portamento, questa movenza. Gli artisti guardavano i bambini nella loro realtà e poi si chiedevano: cos’è la meraviglia? Una bambina che sale verso il suo futuro.

Nell'Annunciazione: ”«L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse : «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.“ (Luca 1,26-37). E’ un’immagine molto classica, deliziata con bei colori.

Nella Visitazione vediamo l'incontro tra Maria e s. Elisabetta.  Leggiamo insieme e lasciamoci trasportare dalla fantasia:”In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna, in fretta, e si diresse verso una città della Giudea. Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”». (Magnificat 1,46-55).
Ci sono splendide icone di artisti orientali  che raffigurano due Madonne che si sfiorano le dita, una con l 'altra, stando di fronte e si distinguono i due bambini che, attraverso i vestiti, si parlano.

Arriviamo alla Madonna che sviene, cade, distrutta dal dolore al momento della Passione di Gesù:“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava (Giovanni), disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé”. (Giovanni 19, 25-27).

Ma la medaglia più stupenda, è la magnifica Natività della Madonna di Vittorio Manini. Come fanno tanti artisti, come Lorenzo Lotto, la scena della Natività della Madonna viene raffigurata inserita in una casa del 1500: questa potrebbe essere tranquillamente una nostra casa di valle del 1700-1800. Abbiamo l’alcova con s. Anna, descritta nel vangelo come vecchia: nei testi antichi si narra che era “…fuori tempo massimo”. In questa alcova, a fianco, c’è già il lettino per la bambina. Si faceva cosi nelle case dei contadini, ma anche adesso le mamme giovani i primi giorni si tengono il bambino a fianco del letto per poterlo controllare. Ci sono tutte donne, perchè il parto è una scena femminile. L’unico che rimane, Gioacchino, che arriva li...al ghè la fa piö… non c’è la fa più… Lui è ancora più vecchio, questa figlia che non arrivava  mai, che finalmente arriva. L’hanno cacciato fuori ma, a questo punto, la deve vedere. Ci fa provare emozioni molto umane quest’opera. Arriva li con le mani giunte, a curiosare, mettere gli occhi su questa bambina.
Guardate le donne: la levatrice con la sicurezza con cui regge la bambina, quella bambina che è fatta di luce. Guardiamo il bianco e le sue vesti: il bianco della vestina rispetto agli altri bianchi; ci sono diversissime tonalità di bianco. Un’altra donna sta cercando di metterle sulla testa una cuffietta con i laccini che vengono giù: una meraviglia! A terra il bacile con la copertina e il telo che è stato usato per asciugare la bambina dopo il primo bagnetto: nata, lavata, vestita. Guardiamo la licetta: praticamente era un cuscino. Questo contenitore, questa specie di federa, fatta bene con i pizzi attorno, con questi lacci che servivano per legare il bambino; perché la licetta aveva una specie di tasca, dove s’infilava il bambino che era fasciato, lo legavi e lo portavi al battesimo.  Strepitosa questa scena, di una bellezza eccezionale! Tutti i dipinti sono fatti dopo il 1900: il Manini, che muore nel 1974, e il Servalli, un anno prima, sono artisti contemporanei. Quando siamo nelle nostre chiese non stiamo a guardare proprio tutti i particolari, perché tanto li abbiamo sempre “sotto il naso”! Di solito, chi guarda i quadri delle chiese e gli affreschi è perché non ne può più di sentire la predica del parroco, guarda in aria, si perde via un po’: però non guarda con attenzione!