2.GLI AFFRESCHI ESTERNI
S. Stefano è rappresentato iconograficamente, cioè da quel ramo
della storia dell'arte che si occupa della descrizione,
classificazione e interpretazione di quanto raffigurato nelle opere, dal
classico abito da diacono funzione di assistenza al vescovo che lo aveva
ordinato) e da due grosse pietre, simbolo del martirio: una sulla testa,
che gli ha creato una grossa ferita gocciolante sottostante e l’altra sulla
spalla.
L’accusa per S. Stefano fu di quelle gravi: “Bestemmia contro Dio e contro Mosè”. Nonostante una lunghissima autodifesa, il più lungo discorso che compaia negli Atti degli Apostoli, viene condannato. Trascinano il povero Stefano fuori dalle mura della città e lì, in campo aperto, gli tirano le pietre. Per avere più impeto nel lancio, si tolgono le vesti, che limitavano il movimento del braccio e le depongono ai piedi di un giovane che assiste all’esecuzione, tale Saul. Questi, evidentemente entusiasta dello spettacolo a cui aveva assistito, si lascerà più tardi andare alle persecuzioni dei cristiani, salvo poi rimanere folgorato sulla via di Damasco da una voce che gli domanda: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?” e passare quindi alla storia come Paolo di Tarso o, che dir si voglia, San Paolo.
Il restauratore bergamasco Carlo Novali, nella sua relazione finale sul lavoro conservativo dell’affresco effettuato nel maggio del 2007, dichiara che ”…la pellicola pittorica della palma del martirio con datteri è in gran parte caduta, mentre delle scritte rimangono deboli tracce”; “…si intravede il disegno preparatorio con colori ocra e rosa”.
L’accusa per S. Stefano fu di quelle gravi: “Bestemmia contro Dio e contro Mosè”. Nonostante una lunghissima autodifesa, il più lungo discorso che compaia negli Atti degli Apostoli, viene condannato. Trascinano il povero Stefano fuori dalle mura della città e lì, in campo aperto, gli tirano le pietre. Per avere più impeto nel lancio, si tolgono le vesti, che limitavano il movimento del braccio e le depongono ai piedi di un giovane che assiste all’esecuzione, tale Saul. Questi, evidentemente entusiasta dello spettacolo a cui aveva assistito, si lascerà più tardi andare alle persecuzioni dei cristiani, salvo poi rimanere folgorato sulla via di Damasco da una voce che gli domanda: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?” e passare quindi alla storia come Paolo di Tarso o, che dir si voglia, San Paolo.
Il restauratore bergamasco Carlo Novali, nella sua relazione finale sul lavoro conservativo dell’affresco effettuato nel maggio del 2007, dichiara che ”…la pellicola pittorica della palma del martirio con datteri è in gran parte caduta, mentre delle scritte rimangono deboli tracce”; “…si intravede il disegno preparatorio con colori ocra e rosa”.
Il latino era la lingua dei nobili, delle persone importanti, stimate, mentre la lingua del volgo, che stava nascendo, era parlata dal resto del popolo. Nella sua relazione il restauratore Carlo Novali scrive: “…il bianco dei capelli e della barba ha uno spessore accentuato ottenuto con più sovrapposizioni di bianco di calce con impressi segni ondulati, poi ultimati con velature filiformi grigie”. Lo stesso restauratore fa sorgere un dilemma: è la figura di S. Girolamo o quella di… S. Giobbe? La confusione deriva soprattutto dall’aspetto visivo: le lacerazioni dipinte costituiscono piaghe o ferite? Giobbe, figura molto nota nella Bibbia come modello di pazienza e di lunga vita, fu colpito da una riluttante malattia, che lo ridusse tutto una piaga.
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