sabato 30 gennaio 2016

9. IL PROCLAMA ALEXANDER
LA "BANDA" RESMINI
LA BADOGLIEISE (Fausto Amodei)

Il proclama Alexander fu un discorso pronunciato via radio dall’emittente "Italia Combatte", la stazione radio attraverso la quale il comando anglo-americano manteneva i contatti con le formazioni del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), dal comandante in capo delle truppe alleate nel Mediterraneo feldmaresciallo inglese Harold Alexander nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1944. Questo proclama rivolto agli aderenti alla resistenza armata nel nord Italia richiedeva la cessazione di ogni operazione organizzata su vasta scala e l’attestarsi su posizioni difensive e, allo stesso tempo, dichiarava sospesa ogni operazione militare Alleata per l'inverno 1944/'45.
Il feldmaresciallo inglese Harold Alexander, comandante in capo delle truppe alleate nel Mediterraneo.
"Patrioti! La campagna estiva, iniziata l'11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea gotica, è finita: inizia ora la campagna invernale.
In relazione all'avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l'avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno.
Questo sarà molto duro per i patrioti, a causa della difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità di lanci; gli alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti.
In considerazione di quanto sopra esposto, il generale Alexander ordina le istruzioni ai patrioti come segue:
1. cessare le operazioni organizzate su larga scala;
2. conservare le munizioni ed i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini;
3. attendere nuove istruzioni che verranno date a mezzo radio "Italia Combatte" o con mezzi speciali o con manifestini. Sarà cosa saggia non esporsi in azioni arrischiate; la parola d'ordine è: stare in guardia, stare in difesa;
4. approfittare però ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi e i fascisti;
5. continuare nella raccolta delle notizie di carattere militare concernenti il nemico; studiarne le intenzioni, gli spostamenti, e comunicare tutto a chi di dovere;
6.le predette disposizioni possono venire annullate da ordini di azioni particolari;
7.  poichè nuovi fattori potrebbero intervenire a mutare il corso della campagna invernale (spontanea ritirata tedesca per influenza di altri fronti), i patrioti siano preparati e pronti per la prossima avanzata;
8. il generale Alexander prega i capi delle formazioni di portare ai propri uomini le sue congratulazioni e l'espressione della sua profonda stima per la collaborazione offerta alle truppe da lui comandate durante la scorsa campagna estiva".

Contro le stesse intenzioni di Alexander, il messaggio fu interpretato come un invito a desistere. In ogni caso il comando del Corpo volontari della libertà (CVL) evitò lo smantellamento inopinato del movimento partigiano che anzi, continuò, salvandosi dall'azione di violenta repressione che i tedeschi intensificarono parallelamente al periodo di inattività anglo-americane.
Il CVL invitò tutti i comandi regionali a interpretare il proclama Alexander nel senso dell’apertura della campagna invernale, non smobilitare ma passare ad una nuova strategia in considerazione delle mutate condizioni belliche e climatiche.
Il proclama diramato in uno dei momenti più cruciali della guerra di liberazione fu giudicato, dalla maggior parte delle forze della Resistenza, un duro colpo politico, organizzativo e militare diffuso senza valutarne l'impatto psicologico, che sarebbe stato molto forte.
Il punto di vista americano prevalse e quello italiano divenne un "fronte dimenticato". I dirigenti della Resistenza appresero questa decisione dalla radio, così come l'appresero i nazifascisti la cui reazione non si fece attendere.
I tedeschi ora sapevano che avevano molti mesi di stasi, durante i quali avrebbero potuto rivolgere tutte le energie contro l'esercito partigiano intensificando le azioni di rastrellamento per garantirsi il controllo su tutto il territorio del nord.
Battuti sulle montagne e sulle colline, anche a causa della superiorità di mezzi della Wehrmacht, i partigiani riuscirono tuttavia a superare il periodo repressivo disperdendosi nella pianura Padana a ridosso dei centri urbani.


Tratto da “Bergamo 1943-1945 - I luoghi della storia”: ”Nell’ex-collegio Dante Alighieri […] fu di stanza la 612ª Compagnia O.P. Bergamo della G.N.R. nata nel gennaio 1944 dalla 14ª Legione della Milizia. La componevano 150 uomini al comando del capitano Aldo Resmini. La 612ª O.P. Bergamo aveva compiti esclusivi di lotta anti-partigiana e insieme alla 648ª O.P. Macerata e a una compagnia di comando provinciale partecipò a numerose azioni contro i partigiani”.

Il capitano Aldo Resmini
Tratto dalle sentenze della Corte d’Assise di Bergamo convocata nell’immediato dopoguerra (2 giugno 1945) per processare i componenti della famosa e famigerata compagnia, descrivevano la 612° O.P. in questi termini: “La banda Resmini, terrore e obbrobrio della provincia di Bergamo, per i numerosi atti di crudeltà commessi… Come deposto dai testimoni… la famigerata banda Resmini fu ripetutamente impiegata con forze tedesche militari contro patrioti italiani e prigionieri di guerra...”.

Tratto dai racconti autobiografici di Benito Rigamonti, combattente nella Milizia volontaria della Repubblica sociale Italiana: ”Di fatti, a novembre del 1943 mi sono arruolato volontario e sono stato messo a Bergamo, alla Caserma dei Mille che è l’attuale S. Agostino, su alla Fara 52. Lì c’era il centro di raccolta che era a lato della chiesa sconsacrata […]. Lì ho fatto la guardia per tutto l’inverno del ’43. Era la caserma della Milizia, che poi diventò Guardia nazionale repubblicana, G.N.R. […]. Io sono sempre rimasto lì, insieme a pochissimi, mentre tutti gli altri venivano trasferiti nelle varie formazioni. A un certo punto mi sono stufato e sono andato da questo signore della milizia. Sono andato su e gli ho detto: "Senta, senta, sono stufo di star su alla Caserma dei Mille, vorrei venir giù qui, in questa formazione"…una formazione che stavano allestendo…e sono entrato nella compagnia Ordine Pubblico, che era in via Galliccioli, al comando del famoso e famigerato, capitano, autonominatosi capitano, Aldo Resmini […]. Le operazioni di solito venivano per informazioni o spiate, o soffiate…allora si partiva, si rastrellava,… qualcuno veniva magari preso e poi maltrattato per avere informazioni…ho visto gente massacrata di botte… ma proprio per questo motivo io ho voluto andarmene da questa compagnia, perché erano cose che non potevo sopportare…secondo i miei valori e i miei principi… le sevizie e le botte non erano nel mio modo di pensare e di vedere le cose”.
  
