giovedì 16 luglio 2015

S. MARIA ASSUNTA - LOCATELLO
12. GOCCE DI STORIA (seconda parte)

 Ho narrato nelle pagine precedenti che sicuramente ci sono stati degli insediamenti umani molto precoci: il ritrovamento di fossili e di ossa umane confermano questa umanizzazione della zona, facilitata dal fatto che il nostro terreno è composto in un modo molto caratteristico.
Questa zona, in modo particolare Corna e Locatello, nasce da uno scivolamento del suolo e dal distacco di grossi pezzi di terreno da Fuipiano e da Pralongone, una località sovrastante. Scivolando giù a blocchi si realizzano a valle, una serie di prati verdi, più o meno diritti, con a monte le vene di roccia. Questi pezzi di roccia fanno da freno al terreno e lo bloccano, formando un terrazzamento: e cosi via di seguito, sotto un altro pezzo di roccia e un altro terrazzamento. Pertanto, non sono terrazzamenti antropici, cioè quelli che le persone cominceranno a realizzare, per poter coltivare in piano un filare di vite, con muretti a secco per definire un pezzo di terreno. Sono molto precedenti e, soprattutto, sono naturali.

     La circostanza per cui le persone si sono situate in questa zona è dovuta allo scorrere del il torrente Imagna. Con la presenza dell’acqua si può fare un’infinità di opere, a parte berla. Se l'acqua è abbastanza forte, la si può utilizzare per far muovere delle ruote, che possono far battere dei magli per lavorare il legno o  per schiacciare i cereali e le castagne (la farina di castagne è stata per molto tempo la base per preparare il cosiddetto “pane dei poveri”). Crea un’energia che non è manuale, ma meccanica che aiuta moltissimo nel lavoro. Queste situazioni favoriscono, attorno al fiume, non la nascita di un solo borgo, ma di una serie di contrade ognuna delle quali è ragionevolmente una famiglia. Quelle famiglie che sono arrivate da Locate - padre, madre, fratelli, sorelle, parenti - si spostano e vanno in quello scampolo di terreno, altri vanno nel campo in parte, altri in parte ancora. Ciascun nucleo famigliare diventa proprietario e si lavora il suo pezzetto di terra. Ognuno scava la vena di roccia che ha a monte e, con le pietre, si costruisce la sua casa.
Con le pietre tagliate a "fette" realizzano le “piöde” che utilizzano per fare i loro tetti, inventando una modalità per coprire le case, che rimane una caratteristica unica della Valle Imagna. Costruire un tetto con le piöde è molto più impegnativo e difficoltoso che con un altro tipo di materiale: cominciano a costruire, secondo il loro modo di vivere e diventeranno dei veri maestri in quest’arte architettonica.

     Le case derivano dalla stamberga tedesca - siamo di origine celtica – e, soprattutto in questa zona, in cui abbiamo il terreno con un certo dislivello o pendio. Costruiscono più in alto la stalla o una struttura di deposito e, più giù la casa in modo che la stalla, che rimane a tergo, protegga un pò dal vento e dal freddo che viene dalle montagne. Davanti la “era”, sotto l'orto oppure un’altra stalla e poi un altro orto. Seguendo questo modello, creano una struttura particolarmente articolata, che tiene conto del poco che loro hanno per costruire e che devono far rendere con i migliori risultati, in modo che poi le cose funzionino nel migliore dei modi. Anche “era” è un termine celtico. Con questo termine bergamasco, possiamo intenderla come un anello che si porta al dito, da cui deriverebbe la fede nunziale. La “era” è uno spazio aperto come una corte o un'aia. Oggi chiamiamo aia un cortile o uno spazio aperto, che sta davanti o adiacente alle case abitate. Questo nome è rimasto ancora oggi, per  indicare una zona come la località Era in Locatello.

