17 24 1 8 15
23 5 7 14 16
4 6 13 20 22
10 12 19 21 3
11 18 25 2 9
IL TESORO DELLA REGINA
VAL BREMBILLA
A nord-est della remota ma bella borgata di Brembilla, tra
S.Antonio Abbandonato e la forcella di Bura, accanto al cosidetto Corno dei
Camosci, s’innalza una cima che, forse per la sua forma e per l'eminente
altezza da cui si dominano i due versanti opposti di Brembilla e di Sussia,
frazione alta di S. Pellegrino, è chiamata Castello Regina.
Si narra dunque che lassù sorgesse un castello comandato nientemeno
che da una regina (Teodolinda?), protetta dalla cavalleria ch’era accampata nei
prati sottostanti dove ora sorge la contrada di Cavallia, che avrebbe preso il
nome da quella cavalleria, ma dove forse neppure i muli potrebbero arrivare.
Era una donna forte e guerriera, andava sempre in testa ai
suoi soldati nelle battaglie e ritornava ogni volta vittoriosa al suo castello.
Quando ritornava dalle sue guerre, appena giunta a Gualguari
(questo luogo è attualmente il centro del paese di Brembilla) si fermava nella
piazza e provvedeva ad impiccare i suoi nemici, i traditori e i prigionieri.
Quando li aveva tutti impiccati, ripartiva per risalire al suo castello e dopo
nessuno poteva più vederla per molto tempo.
Un bel giorno una staffetta porta alla regina questa
notizia: in una località detta Lasiol, si era accampato un re con molti suoi
soldati; questo re aveva una corona tutta d'oro, sacchi pieni di marenghi e un
vitello tutto d'oro. La regina, udita la notizia, radunò tutti i suoi soldati e, raccontata la cosa, promise che avrebbe lasciato a loro tutto l'oro che
avrebbero conquistato; per sè avrebbe tenuto soltanto il vitello d'oro e la
corona. La stessa sera l'esercito della regina partì per la guerra e durante la
notte si preparò per la battaglia.
Era una notte d'agosto e c'era la luna piena. A mezzanotte i
soldati della regina cominciarono l'attacco, che durò fino a tanto che il
re si mise in fuga verso le rocce dell'orrido al di là di Brembilla;
dall'orrido uno alla volta precipitarono nel burrone, ma il re, prima di morire,
mandò una maledizione alla regina che aveva preso il suo vitello d'oro: infatti
questo vitello era simbolo della sua religione. La regina tornò al castello
vittoriosa, portando con se' il bottino di guerra: la corona del re e il suo
vitello d'oro. Sennonché, quando era già ritirata nella sua stanza, si scatenò un
furioso temporale che faceva tremare la montagna e le muraglie del castello; dopo poco tempo la terra si spalancò, si aperse una voragine così grande che
inghiottì tutto e tutti: la regina, il castello, il vitello e la corona, entrambi tutti d'oro.
Il tesoro dunque c’è! E che tesoro! Nientemeno che un
vitello d’oro, ma purtroppo di molto difficile conquista, dal momento che è
tanto ben sepolto e che nessuno l’ha
ancora potuto rintracciare.
E sì che lo si è cercato a più riprese, frugando e scavando
il suolo in più punti!...
Adesso però, bisogna che io faccia una rivelazione al
lettore incredulo.
Il tesoro della regina sarebbe stato preso in consegna da un
arrabbiatissimo stuolo di streghe e di diavoli che, a quanto pare, non
intendono mollarlo né per poco né per tanto. Non si sa se abbiano data la
loro brava parola d'onore come si usa
ancora, qualche volta, tra noi; ma se l’han data, sanno mantenerla certamente.
Fatto sta che, tutte le volte che qualcuno s’è azzardato a
scavare lassù, i diavoli, le streghe e gli stregoni, con esemplare ed edificantissima corcordia, hanno montato un tale finimondo di lampi, tuoni, vento e grandine, che questo qualcuno ha dovuto venir via più che in
fretta e, qualche volta, con in corpo una drastica tremarella più efficace del
più celebre dei purganti, tale insomma da lasciar palesi conseguenze olfattive e far perdere qualsiasi eroica velleità di altri tentativi.
A Brembilla, io ho parlato con il signor Giacomo Rinaldi, il quale si ricordava molto bene di una spedizione notturna di cinque o sei Brembillesi
capeggiati da un vecchio di ottantaquattro anni. Questi audaci,armati della più
coraggiosa ingenuità e di strumenti adatti allo scavo, una sessantina di anni fa, erano saliti al Castello Regina alla scoperta
del vitello d’oro e annesse monete, collane, pietre preziose. Ma un uragano
infernale era scoppiato a ciel sereno, proprio nel momento in cui si sentiva il
sordo rimbombo dei colpi di piccone sopra certi lastroni di pietra.
Dovettero piantar lì i loro strumenti e fuggire
precipitosamente: il prodigio sta nel fatto che, a pochi passi da quel luogo, il
cielo era di un azzurro intenso, c'era una serenità paradisiacale che lasciava ammirare una splendida stellata e l'aria era tanto tranquilla. Non parliamo poi dei coraggiosi, reiterati e più recenti
tentativi del Pirassì, un gobbetto originale, povero in canna, che viveva di
sogni, di speranze e di poco d’altro, sempre in compagnia di una pipetta, rogo perenne
dei residui di tabacco di tutta la contrada.
Ebbene, anche il Pirassì, che aveva sfidato più volte i
disagi e i pericoli di quella cima, diceva (e se non credete a lui, a chi
volete credere?) che ogni volta che egli iniziava i suoi scavi, al momento
giusto, anche in pieno giorno, il cielo si abbuiava improvvisamente e le
streghe, con i diavoli, facevano una tregenda giù per i canaloni del Córen
Camossér da far accapponare la pelle e costringere alla ritirata.
Così, lettore mio, il tesoro della regina è rimasto intatto
nelle viscere del monte e se qualcuno possedesse, per caso, qualche potente
scongiuro e avesse abbastanza fegato in corpo per osare di sottrarlo alle
grinfie del sire d’Averno, potrebbe ancora tentare la conquista.
"Dove Dio ha costruito una chiesa, il Diavolo costruisce anche lui una cappella".
Martin Lutero
Nessun commento:
Posta un commento