Il capitano Aldo Resini e il suo arresto in Valcava ad opera dei partigiani della “XXIV Maggio”.
Il “Giornale del Popolo” e l”Eco di Bergamo” del 21 Maggio 1945, annunciano la morte di Aldo Resmini. Gli articoli descrivono il periodo tra la resa dei tedeschi, la sua cattura e il suo tentativo di fuga.
Il 25 Aprile 1945 Resmini arriva a Como. Arrestato a Mariano Comense viene rilasciato dopo due giorni e si rifugia in Val San Martino. Il 19 Maggio alcuni partigiani della “XXIV Maggio” individuano a Valcava la casa dove si trovava con la moglie. Viene prelevato e trasportato da Almenno San Bartolomeo a Bergamo e consegnato al “Nucleo di polizia di Colle Aperto”. Resmini, durante il viaggio, tenta una disperata fuga. Durante la notte subisce un “interrogatorio morbido”. Dopo l’interrogatorio, alle 4,30 del mattino, viene trasportato a bordo di una macchina scoperta. Ufficialmente lo scopo del viaggio è di portare il Resmini all’ospedale per essere curato a seguito delle orrende sevizie riportate ma, in fondo a Via Mazzini, venne ucciso a colpi di pistola.

lunedì 25 gennaio 2016

Sulle tracce del ex ferrovia che da Menaggio (Lago di Cmo) portava a Porlezza (lago di Lugano).
 

giovedì 21 gennaio 2016

8. LA BRIGATA G. L. "XXIV MAGGIO".
IL PROCLAMA ALEXANDER.

LE TRE BANDIERE
Tratto da “La mitraglia sul campanile” di Bruno Bianchi e Marco Sorelli.

Tra le principali formazioni attive della Resistenza bergamasca si colloca la brigata Giustizia e Libertà “XXIV Maggio”, il cui nome rimane legato a due elementi di ben diversa natura: il tragico eccidio di Cornalba e la vivace attività operativa esplicata nel tardo inverno e nella primavera del 1945, fino alla partecipazione in primo piano alla liberazione della Valle Brembana e della stessa città di Bergamo.
Agosto 1941. Giovani di Cornalba(tra essi i fratelli Piero e Gino Cometti, che cadranno nel rastrellamento del 25 novembre 1944, Luigi e Egidio Bianchi, che riusciranno a salvarsi)
e villeggianti (come Giovan Battista Mancuso, che sarà vittima del rastrellamento).