     Falsa è la credenza popolare, secondo cui il paese Locatello nasca dal nome della famiglia Locatelli, che nel periodo medioevale (1000-1300 d.C.) era tra le più illustri.  Si sa che i primi Locatelli furono mercanti di lana, notabili e possidenti di stirpe Guelfa.
Il primo documento che porta il nome Locatelli è del 1168. Nell'anno 1237 l'Imperatore Federico II, in feudo Adalberto Locatelli era signore di Locatello con il titolo di Barone. Nello stemma del casato Locatelli vi è  l'immagine dell’allocco - in bergamasco “löc” - rappresenta la radice del nome Locatelli. 
Secondo l'”Araldica dei cognomi”, il casato era rappresentato, nel XII e XIII secolo, da un'oca e poi da un cigno. Per la famiglia Locatelli, nobili longobardi, solo l'eleganza e la grazia di un uccello acquatico come il cigno appariva più consona al loro lignaggio. Inoltre, in molte tradizioni, il cigno significa vecchiaia gloriosa, portatore di buona fortuna e rispettabilità. Dal XV secolo l’emblema della famiglia è stato cambiato in allocco, sostituendo prima il gufo e poi la civetta, peraltro tutti simboli di saggezza, prudenza e vittoria.
E’ verosimile che il nome, successivamente, abbia determinato lo stemma e non il contrario.
Sullo stemma del nostro paese abbiamo il “löc” e, quindi, tutti pensano che il nome sia stato da questo attribuito; invece è esattamente il contrario. I nostri preti, quando diventavano vescovi, dovevano “disegnarsi” uno stemma. Un tempo si cercava un oggetto, un animale, un elemento che avesse assonanza con il nome. La famiglia Rota mette nel suo stemma una ruota, chiaramente, perché è la cosa che più le somiglia. Per “illustrare” il nome Locatello si mette il “löc”, che ha solo la dieresi di differenza, quindi si prende un animale notturno, un allocco o un gufo reale e lo si inserisce nello stemma per assonanza.

     Quando si deve individuare la famiglia che abita nella contrada adiacente si chiama, per dire, il Bortolo. Se poi si deve evidenziare un Bortolo tra i tanti, che ci sono in giro, si dice il Bortolo del Carlo, cioè figlio del Carlo. Cosi, in passato, si identificava un figlio dal padre. Negli antichi documenti, come sui certificati di battesimo vecchi, c’era scritto “di” oppure “fu” con riferimento chiaro al nome del papà. Questa razionalità è andata avanti per molto tempo. Ma quando gli abitanti di Locatello cominciano ad uscire dalla valle per raggiungere Bergamo, comincia ad essere difficile riconoscere il Bortolo, figlio del Carlo. Chissà quanti ce n’erano a Bergamo. Perciò cominciano a dire Bortolo de Locatello per affermare che veniva dal paese di Locatello come, citando dei nomi attendibili che troviamo nei documenti antichi, Torro – avvocato - de Locatello, Tonino – professore - de Locatello a cui hanno intestato una via del paese.
Capite che dal “de Locatello” arrivare a Locatelli il passo è breve. Pertanto, il nome Locatelli deriva dal paese e non il contrario: prima arrivano le persone che danno il nome al paese, da quello che avevano loro – Locate - e poi arriva il nome Locatelli.  Stime attendibili affermano che i Locatelli siano più' di 25.000, sparsi sui cinque continenti. Non mi sorprende, perché noi bergamaschi siamo molto orgogliosi. E’ difficile che un bergamasco chieda aiuto: prima “fa carte false” per riuscire a realizzarsi da solo. E’ sempre stato il carattere del bergamasco di non voler cedere.

