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LA BAITA DEL DIAVOLO
ORNICA (Val d’Inferno)
In Val d’Inferno non poteva mancare la baita del diavolo. Ecco
quello che accadde tanto tempo fa a due pastorelli di Ornica, saliti come ogni
giorno in Val d’Inferno per portare al pascolo il loro gregge. Mentre le pecore
brucavano l’erba, i due ragazzi si misero a giocare e non si accorsero che esse
si erano allontanate dal luogo del pascolo per risalire la valle in cerca
dell’erba più verde e dei fiori più profumati. Così, fattosi tardi, furono
costretti a salire su verso la "Sfinge" (1), l’imponente e caratteristica
roccia
dalle inquietanti sembianze umane che domina la valle, per recuperare le
pecore. Percorsero un buon tratto di sentiero, poi finalmente scorsero in
lontananza la macchia gialla del gregge e si sentirono sollevati per averlo
ritrovato, evitando così di dover continuare le ricerche dopo il tramonto e
magari di incorrere in una sonora sgridata dei genitori per non aver adeguatamente
vigilato. Fermatisi un attimo per prendere fiato prima di radunare il gregge e
iniziare la discesa, scorsero sull’altro versante della valle un sottile filo
di fumo che saliva dal camino di una baita alquanto diroccata.
Meravigliandosi
che la baita fosse abitata, decisero di andare a fare una visita agli
inquilini, pensando che forse stavano preparando la polenta e, poiché erano
affamati, ne avrebbero potuto chiedere una fetta, accompagnata da un po’ di
formaggio per farne un “chisöl" (2) da abbrustolire sulla brace. Si avvicinarono
dunque alla baita, pregustando il prelibato sapore della polenta abbrustolita e
del filante formaggio fuso. Prima di bussare, gettarono uno sguardo
all’interno, attraverso una piccola finestra munita di una robusta inferriata.
Quello che videro li riempì di spavento e tolse loro ogni appetito: un omino
magro, dalla lunga barba bianca e completamente calvo, stava accanto al camino
in cui ardeva un fuoco vivo e scoppiettante. Appeso alla catena del camino un
paiolo di rame, tutto sporco di caligine, ma non era polenta quella che bolliva
nel recipiente, bensì una gran quantità di marenghi (3) d’oro! Il vecchietto, con
un ghigno satanico, stava accanto al paiolo e con un grosso e nodoso bastone
rimestava le monete nel paiolo, come si fa con la polenta. Ogni tanto smetteva
di mescolare, si avvicinava a un fascio di vergella (4), le bacchette di ferro
pronte per essere ridotte in chiodi nelle fucine, ne tagliava dei piccoli
pezzetti con un paio di grosse tenaglie e li aggiungeva al contenuto del
paiolo. Che stesse trasformando il ferro in marenghi d’oro? Questa fu la
domanda che si posero gli sbalorditi spettatori dell’infernale operazione, che
sciolsero ogni dubbio sull’identità dello strano personaggio quando si
accorsero che al posto dei piedi aveva due grossi zoccoli bovini.
(1) Un enorme sperone roccioso che sembra riprodurre il volto enigmatico degli antichi monumenti egizi. Una presenza inquietante e severa, che domina la parte terminale della Valle d'Inferno, prima dell'erta finale verso la Bocchetta d'Inferno (a quota 2.306 metri) e il Pizzo dei Tre Signori ((2.554 m.).
(2) Polenta appallottolata con dentro del taleggio, messa ad arrostire vicino al fuoco...una vera prelibatezza!
(3) Il marengo, o napoleone, è una moneta d'oro del valore di 20 franchi coniata nel 1801 dalla Repubblica Subalpina per celebrare la vittoria di Napoleone Bonaparte contro gli Austriaci il 14 giugno 1800.
(4) Barra di ferro o di acciaio, comunemente a sezione circolare, avente il diametro superiore a 5-6 mm..
"Non credo in Dio, figuriamoci poi nel Diavolo.
Ho fiducoia solo nella stupiditàdella materia".
Carl William Brown
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