Sulla nascita della formazione esistono pochi documenti, che presentano inoltre varie contraddittorie: incerta la data di costituzione, che viene collocata tra la fine di maggio e gli inizi di agosto del 1944; incerta la consistenza del primo nucleo di uomini, da sei a dieci. Vi è invece concordanza sul fatto che quegli uomini erano poco armati e male equipaggiati (due fucili e una pistola) e sul nome del primo comandante, Giuseppe Baroni “Rossi”
Una relazione post-insurrezionale cosi presenta le origini della formazione: "In data 5 maggio 1944 in località Oltre il Colle (Valle Serina) per ordine del capitano Duzioni Norberto “Cerri, Roberti”, venne costituito il primo nucleo della brigata “XXIV Maggio” composta da dieci uomini e comandata dal sergente Giuseppe Baroni “Rossi”". Scopo principale era lo studio della zona per eventuale controllo, ricerca di campi di lancio, recupero armi e reclutamento valligiani.
Sistemati nelle baite del monte Menna il piccolo nucleo era continuamente in ricognizione e svolgeva opera di propaganda portando in breve tempo i suoi effettivi ad una trentina di uomini.
Molte volte questo gruppo fu sul punto di sfasciarsi per mancanza di mezzi, ma la buona volontà di parecchi elementi evitò sempre questo, sopportando con rassegnazione molti sacrifici ed essendo così d’esempio ai pochi tentennanti.
Più circostanziata, trattandosi di una memoria diretta, una testimonianza dello stesso Giuseppe Baroni: “A fine maggio 1944, Duzioni Norberto, a conoscenza che volevo fare qualcosa per la Resistenza, mi fissò un appuntamento per sentire se ero disponibile per recarmi ad Oltre il Colle per organizzare una formazione partigiana. Accettai con entusiasmo l’incarico e le prime istruzioni furono quelle di vedere e studiare la possibilità, se la zona si prestava dal punto di vista logistico, alla creazione di una banda armata. Venne subito dato il nome di brigata “XXIV Maggio” ed a me quello di “Rossi”. 
Ai primi di giugno 1944 mi recai pertanto ad Oltre il Colle dove presi contatto con il valligiano Gotti Gino “Gino” che aveva cinque o sei uomini nascosti nella villa Battagion di cui lui era depositario delle chiavi. Se non vado errato gli uomini erano: Gotti Mario “Mario”, Picenni Mario “Pantera”, Provenzi Giulio “Giulio”, Gamba Antonio “Tonio”, “Milanes”, i fratelli Maurizio Cesare e Carlo d’Oltre il Colle e Ceroni Casimiro “Miro” (laureando in medicina, pure d’Oltre il Colle). Con questi uomini mi portai alla casera del monte Menna, luogo per il momento ideale anche perché dominava la vallata e perché l’abitazione di “Gino”, ben visibile dalla casera, serviva magnificamente per istituire un servizio di collegamento e informazioni a mezzo lenzuola stese in un certo modo sul prato per segnalare pericolo o la necessità che qualcuno scendesse in paese per urgenti comunicazioni”.
Estate 1944. Il "rancio" alla capanna che offriva rifugio ai giovani di Cornalba: da sinistra Costante Tadè, Giacomo Biava, Giovanni Crotti e Alessandro Vistalli.
Nell’estate del 1944 la situazione di Serina e della sua valle non era dissimile da quella di parecchi altri centri della media montagna bergamasca. Il paese ospitava un numero considerevole di “sfollati”, trasferiti dalla città alla campagna per l'incalzare dei bombardamenti alleati: a Serina si passò alle 156 unità del gennaio 1943 alle 778 del novembre dello stesso anno. Inferiore, ma sempre notevole, la presenza degli “sfollati”, nel 1944: erano 514 nell’aprile e ancora 366 nel mese di agosto.
La grande maggioranza proveniva da Milano (molto meno numerosi i trasferimenti da Bergamo e da altre province): si trattava in buona parte di persone che già frequentavano Serina e la sua valle per la villeggiatura estiva e parecchi vi possedevano una casa propria.
Un altro elemento, di cui occorre tener e conto per inquadrare le origini e gli sviluppi della Resistenza nella zona, è la presenza, sin dal settembre del 1943, di gruppi di ex prigionieri alleati di varie nazionalità, fuggiti dal campo di concentramento della Grumellina all’arrivo dei tedeschi e dispersi per tutta la provincia (il loro numero è imprecisato, ma fonti tedesche lo indicano in circa 2.500), di militari sbandati, a cui si unirono via via volontari anti-fascisti e renitenti ai bandi di leva della Repubblica di Salò. 
La presenza di questi gruppi, in particolare degli ex prigionieri, interessò anche la Valle Serina, dalla quale è possibile raggiungere la Svizzera attraverso la Valtellina, e qui, tra Oltre il Colle e Zambla, un primo gruppo di sbandati e di renitenti si aggregò attorno al capitano degli alpini Aldo Bonetti, istallandosi verso i primi di ottobre al Colle di Zambla, presso il roccolo di proprietà della famiglia Gasparotto (Poldo Gasparotto, stretto collaboratore di Ferruccio Pani, aveva partecipato attivamente all’organizzazione della lotta armata anche nel Bergamasco; arrestato, verrà fucilato a Fossoli). 