     I primi abitanti di Locatello andarono a “lavorare via” quando, distrutto il ponte di Almenno e persa la speranza che Venezia lo ricostruisse, arrivò a metà del 1400, Bartolomeo Colleoni condottiero e capitano di ventura, assoldato prima da Venezia e poi da Milano, a distruggere e imporre delle tasse assurde.
I nostri nonni ci raccontano con le loro saggezze popolari - “…dal preost, dal dutur e dall’esatur el me libere ol Signur” - che ancora ai loro tempi si suonassero le campane a morte il giorno dell’esattore!
Gli abitanti di Locatello non erano tirchi, ma l'esattore delle tasse, quando puntualmente arrivava, chiedeva sempre di più a una popolazione che aveva sempre di meno: era una vera e grande tragedia. Non mancarono episodi di ribellione e di rivolta con le armi in cui intervennero i soldati ad accompagnare l'esattore delle imposte.
Gli uomini forti come i montanari “…in una povera Valle Imagna” … ”necessitati a cercar altrove vitto e sostentamento per le proprie fatiche e sudori…” si recano fare “li facchini” come recano i documenti, a trasportare le pietre e la sabbia “…su e giù per le salite”. Vanno a fare i servitori, gli Arlecchini o gli Zanni, a Venezia, sempre sfruttati ma accolti “a braccia aperte” perché sono dei grandi e onesti lavoratori. Dobbiamo esserne fieri, perché è importante sapere che discendiamo da un popolo tanto esemplare. Inviano a casa i soldi per comprare il mangiare alla famiglia e, insieme, mandano i “tesori” alle loro Chiese; questi quadri arrivano sicuramente dagli emigranti di Locatello.
Con la peste del 1630 e la chiusura, sempre più accentuata, per lo sviluppo di nuove vie, la Valle Imagna rimane tagliata fuori “dal mondo”.
La strada della Valle Imagna è una sola, mentre le altre valli sono tutte collegate fra di loro, quindi destinata ad un isolamento sempre più pesante. Dai primi anni del 1800 fin dopo la 1a guerra mondiale, molti bergamaschi, non solo di Locatello e della valle,  
“…si ritrovano a Venetia, in Frioli Ravena et in Franza”, come riporta in un documento Zuanne da Lezze nel 1596. Quando camminiamo per la via “Passeggiata dei Francesi”, ricordiamoci che quelli che erano andati a lavorare in Francia, tornando a casa, volevano avere qualcosa che ricordasse il luogo dove avevano lavorato e vissuto. Lo stesso discorso per “Corso Losanna” che richiama gli emigranti in Svizzera. Dobbiamo essere fieri di queste cose!

     Partono gli uomini, il paese si svuota. Rimangono le donne con i bambini e gli anziani. In attesa che arrivino i soldi dall'estero, che non arrivano mai, o da Venezia e da Milano, che arrivano una volta ogni tanto, le donne di Locatello si “fanno carico” di mantenere i loro figli e i loro vecchi.
Teniamo conto che, ragionevolmente, ogni volta che il marito tornava a casa in permesso, la moglie rimaneva incinta.
Mia nonna, quando mi raccontava la nascita dei suoi figli, mi diceva “…nel quarantasett e quarantott …nel quarantasic e nel quarantases nesun perché l’era in guera il Giass” facendo i conti sui figli in questo modo.
Queste donne, ogni volta che il marito ripartiva, erano quindi ragionevolmente incinte e dovevano lavorare la loro terra e “governare” la loro stalla per “…tirar su qualcosa per fare mangiare i loro figli”. Cominciano a lavorare il lino, la lana “…quelle femmine che tessono e filano” in modo da avere e vendere dei tessuti per avere dei soldi: non bastava nutrirli questi bambini, ma devi pur dargli qualcosa.
Con l'ultima emigrazione, la maggior parte delle donne si rifiuta di restare a casa. Prendono “baracca e burattini” e partono con i loro mariti, portando la famiglia: questa volta non lasciano che gli uomini vadano da soli. A quelle che rimangono, il compito di tenere vivo il paese, non come struttura, ma il paese come devozioni e  storia.

