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GIOAN TANANAI
(Valle Seriana)
In un paese della Valle Seriana viveva un’anziana vedova, di
nome Martina, che per sopravvivere coltivava un grande campo a lino e canapa. Era
sola, per cui doveva sgobbare senza sosta, da mattina a sera, per far fruttare
al meglio quel terreno, poco dissodato e tutt’altro che fertile. Quell’anno,
però, grazie anche alla tenacia della coltivatrice, il campo era stato
abbastanza generoso e aveva prodotto lino e canapa in quantità, tanto che la
donna temeva che non sarebbe mai riuscita da sola a portare a termine il
raccolto, quindi a scardassare (1) le fibre grezze con la gramola (2), per poi filarle
e tesserne della buona tela casalinga. Martina era proprio disperata e,
incapace di prendere una decisione, si aggirava su e giù per il campo
piagnucolando e borbottando: “Povera me, come farò a raccogliere tutta questa
roba? Non ho nessuno che mi possa dare una mano e io da sola non me la sento
proprio”.
Assorta in questo piagnisteo, la donna non si era accorta
che lungo i margini del campo si era fermato un distinto signore, dagli abiti
eleganti e dai modi apparentemente gentili.
“Perché piangi?” le chiese lo sconosciuto che sembrava
vivacemente interessato alla sua sorte. Martina raccontò tra i singhiozzi le
sue preoccupazioni, maledicendo la sua vecchiaia e solitudine. “Smettila di
piangere e non abbatterti - la esortò il nuovo venuto - adesso ci sono qua io,
pronto ad aiutarti”. Alla povera donna non parve vero di poter contare su
quell’aiuto imprevisto e mostrò di gradirlo assai. Ma l’uomo dichiarò che in
cambio dell’aiuto la donna avrebbe dovuto indovinare il suo nome. “Quando avrò
finito il lavoro - confermò l’insolito personaggio - dovrai dirmi come mi
chiamo. Per agevolarti ti lascerò tre possibilità, attenta però a non
sbagliare, perché altrimenti tutto il tuo raccolto andrà in rovina e tu stessa
non finirai bene!”. La donna non fece molto caso a quella minaccia: al momento
l’unica cosa che le stava a cuore era di mettere a tetto il raccolto, poi
scardassarlo e filarlo, al resto ci avrebbe pensato dopo. Così accettò la
proposta senza pensarci due volte e se ne tornò a casa, dove doveva badare ad
altre faccende. Ricevuto l’incarico, lo sconosciuto, che altri non era se non
un Diavolo a passeggio, chiamò a raccolta una dozzina di suoi simili e, assieme
a loro, si inoltrò nel campo e si mise alacremente al lavoro.
In breve tutto il lino e tutta la canapa finirono in due distinti ed enormi cumuli, sistemati sotto gli alberi di un vicino boschetto. “Adesso che cosa dobbiamo fare?” chiesero poi al loro capo i diavoletti desiderosi di riprendere il lavoro. “Dovete scardassare e poi filare tutto questo materiale, - ordinò il Diavolo - ma attenti a fare le cose per bene, senza combinare qualcuno dei vostri pasticci!”. “Evviva” fu la risposta all’unisono di quegli svelti lavoratori che senza por tempo in mezzo improvvisarono un efficace lavoro a catena: chi maneggiava la gramola, separando le fibre legnose da quelle tessili del lino e della canapa; chi prendeva le fibre buone e le filava con rocca (3) e fuso (4), riducendole in grandi gomitoli morbidi, e chi sistemava il tutto in apposite ceste, pronte per essere trasportate alla casa di Martina. Non erano che a metà del lavoro, quando un povero mendicante che passava di li chiedendo l’elemosina, sentì uno di questi personaggi, all’apparenza dei braccianti, gridare a gran voce rivolto al suo capo: “Giòan Tananài, nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai!”.
In breve tutto il lino e tutta la canapa finirono in due distinti ed enormi cumuli, sistemati sotto gli alberi di un vicino boschetto. “Adesso che cosa dobbiamo fare?” chiesero poi al loro capo i diavoletti desiderosi di riprendere il lavoro. “Dovete scardassare e poi filare tutto questo materiale, - ordinò il Diavolo - ma attenti a fare le cose per bene, senza combinare qualcuno dei vostri pasticci!”. “Evviva” fu la risposta all’unisono di quegli svelti lavoratori che senza por tempo in mezzo improvvisarono un efficace lavoro a catena: chi maneggiava la gramola, separando le fibre legnose da quelle tessili del lino e della canapa; chi prendeva le fibre buone e le filava con rocca (3) e fuso (4), riducendole in grandi gomitoli morbidi, e chi sistemava il tutto in apposite ceste, pronte per essere trasportate alla casa di Martina. Non erano che a metà del lavoro, quando un povero mendicante che passava di li chiedendo l’elemosina, sentì uno di questi personaggi, all’apparenza dei braccianti, gridare a gran voce rivolto al suo capo: “Giòan Tananài, nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai!”.
Il mendicante capì che quello doveva essere il nome di quel
robusto personaggio, tutto ben vestito, che se ne stava appollaiato sul ramo di
un albero intento a sorvegliare il lavoro. Il poveretto non riusciva però a
spiegarsi come mai c’era così tanta e operosa gente nel podere di Martina, la
vedova che lui conosceva bene, perché era sempre generosa nei suoi riguardi,
ogni volta che passava da queste parti.