Dopo alcune vicende controverse, che causarono critiche al comportamento del capitano Bonetti, a metà ottobre quest’ultimo si allontanò dalla zona. 
Vi subentrò Cesare Bonino, che ricevette l’incarico di guidare il gruppo di Zambla dal Comitato di Liberazione, formatosi a Bergamo subito dopo l’8 settembre e di composizione esclusivamente azionista.
Autunno 1944. Partigiani della "XXIV Maggio" prima del rastrellamento.
Verso là fine di dicembre giunse a Zambla, dalla Valle Seriana, con un gruppo di quindici partigiani, Dante Paci, attivo nell’organizzazione clandestina comunista. 
Nel frattempo Bonino aveva spostato i suoi uomini verso la Val di Vedro, ritenendola zona più sicura, e il gruppo guidato da Paci prese posizione al roccolo Gasparotto. 
Il 15 gennaio un rastrellamento raggiunse il roccolo; nello scontro perse la vita Valdo Eleuterio. Soverchiati dai nazi-fascisti, Dante Paci e i suoi partigiani vennero catturati e poi spediti nei lager tedeschi (Paci verrà fucilato nel luglio del 1944). 
L’inverno 1943-44 fu caratterizzato da gravi difficoltà per l’intera Resistenza, sia per la situazione complessiva di tutta l’Italia occupata (i nazi-fascisti organizzarono e attuarono duri rastrellamenti; i partigiani erano generalmente poco armati e male equipaggiati), sia per ulteriori problemi di ordine locale (quasi tutti i componenti del primo Comitato di Liberazione vennero incarcerati; vennero catturati inoltre parecchi tra i primi organizzatori delle bande armate).
Primavera 1945. Partigiani della formazione con il comandante Fortunato Fasana "Renato" (al centro con il binocolo) e, in fianco a lui,
con la bomba a mano, il commissario Adriano De Vecchi "Adriano".
Buona parte di coloro che erano sui monti della Valle Serina ripararono nella zona di Oltre il Colle e trovarono “rifugio” come lavoratori nelle miniere della Sapez. 
Nella tarda primavera del 1944, si riprese l’organizzazione della lotta armata e si costituì, come si è visto, il primo nucleo della brigata “XXIV Maggio”. Nello stesso periodo sorse nella zona una formazione di Fiamme Verdi, che assumerà la denominazione di “Primo Maggio”, comandata da Pier Luigi Guerrieri Gonzaga “Gianni”; in essa confluirono anche i componenti del gruppo Bonino. La convivenza tra le due formazioni si rivelò fin dall’inizio assai difficile, sia perché si trovavano ad operare nello stesso ambito territoriale (Arera, Menna), sia per il diverso modo di concepire la lotta. Vivace, sempre pronta all’azione la “XXIV Maggio”, mentre la “Primo Maggio”, attendista e praticamente passiva, non svolgeva una vera e propria attività operativa, tanto che molti degli uomini che ne facevano parte continuavano a lavorare nelle miniere. 
Nel giro di pochi mesi il numero dei componenti della “XXIV Maggio” crebbe fino a raggiungere le trenta unità.
Per quanto riguarda la “XXIV Maggio”, il mese di luglio e di agosto furono dedicati all’organizzazione della formazione, di cui nel frattempo assunse il comando il tenente degli alpini Giacomo Tiragallo “Ratti”.
Gli spostamenti del gruppo in questa fase furono così ricostruiti da Luigi Carrara: “Verso la fine di luglio il comandante giudicò più opportuno spostare i suoi uomini sul monte Alben ma, l’11 agosto, contro la piccola formazione ci fu un primo rastrellamento. Lo scarso armamento non permise alla formazione di prendere contatto con il nemico e fu costretta a spostarsi nelle stalle del Corone, piccola frazione fra Dossena e Lepreno che domina Serina dall’ovest. Bisognava agire con grande cautela. I paesi della Valle erano affollatissimi di sfollati e villeggianti tra i quali potevano facilmente nascondersi spie fasciste; inoltre a Serina, dalla fine di luglio al 20 agosto, si stabilì un forte distaccamento della Scuola Allievi Militi Forestali di stanza a San Pellegrino”.
Maggio 1945. La "XXIV Maggio" a Zambla Alta.
Verso la fine di agosto ritornarono sull’Alben e si stabilirono nelle diverse baite lasciate libere dai mandriani che, finito l’alpeggio, erano discesi a valle. Erano una trentina di uomini male equipaggiati e sufficientemente armati. 
L’attività operativa rimaneva assai modesta, né si riscontrano vere e proprie azioni militari organizzate e di rilievo. I riscontri e le testimonianze, tuttavia, fanno dubitare dell’esattezza di queste notizie (va anche tenuto conto che l’estensore della relazione, il comandante Fortunato Fasana “Renato”, era giunto in zona molto più tardi). 