    Un monumento al loro coraggio e alla loro saggezza quando si ribellano ai Francesi, che arrivano e vietano le processioni del Venerdì Santo e le erogazioni. Le erogazioni, per il popolo di montagna ma anche di pianura dove c’è tanta terra, sono straordinariamente importanti, perché si girava dall'alba fino al pomeriggio, ma si toccava ogni punto del paese e ad ogni sosta il parroco doveva benedire ai “quattro venti”, con il risultato di benedirlo tutto e proteggerlo dai fulmini, dalle tempeste, dai temporali e dalla grandine, per ottenere un buon raccolto. Fanno il giro per conto loro, solo con il prete e mantengono queste tradizioni che sono veramente il senso, l’essenza vera di un paese.               
                   
     Arriviamo ai giorni nostri: la crisi tocca tutto e, ovviamente,  anche Locatello. Un grande segno di fiducia e di speranza  l’ho visto nei bambini. Ho incontrato nelle mie passeggiate una signora con quattro bambini, di cui uno appena nato. L’ho preso in braccio, me lo sono “spupazzato” per bene e le ho detto: “Che fortuna! Ha un battesimo”. E lei mi ha risposto: ”Ne ho tre! Nella mia contrada piccolinissima tre battesimi!”. Questo avviene alle donne che accettano di stare nei nostri piccoli paesi perché, lo sappiamo tutti, anche se il marito decidesse di stare qua e loro non vogliano, alla fine lo convincono ad andare via. Se rimangono ancora delle giovani coppie, dobbiamo dire grazie alle donne. Bisogna essere veramente riconoscenti alla loro saggezza, fermezza e solidità nel segno della tradizione.
E’ una cosa molto importante: è fedeltà e attaccamento alle proprie radici!

     Tutte le produzioni tipiche di questa zona non esistono più. Le lavorazioni della Valle Imagna erano basate sul legno: segherie, falegnamerie e tornerie. Famosi sono i “pinocchi” che sono nati qui ed hanno conquistato il mondo. Mio nonno partiva dalla bassa bergamasca con il carretto e veniva in Valle Imagna a prendere gli scarti di lavorazione delle tornerie, che servivano come legna da bruciare nel camino. Io, spesso, glieli portavo via perché avevano delle forme per me magiche e perché non capivo cosa fossero: mi ricordo delle volute, dei ghirigori, ottenuti dallo scarto delle gambe di una sedia e quello che rimaneva, per me, era comunque bello.
Queste cose non ci sono più. C’erano più di tremila artigiani del legno e ne sono rimasti, forse, trecento in tutta la valle. Alcuni di loro, che ho sentito di persona, mi hanno detto: ”Noo!…io le lavorazioni le faccio arrivare dalla Cina...costa di meno!”.
Rimane, secondo il mio parere, a parte la fierezza e l'orgoglio, la voglia di mantenere una terra veramente straordinaria! Ho notato poche mulattiere rimesse in ordine. Un sogno, per i prossimi anni, è che si riesca a sistemare anche le altre perché la mulattiera è un modo di collegare una contrada con l'altra, una casa con l'altra, nel calore e nell’amicizia: fare un cammino a piedi e dei passi di avvicinamento volontario nei confronti delle persone. Invece prendiamo la macchina, facciamo un pezzo di strada, la lasciamo al parcheggio, ”…te se incasett”  perché non c’è un  posto libero. Non è esattamente la stessa cosa. Bisogna mantenere questo senso dell'avvicinamento, dell'andare incontro. Si potrebbe realizzare, a livello turistico, una rete di mulattiere o rimettere in “buono stato” quelle già esistenti, e sono numerose, che attraversano “di qui e di la”: sarebbe un cammino straordinario.

Qui termina la mia narrazione: potrei scrivere ancora parecchie cose sulla Chiesa e sul paese... ma ho paura di diventare pesante e indigesto!
Se qualcuno ha riscontrato errori o vuole fornirmi ulteriori informazioni o fotografie o documenti o ...Grazie!!


galdinorota@inwind.it

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