Così, alquanto preoccupato per la novità e spaventato per il
piglio risoluto di quella singolare brigata, se ne scappò via in tutta fretta e
corse fino alla casa della vecchia. Accolto con la consueta ospitalità da
Martina e dopo aver divorato in un attimo una grossa fetta di polenta con un
pezzetto di formaggio e tracannato un bicchiere di vino, il mendicante si
informò sul motivo della presenza di tanta gente sconosciuta nel podere. La
donna raccontò di quello strano incontro avuto poche ore prima, accennando
anche al fatto che doveva indovinare il nome di quell’insolito personaggio,
unica condizione da lui posta per svolgere il lavoro nel podere.
“Adesso, però, sono un po’ in fastidio - aggiunse Martina
con fare preoccupato - perché non ho la minima idea di quale sia il suo nome e
non vorrei che per questo se la prendesse con me”.
“Ma io lo so il suo nome: - esclamò con gioia il mendicante
che si era ricordato delle parole udite nel bosco - si chiama Gioàn Tananài, ho
sentito poco fa che lo chiamavano così”. A quelle parole, Martina trasse un
sospiro di sollievo e per ringraziare il suo ospite dell’inattesa
collaborazione, gli diede un fagottino con il resto della polenta e del
formaggio. La mattina seguente il Diavolo bussò alla porta della vedova,
accompagnato dai suoi accoliti, ciascuno dei quali portava in spalla un’enorme
cesta colma di gomitoli di lino e canapa.
“Eccomi qua - dichiarò tutto soddisfatto rivolgendosi alla
donna - ho ultimato il lavoro come promesso, adesso mi aspetto che tu indovini
il mio nome, altrimenti guai a te!”.
Martina ringraziò tutta contenta, senza un attimo di
esitazione, cosa che destò una certa sorpresa nel Diavolo, convinto ormai di
averla in pugno. “Il tuo nome? - fece lei imperterrita - Certo che lo so, ti
chiami Giacomo, come mio nonno...". “Sbagliato!” gridò l’altro tutto
contento. “Allora ti chiami Daniele, come il mio povero marito” continuò la
donna, fingendo di tirare ad indovinare. “Hai di nuovo sbagliato - sghignazzò
il Diavolo, fregandosi le mani, - sono certo che non lo sai come mi chiamo e
perciò dovrai cedermi l’anima!”.
Allora Martina, fattasi seria, soggiunse: “Tu credevi di
impadronirti dell’anima di questa povera vecchia solo per aver fatto lavorare
per alcune ore i tuoi compari. Sappi, invece, che ti conosco bene: tu sei un
Diavolo e ti chiami Gioàn Tananài, te ne vai in giro a insidiare le persone
timorate di Dio, ma questa volta hai fallito!”. Così dicendo tracciò un segno
di croce in aria e recitò ad alta voce una preghiera. Allora il principe delle
tenebre, sorpreso e indispettito per essere stato gabbato dalla vecchietta,
cominciò a insultarla: “Maledetta, voi donne ne sapete sempre una più di me,
questa volta mi è andata male, ma non è finita qui, vedrai quando arriverà il
tempo del prossimo raccolto!”.
Poi cominciò ad uscirgli un fumo denso e nero dalle narici, mentre tutt’intorno si diffondeva un acre odore di zolfo. Nel frattempo il cielo cominciò a coprirsi di scuri nuvoloni dai quali si sprigionarono miriadi di lampi seguiti da tuoni fragorosi e il Diavolo e i suoi subalterni se ne fuggirono via avvolti da un turbinìo di fiamme. Ancora oggi si afferma che chi passa da quelle parti avverte un forte odore di bruciato, che diventa più intenso durante i temporali. Qualcuno sostiene che sia tutta colpa di quel terribile episodio ed è pronto a giurare che durante qualche nubifragio più forte degli altri, costellato da fulmini abbaglianti e da venti impetuosi, si odano ancora echeggiare in quei luoghi le urla selvagge dei Diavoli provenienti dagli abissi dell’Inferno.
Poi cominciò ad uscirgli un fumo denso e nero dalle narici, mentre tutt’intorno si diffondeva un acre odore di zolfo. Nel frattempo il cielo cominciò a coprirsi di scuri nuvoloni dai quali si sprigionarono miriadi di lampi seguiti da tuoni fragorosi e il Diavolo e i suoi subalterni se ne fuggirono via avvolti da un turbinìo di fiamme. Ancora oggi si afferma che chi passa da quelle parti avverte un forte odore di bruciato, che diventa più intenso durante i temporali. Qualcuno sostiene che sia tutta colpa di quel terribile episodio ed è pronto a giurare che durante qualche nubifragio più forte degli altri, costellato da fulmini abbaglianti e da venti impetuosi, si odano ancora echeggiare in quei luoghi le urla selvagge dei Diavoli provenienti dagli abissi dell’Inferno.
(1)Raffinare la fibra con lo scardasso, uno strumento fatto
di due tavolette con punte di ferro uncinate.
(2)Macchina per frantumare e separare dalle fibre legnose
le fibre tessili della canapa e del lino.
(3)Bastone a cui veniva legato l'ammasso di fibre da
filare.
(4)Strumento che permette di filare a mano.
La filatura si ottiene con la torcitura di fibre tessili in modo da trasformare un ammasso di fibre in un filato.
Si racconta che il Diavolo è stato il primo a fare l'acquavite.
Per una buona azione sia detto "grazie" anche al Diavolo.
Maksim Gorkij
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