Il sequestro di un motocarro della X Mas, che aveva un reparto distaccato a Selvino, avvenne con buona probabilità alla fine di ottobre e l’azione fu condotta dallo stesso “Renato”, che allora operava però soprattutto con la brigata GL “Camozzi” della Valle Seriana, anche se all’azione partecipò forse qualche elemento della “XXIV Maggio”. Per quanto riguarda la cattura di tre ufficiali tedeschi e la loro fucilazione, stando almeno a quanto affermato da alcuni documenti, si può ipotizzare che si sia trattato di un’azione isolata, compiuta da uno dei gruppi sparsi nella zona. La prima vera azione militare fu compiuta nel mese di settembre, dopo che dalla brigata “Camozzi” vennero cedute quattro pistole mitragliatrici, che migliorarono l’armamento della formazione. Si trattò dell’attacco, con un’operazione a sorpresa, della postazione di avvistamento dell’Aviazione Repubblicana di San Pietro d’Orzio, sopra San Giovanni Bianco. Il bilancio fu di due nemici morti e di due partigiani feriti, ma il bottino non fu prelevato a causa della resistenza opposta dagli avversari. Il 4 ottobre un B24 dell’Aeronautica Americana in missione segreta si schiantò sulle pendici del monte Pezzadello, sopra Zorzone: nessun superstite tra le tredici persone a bordo, tra cui tre agenti italiani. 
La formazione, che ormai andava acquistando una sua fisionomia, era collegata con il comando provinciale GL (di cui era commissario Mario Invernicci “Mario”) tramite il capovalle Mario Colombo “Zani, Filippo”, che risiedeva a Zogno. Quest’ultimo, oltre ad assicurare contatti con il comandante della “XXIV Maggio” “Ratti” (specie attraverso Pasqualino Carrara, uno dei più audaci collegatori ed organizzatori della Resistenza bergamasca), si occupò anche di un nucleo di partigiani, denominato “Mario Maini” dal nome del partigiano caduto in un’imboscata a Zogno in data 18 settembre 1944, dislocati sui monti sopra Zogno: una quarantina di uomini, che si uniranno alla “XXIV Maggio” nel mese di ottobre. 
La formazione, ormai organizzata stabilmente, poteva contare più di ottanta uomini armati, di provenienza peraltro molto eterogenea e alquanto insofferenti alla disciplina di gruppo, ed è del 28 ottobre la nomina ufficiale di “Ratti” a comandante della “XXIV Maggio”. Nella comunicazione inviatagli da Mario Invernicci tramite “Zani” si legge: “Ti raccomandiamo nuovamente di attenerti a tutte quelle disposizioni generali impartite dal nostro comando”.
Pare esistere, da parte del comando della Divisione Orobica GL, una certa preoccupazione che la brigata agisca in maniera scollegata e autonoma rispetto alle direttive.
Scrive il commissario “Mario” a “Zani” il 10 novembre, sempre a proposito della “XXIV Maggio”: “Ti raccomando di essere molto vicino alla formazione e di soddisfare al massimo (s’intende secondo le possibilità) le richieste della stessa. Intanto ti raccomando comunicazioni giornaliere anche se negative, usando corrieri nuovi e sospendendo momentaneamente gli altri in attesa di un po’ di luce sui nostri compagni fermati”.
Partigiani della "XXIV Maggio" intorno alla bara di Piero Cometti: al centro Celestino Gervasoni che verrà a sua volta ucciso al Passo delle Crocette.
In effetti la brigata rimaneva piuttosto debole sotto il profilo organizzativo (per non parlare del più vasto e complesso problema della carenza di “coscienza politica”, che non riguardava certamente solo una singola formazione e che richiederebbe un ben più ampio discorso), per cui, quando si decise di affrontare il problema dell’autofinanziamento con un colpo al deposito del monopolio di Zogno, che fruttò un notevole quantitativo di tabacco e di sale, si crearono gravi problemi all’interno della formazione e alcuni partigiani fecero “smercio” privato di quei generi allora preziosi. 
Alla vigilia del rastrellamento, la formazione aveva però raggiunto la consistenza ragguardevole di un’ottantina di uomini …”armati di 12 Sten, 2 fucili mitragliatori, 65 fucili calibro 91, provveduti di circa 15 quintali di viveri, 3 quintali di tabacco, 2 quintali di sale”.
Sull’afflusso degli uomini alla “XXIV Maggio” è lecito tuttavia porsi alcune domande: questo afflusso era dovuto a una effettiva capacità di aggregazione del comandante “Ratti” o non piuttosto a una raccolta indiscriminata di fuggiaschi?
“Angelo”, ispettore delle “Brigate Garibaldi”, inviato dalla Federazione bergamasca dei PCI a prendere contatto con la “XXIV Maggio”, trovò presso “Ratti” parecchi partigiani della 53A che, a suo dire, sarebbero stati convinti a rimanere in Val Serina dalla falsa notizia dello scioglimento della loro brigata di provenienza, che in realtà era stata solo ridimensionata.
Sempre “Angelo” sosteneva che la formazione di “Ratti” era di circa dodici uomini, ma in questo periodo di rastrellamento era diventata di circa settanta uomini tutti armati, fra russi, slavi, cecoslovacchi, francesi, ecc.
Il comando della brigata risiedeva a Cornalba, mentre il grosso della formazione era stanziato in diverse baite sul monte Alben. 
Si susseguirono azioni di disarmo che suscitarono l’ira dei fascisti. Piuttosto carente era anche l’aspetto organizzativo e di coordinamento, come dimostra la sottovalutazione che “Ratti” fece delle informazioni circa l’approssimarsi di una grande azione a tappeto del nemico.
Queste fotografie vengono ancor oggi gelosamente conservate da molte famiglie di Cornalba quale "documento inoppugnabile delle barbarie fasciste"
e quale segno tangibile del ricordo ncora vivo di un lutto privato e collettivo.
 
