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LA BAITA DELLA CAPRA
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LA BAITA DELLA CAPRA
CARONA (Valle Brembana)
Due giovani cacciatori avevano trascorso un'intera giornata
a caccia di camosci nella zona dell’attuale rifugio Calvi(1). La
giornata era stata propizia perché dopo un lungo inseguimento avevano abbattuto
un bell'esemplare di camoscio, ma poiché nel frattempo si era fatto tardi e
sarebbe stato impossibile fare ritorno in paese prima del tramonto, decisero di
passare la notte in una baita della zona, cosa che avevano fatto già altre
volte. Sistematisi nella baita e acceso il fuoco nel camino, decisero di far
abbrustolire sulla brace il fegato del camoscio e di mangiarselo per cena.
Stando seduti attorno al fuoco, in attesa che il fegato fosse cotto a puntino,
ripercorrevano gli avvenimenti della giornata: il paziente appostamento,
seguito dall'apparizione, sulla cima di un'alta rupe, della sagoma slanciata e
imponente di un camoscio maschio, il successivo inseguimento tra dirupi, creste
e canaloni, i due precisi colpi di carabina che avevano steso l'animale. Una
bella giornata davvero, una di quelle che sarebbe stato più opportuno
concludere in un'osteria, davanti a un fiasco di vino e in compagnia degli
altri cacciatori di Carona e, magari, di una bella ragazza. A un certo punto
uno dei due giovani esclamò:
"Oh, che bello sarebbe se adesso si aprisse
la porta ed entrasse quella tipa, allora sì che ci divertiremmo!".
"La serata sarebbe proprio perfetta" convenne l'altro che ben conosceva
le qualità della "tipa" a cui alludeva il compare, una ragazza del
paese, piuttosto chiacchierata per non essere proprio una santarellina. Strano
a dirsi, il sogno dei due giovani si realizzò in un batter d'occhio: qualcuno
bussò e, aperta la porta della baita, si presentò nientemeno che la ragazza
appena evocata. I due cacciatori rimasero a bocca aperta per la sorpresa, al
punto che, tutti occupati ad accogliere nel migliore dei modi l'ospite
inattesa, dimenticarono di controllare il fegato che rischiava di abbrustolire
oltre il dovuto. Se ne accorse la ragazza che li richiamò:
"Ultì chel
fìdec, che 'l brüsa!". Ma la voce che le era uscita dalla bocca aveva un non so che
di sinistro che contrastava con i lineamenti delicati del suo viso. Il particolare
non sfuggì al più attento dei due cacciatori il quale, mentre stava
avvicinandosi al fuoco per rigirare il fegato, notò con spavento che da sotto
la lunga gonna spuntavano un paio di zoccoli di capra.Ormai non c'erano più dubbi: quella "tipa" era il
diavolo in persona! Un brivido di terrore corse giù per la schiena del giovane,
che tuttavia seppe conservare un po' di sangue freddo. Quanto bastava a far
rispondere a tono all'ordine dell'ormai indesiderata ospite:
"Se 'l brüsa,
làghel brüsà!". Poi, preso per un braccio il compagno ancora ignaro di
tutto, lo trascinò fuori dalla baita e via di corsa verso casa, incuranti del
buio e dei pericoli, dimentichi del camoscio e dei sogni proibiti, con l’unico
desiderio di sfuggire alle grinfie del Diavolo. La loro avventura divenne
presto di dominio pubblico e quando i compaesani incontravano i due giovani, la
domanda era sempre la stessa:
"Com'éla 'ndacia chèla ölta con chèla
cavra?". E da allora quella baita
fu per tutti la baita della capra.
(1)Il rifugio, situato a
2.015 m., è dedicato alla memoria dei quattro fratelli Calvi, originari di Piazza Brembana. Tre di essi, Attilio, Santino e
Giannino perirono da eroi durante la Prima guerra mondiale.Il rifugio si trova
nel centro di una delle conche più belle dell'arco Orobico(nella quale sono posti i laghi Fregabolgia e Rotondo), in cui primeggiano tutte le
maggiori elevazioni della Val Brembana. Tra queste spicca senz'altro la
cuspide del Pizzo del Diavolo Tenda, che
costituisce sicuramente la montagna più rappresentativa della zona.
Al centro,il Diavolo e il Diavolino visti dalla fontanella del rifugio. "Il Diavolo ha reso tali servigi alla Chiesa, che io mi meraviglio com'esso non sia stato ancora canonizzato". Carlo Dossi |
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