Il rastrellamento di Cornalba del 25 novembre e quello successivo del 1 dicembre sul monte Alben, oltre ad aver portato un durissimo colpo alla formazione “XXIV Maggio” (che quasi rischiò di disgregarsi totalmente sia per le perdite subite, sia per il morale dei superstiti), rappresentarono anche un punto di svolta nella vita del paese: da quel momento in poi non si vedranno più, se non sporadicamente, partigiani armati nel centro abitato. La formazione, o meglio quel che ne rimaneva, sotto la guida del nuovo comandante “Renato”, si trasferì prima in Val Canale presso la brigata “Camozzi”, poi ai Laghi Gemelli dove già operava la brigata “Secondo Dio Sciatori” e infine al Lago Nero dove svernò.
Solo agli inizi di febbraio la formazione tornò in Valle Serina, ma questa volta si stanziò sopra Zorzone, con sessanta uomini armati, quattro ufficiali e quattro sottufficiali. Già dal gennaio 1945 la brigata era impegnata a far fronte ai rastrellamenti e a esplicare, specie dal febbraio alla Liberazione, una vivace attività operativa.
Nel mese di marzo gli effettivi erano saliti ad oltre ottanta partigiani e ciò consentì alla brigata di creare tre distaccamenti. 
L’efficienza della formazione attirò sempre nuove adesioni, tanto che ai primi di aprile la “XXIV Maggio” raggiunse le duecentocinquanta unità. Così il comandante “Renato” ricorda come in formazione avveniva il necessario addestramento: “Facevamo l’addestramento sui prati: come si procede in terreno scoperto, come si fa la guerriglia in attacco e in difesa, come si piazzano le mitragliatrici, i mortai, come si dirige una squadra sotto il fuoco continuo e d’appoggio: se siamo in venti uomini, dieci avanzano e dieci stanno fermi e sparano; poi gli altri si fermano, sparano, e gli altri avanzano... In ordine sparso... Poi sfruttare al massimo il terreno… la mimetizzazione... i rudimenti fondamentali del combattimento insomma.
Ma ci voleva anche tanta inventiva. Era necessario fare guerriglia impegnando il meno possibile l’uso delle armi e quindi diventava fondamentale la sorpresa... con la sorpresa l’altro non poteva mai reagire... perché cogliere un nemico di sorpresa ha un doppio effetto e psicologicamente fa un’impressione tre volte di più. E i fascisti non si sentivano più sicuri, non uscivano più dalle caserme... mettevano i sacchetti di sabbia alle entrate, i mattoni alle finestre, avevano paura... paura perché non sapevano quando e come li avremmo colpiti”. 
I rapporti con la popolazione erano soddisfacenti e la disciplina partigiana intervenne a punire severamente ogni abuso, anche se commesso nei mesi precedenti la riorganizzazione della brigata: in questo periodo venne fucilato il partigiano “Sofia”, che da indagini svolte risultò colpevole di rapine e furti a carico della popolazione locale durante la sua appartenenza alla formazione del comandante “Ratti”.
Il primo aprile venne organizzata la commemorazione dei partigiani caduti nel rastrellamento di Cornalba, come risulta da una lettera datata 8 aprile 1945, che fu inviata dal commissario della formazione, Adriano De Vecchi, al Comandante Regionale Lombardo e al Comandante della Divisione Orobica:
“Portiamo a Vostra conoscenza che il 1° aprile u.s. a Cornalba di Serina (Valle Serina), presenti i Commissari di zona, di Valle e di brigata, una rappresentanza della brigata “XXIV Maggio” col proprio comandante ha commemorato nel cimitero del luogo gli undici caduti della formazione stessa trucidati dalla barbarie fascista (OP Resmini) il 25 novembre s.a.. Alla suddetta commemorazione è intervenuta spontaneamente e totalitariamente la popolazione del luogo, dando indubbia prova di fervente solidarietà con la causa per la quale si combatte”.
La formazione, dunque, era ormai in grado di controllare tutta la zona: gli effettivi della brigata salirono a cento- cinquanta nei primi giorni di aprile mentre i distaccamenti erano ormai quattro. Le forze erano dislocate lungo la Valle a forma di quadrilatero con ciascun distaccamento indipendente per i servizi logistici ma tuttavia legati ad un piano unico di attacco e di difesa in caso di rastrellamento.
Si preparò un campo di lancio sull’Alben ma questo si fece attendere fino al 18, giorno in cui arrivò la missione inglese che provvide a richiedere un nuovo lancio. Qualche giorno prima dell’arrivo ed il transito di oltre quattrocentocinque russi, fuggiti ai tedeschi, dietro propaganda, aveva considerevolmente appesantito lo sforzo logistico. L’armamento però procuratoci con il loro parziale disarmo permise di portare gli effettivi a duecento unità. 
Ricevuto un aviolancio di due aerei si organizzò la brigata in rapporto alle armi ricevute, intensificando l’addestramento in vista di azioni di maggior respiro nella Valle Brembana. L’armamento del reparto, frutto del lancio e delle azioni precedenti, era costituito da 4 mortai pesanti, 6 leggeri, 2 pugni corazzati, munizioni per moschetto, 2 mitragliatrici Breda, 8 mitragliatori; quello individuale da moschetti, fucili, bombe a mano, rivoltelle.
"Montagna", comandante della "Tredici Martiri di Lovere" incontra "Renato" comandante della "XXIV Maggio" a Zambla nella primavera del 1945.
Si arrivò così al 24 aprile.
Ecco come il comandante “Renato” descrive le fasi salienti della partecipazione della sua formazione alla liberazione: “Il 24 sera la formazione lasciate le sue posizioni in montagna, con un reparto provvedeva ad occupare la stazione di Ambria e la strada. Nel frattempo il Maggiore inglese Manfredi e il Commissario di Divisione Mario Invernici si recavano presso il comando della Forestale per la resa senza condizioni di tutte le forze fasciste della valle. La risposta in merito doveva essere data per le ore dieci del 25 aprile. Però alle ore ventidue un reparto della brigata attaccava il presidio di Zogno e lo catturava al completo (trentadue prigionieri).
Al mattino il capitano “Renato” prendeva il comando delle forze dislocate nel fondo valle in attesa del resto della formazione che dovevano raggiungerlo per marciare poi su San Pellegrino. Ma le notizie che dei disordini erano iniziati in paese facevano rompere gli indugi e si procedeva, alle otto e trenta, all’occupazione di San Pellegrino disarmando il Corpo Forestale e la sua scuola allievi.
Alle ore quattordici tutta la formazione si dirigeva autotrasportata su Bergamo.
Ma all’altezza del Ponte di S. Caterina, gli ufficiali ed alcuni patrioti della brigata con il Maggiore Manfredi, che avevano preceduta la colonna, dovevano arrestare perché ostacolati da un’autoblinda, da un carro armato e dal fuoco di armi pesanti che dalla Caserma dei Mille e da altre case era stato aperto su loro. Nel combattimento restava ucciso un tedesco ed un altro ferito. 
Le nostre perdite furono un patriota ucciso e ferimento del Commissario “Adriano””.
La formazione intanto si disponeva a Ponte Secco in attesa di ordini del Comando Generale di Zona e del risultato delle trattative con il presidio tedesco. Frattanto un reparto della “XXIV Maggio” si era portato tempestivamente su Città Alta ed attaccava il Comando Tedesco.
Il mattino del 26 aprile la brigata “XXIV Maggio” entrava in città affiancata dalla 56A brigata “Garibaldi” da Borgo S. Caterina e da Borgo Palazzo. Contemporaneamente un reparto di questa brigata unitamente ai “Cacciatori delle Alpi” occupava Città Alta e raggiungeva la Prefettura.
Alle ore dieci e trenta tutta la formazione era riunita e messa a disposizione del Comando. Al di là dei toni inevitabilmente stereotipati e un po’ trionfalistici, tipici delle relazioni immediatamente successive alla liberazione, si legge tra le righe il legittimo compiacimento per l’efficienza organizzativa e operativa della formazione. Del resto va riconosciuta alla “XXIV Maggio” una capacità d’attrazione che rende questa brigata meno spiccatamente “autoctona” di altre della Resistenza bergamasca; infatti il reclutamento delle forze non avvenne esclusivamente nella Valle Serina, zona di stanziamento, ma parecchi partigiani (diciannove) provenivano da altri centri delle Valli Seriana e Brembana e della provincia.
Bergamo, 4 maggio 1945. Un reparto della "XXIV Maggio" sfila davanti alla Prefettura.
Un indagine sulla composizione sociale della formazione ci consente di conoscere altri elementi interessanti, dall’età media (che era di 23 anni e 9 mesi), alla scolarità (il 78,6% dichiarava di avere un livello di istruzione elementare), alla professione (il 65% dei partigiani si dichiaravano operai, il 9% contadini). I rapporti con la popolazione, tuttavia, furono indubbiamente facilitati dalla presenza di tanti partigiani serinesi e furono comunque oggetto di attenta e particolare cura da parte del comando, come ricorda “Renato”: “Soprattutto quello che io insistevo...il rispetto della popolazione…questa è gente dei nostri paesi, sono i nostri naturali alleati…Quindi siate sempre rispettosi, entrate nelle case, ma chiedete il permesso...La partecipazione della popolazione fu grandissima...pur con tutta la prudenza che i momenti dettavano”. 
Il tragico esito del rastrellamento di Cornalba aveva senza dubbio segnato uno spartiacque anche nell’organizzazione della vita partigiana e il ricordo, così drammatico e “vicino”, dei compagni uccisi non mancò di avere un peso determinante per la prosecuzione della lotta nelle condizioni difficilissime dell’inverno 1944-45, fino alle giornate di aprile che trovarono la “XXIV Maggio” tra le formazioni più combattive e maggiormente impegnate nelle operazioni insurrezionali. 
  

mercoledì 13 gennaio 2016

7. LA BRIGATA "CACCIATORI DELLE ALPI 2° DIO SCIATORI"
ERCOLE PEDRETTI il partigiano caduto per la Libertà
SIAM SEMPRE PARTIGIANI

Organizzare delle bande armate in montagna non fu per niente facile: dopo l’8 settembre del 1943 si radunarono, oltre ad anti-fascisti in fuga dai campi di prigionia, molti renitenti alla leva della Repubblica Sociale Italiana. Ragazzi di 17-20 anni, che erano nati sotto il Fascio e, semplicemente, fuggivano l’idea di combattere ancora.
Così con difficoltà, in alta Valle Brembana, si formò nell’autunno del 1943  la banda “Carlo Pisacane”, guidata da Ettore Tulli, che ebbe vita brevissima: fu dispersa durante un rastrellamento nell’ottobre dello stesso anno.
Nella primavera del 1944 si costituì un’altra formazione, la brigata “Cacciatori delle Alpi”, legata a Giustizia e Libertà, voluta da Mino Bartoli e Augusto Cerea, due partigiani ex alpini. Il riferimento patriottico del nome mantiene una sua doppia anima: l’una alta, risorgimentale, garibaldina; l’altra da ricollegare invece al gergo degli alpini e al loro spirito di corpo. Il 2° Dio è il 2° Artiglieria di montagna da cui proveniva il comandante della formazione.
Essa poteva contare su una trentina di elementi locali, disertori o renitenti, e aveva il suo raggio d’azione sui monti che fanno da corona a Foppolo, Valleve, Carona e Branzi. La formazione perse però dopo poco tempo sia Bartoli che Cerea, ridotti in fin di vita dai fascisti a Milano dove si trovavano alla ricerca di armi e attrezzature da montagna. Per futili questioni, ben presto nacquero gravi contrasti con i garibaldini valtellinesi, che sfociarono in uno scontro aperto nella notte tra il 17 e il 18 agosto a Carona con tre vittime: Sandro Mascheroni, comandante provvisorio dei Cacciatori, Venturino Giudici e Fulvio Berera.
Boario di Gromo, marzo 1945 - Da sinistra: Goggi, Fasana, Castelli, Bartoli, De Vecchi.
Dopo un periodo di sbandamento, a rimettere in piedi la formazione fu lo stesso Bartoli, sfuggito rocambolescamente ai tedeschi dall’ospedale di Niguarda dove era ricoverato e tornato in alta Valle ancora convalescente. Bartoli ed Ercole Pedretti effettuarono un audace colpo in banca a Rovetta in Val Seriana e con il ricavato si procurarono il necessario per stabilirsi nella zona dei Laghi Gemelli dove furono raggiunti, per trascorrervi l’inverno, anche dai partigiani della Val Taleggio che avevano seguito “Mario” Paganoni e dai superstiti dell’eccidio di Cornalba.
In luglio sul Monte Madonnino, nei pressi del rifugio Calvi, cadde un aereo da bombardamento canadese con cinque militari, tutti morti nell’incidente. I mesi successivi trascorsero senza fatti notevoli; sopraggiunto l’inverno, i “Cacciatori delle Alpi”, di stanza ai Laghi Gemelli, non smisero mai di compiere azioni di disturbo.
Ma non si interruppe nemmeno la repressione nazi-fascista che costrinse gran parte dei partigiani a trovare provvisorio rifugio qua e là e provocò altre vittime tra cui Ercole Pedretti, sorpreso e ammazzato dai fascisti fuori dalla sua casa a Branzi il 22 gennaio 1945.
Il 2 marzo 1945 i “Cacciatori delle Alpi” attaccarono il presidio della G.N.R. di Branzi ma l’operazione ebbe un finale drammatico. Dopo la fucilazione, da parte dei partigiani, del commissario prefettizio di Carona Ernesto Riceputi, accusato di essere una spia, sopraggiunsero in forze le Brigate Nere di Bergamo e Piazza Brembana e gli scontri si conclusero a Carona con sette perdite da parte fascisti e tre partigiani: Enzo Pedrali “Morgan”, Battista Zanga “Tino” e Mosè Piccardi “Spinassa”.
Questa fu l’ultima azione della brigata prima della Liberazione, a cui partecipò attivamente.
Il comandante "Mino" Bartoli, il primo a destra.
Tratti da alcuni articoli e dal libro “La zia nell’armadio” di Giacomo Bartoli “Mino”:

“Il nostro scopo era quello di salvaguardare gli impianti idroelettrici dell’alta Valle Brembana, nel timore che i tedeschi, prima della fuga, li facessero brillare.
Infatti, pochi giorni prima della fine della guerra, ci fu il tentativo di minarli, ma vennero respinti da un nostro assalto e gli impianti furono salvi”.

“Il nostro armamento era rappresentato da vecchi fucili della prima guerra mondiale e da poche mitraglie portatili, oltre agli Sten di origine inglese.
Quindi molto leggero e poiché le munizioni dovevamo risparmiarle al massimo le nostre azioni si riducevano a dei colpi di mano, effettuati con la massima sorpresa”.

“Le migliori azioni sono state quelle in cui non abbiamo sparato un solo colpo.
Ci sono comunque stati dei combattimenti, come nel caso della battaglia di Branzi. Non potevamo minimamente pensare di occupare centri abitati e tenerli, e tanto meno potevamo opporci ai cannoni del nemico”.

“Con le imboscate avremmo potuto eliminare molti più nemici, con la conseguenza però che i paesi delle nostre basi, sarebbero stati incendiati, con conseguenze per noi, incalcolabili”.

“La nostra presenza in montagna, con i nostri continui disturbi, aveva soprattutto lo scopo di tenere molte truppe nemiche, impegnate a presidiare i centri urbani, impedendo che fossero inviate al fronte”.

Renato Farina, in un articolo intitolato “Il partigiano scomodo Mino Bartoli” scrive: “La sua è una storia bellissima: quella di un uomo coraggioso…un Comandante partigiano alla testa di duecento uomini, sciatori provetti nelle alte valli orobiche”.
La bandiera delle Brigate "Giustizia e Libertà".
E’ giusto ricordare cosa sta scritto negli archivi di Londra, nell’incartamento HS 6/865 intestato “Mission Homestead” firmato  dal capitano R. H. Pearson che aveva monitorato con severità la nostra Resistenza: “Ranieri, alias Bartoli: il comandante è giovanissimo, tuttavia sa bene ispirare i suoi uomini e farsi amare da loro, offrendo un modello con il suo comportamento coraggioso e noncurante del pericolo, e con la sicurezza di sè. Ha una figura elegante, con l’aria di un sognatore ed ha la fama di essere giusto e generoso e un vero difensore della libertà. Può essere ben descritto con la formula con cui i suoi uomini amavano scherzare con lui: “Comandante, portaci a morire”.

2 Maggio 1945 - Bergamo, Via Tasso.
La brigata partigiana di Giustizia e Libertà "Cacciatori delle Alpi" - 2° Dio Sciatori" sfila di fronte al Palazzo della Prefettura

con alla testa il comandante "Mino" Bartoli (al centro con i pantaloni neri).

Ercole Pedretti, nato a Branzi nel 1920, abile sciatore e appartenente alla squadra nazionale di discesa, si aggregò alla brigata “Cacciatori delle Alpi” di Giustizia e Libertà nel giugno del 1944, assieme a un gruppo di compaesani con i quali si era dato alla macchia nel mese precedente.
Da quel momento il giovane sciatore prese parte alle principali azioni compiute dalla formazione guidata da Mino Bartoli in Alta Valle Brembana, a cominciare dall’attacco al presidio fascista del Lago Venina, dove la “Cacciatori delle Alpi”, senza nessuna perdita, riuscì a far prigionieri diciotto militi e a impadronirsi di un notevole carico di armi e munizioni.
Sempre Pedretti, che intanto aveva assunto il nome di battaglia di “diavolo della montagna”, assieme al comandante Bartoli fu protagonista dell’audace colpo all’agenzia di Rovetta della Banca Mutua Popolare di Bergamo, allo scopo di procurarsi danaro per l’acquisto di rifornimenti ed attrezzature logistiche in vista dell’inverno. Così Bartoli ricorda l’avvenimento: “Partimmo, io ed Ercole Pedretti in sci dai Laghi Gemelli, un giorno che nevicava ed attraverso il passo omonimo (molto pericoloso per le slavine) raggiungemmo Valcanale e quindi Ardesio, il Colle Palazzo, Valzurio, il Monte Blum e finalmente Rovetta. Entrammo in banca armati di pistola, visti da cinque militi della Brigata Nera armati di mitra che però non ebbero il coraggio di affrontarci e che si limitarono a telefonare a Clusone chiedendo rinforzi.
Infatti subito dopo la nostra operazione…bancaria…(ci qualificammo come patrioti e che quanto prelevato sarebbe stato restituito a fine guerra: rilasciammo un impegno scritto e mi risulta che in seguito sia stato onorato), mentre affrontavamo il Monte Blum, arrivarono a Rovetta tre camion gremiti di fascisti, i quali spararono nella nostra direzione e ci seguirono anche dopo che avevamo superato la Valzurio. Rientrammo per la stessa via ai Laghi Gemelli”.
Sfuggito alle azioni condotte contro la brigata dai fascisti tra dicembre e l’inizio di gennaio, Ercole cadde durante il rastrellamento del 22 gennaio 1945 a Branzi.
Il partigiano Ercole Pedretti
Tratto da “La Resistenza in Valle Brembana e nelle zone limitrofe” di T. Bottani, G. Giupponi, F. Riceputi:
“… la Brigata Nera di Piazza Brembana, comandata dal capitano Bondioli (buon alpinista e perfetto conoscitore delle montagne bergamasche : aveva attrezzato i suoi uomini, una cinquantina, con gli sci e quindi era in grado di darci una caccia spietata), si portò nella zona di Branzi. L’azione fu condotta da due squadre guidate rispettivamente dai tenenti Bulzinetti e Tringali e forti di una quarantina di uomini. Nel pomeriggio, dopo aver perquisito gli alberghi Branzi e Monaci e gli avventori delle osterie, i rastrellatori si misero alla ricerca di partigiani nei dintorni del paese. Era sceso in paese dai Laghi Gemelli assieme a Bartoli (Comandante della “Cacciatori delle Alpi”) e a Lino Oberti per compiere alcune commissioni finalizzate a rilanciare l’attività della brigata in vista dell’imminente ripresa della lotta. Nel tardo pomeriggio, al momento di tornare in montagna, Pedretti chiese il permesso di recarsi alla propria abitazione, per aggiustare la porta di casa danneggiata dai rastrellatori (…altrimenti corro il rischio che mi portino via tutto) e, pare, a recuperare un’arma e delle munizioni che vi aveva nascoste.
Al momento di ripartire fu però sorpreso dall’arrivo dei fascisti i quali, appostati sul ponte Redorta e sulla mulattiera adiacente, aprirono il fuoco su di lui che cercò di mettersi in salvo risalendo il torrente in direzione di Valleve come aveva fatto già altre volte: ma lo aspettavano al varco. Benché ferito gravemente, Ercole rispose al fuoco e ferì uno degli assalitori, ma poi dovette soccombere: ai militi disse che preferiva morire piuttosto che cadere nelle loro mani.
Fu crivellato di colpi e abbandonarono nel greto del torrente  della Val Liffa, poco a monte del ponte Redorta”.
I partigiani, avvisati dell’attacco, scesero a Branzi e costrinsero i fascisti a lasciare il paese. Nel frattempo il parroco, avvertito da una sentinella repubblichina della morte di Ercole e seguendo le indicazioni di questa, si mise alla ricerca del caduto, aiutato da diverse persone del paese che, con le lanterne da minatore, risalirono la valle seguendo le impronte lasciate nella neve.
Trovarono il corpo del partigiano esanime sulla neve, ad una curva della strada, seminascosto in un cespuglio dove si era impigliato quando i nazisti lo avevano gettato dall’alto nel torrente. Caricato su una scala a pioli, fu portato nella camera mortuaria del cimitero dove fu raggiunto dai compagni partigiani.
Ercole Pedretti era il più bravo sciatore nella Bergamasca e un partigiano coraggioso, la sua scelta di unirsi alla brigata “Cacciatori delle Alpi” non fu dettata da interessi personali, ma dal solo desiderio di dare il proprio contributo alla lotta per la libertà.

martedì 5 gennaio 2016

GENNAIO16
ATTENZIONE: un gatto nero che attraversa la strada porta sfortuna!

Il lato ironico della vicenda è che in Inghilterra è valido l'esatto opposto: il gatto nero porta fortuna.
Se ti attraversa la strada significa che i guai sono passati senza sfiorarti,
…se entra in casa di primo mattino sarà una splendida giornata,
…se c'è una ragazza "da marito" presto troverà l'anima gemella, ...
Mi sorge un dubbio: i gatti neri inglesi che siano meno neri di quelli italiani?