lunedì 30 aprile 2018

29 aprile 2018


Genova è sorprendente da più punti vista. E’ una città ricca di storia e di un grande passato. Ma è nel Cimitero Monumentale di Staglieno che riposano i suoi “big” più illustri e dove si può capire che Genova è stata culla e rifugio di molte personalità importanti. Potrebbe sembrare lugubre che vi consigli di visitare un cimitero, ma questo è uno dei più belli che abbia mai visto: un vero museo a cielo aperto, la cui fama era nota già nell’Ottocento.



D’altronde i genovesi conservano le loro tradizioni nelle botteghe storiche dove secoli fa, esattamente sugli stessi banconi e sotto gli stessi soffitti, la moglie di Oscar Wilde cercava di dimenticare il suo matrimonio oppure il piccolo Giuseppe Mazzini fantasticava di un’Italia unita. Nel Cimitero Monumentale di Staglieno si trovano questi e molti altri personaggi storici e una serie incalcolabile di sculture e opere, ma soprattutto si incontrano storie per chi ha voglia di ascoltarle. Anche se oggi dei marmi bianchi di un tempo rimane un ricordo e molte sono le opere che avrebbero bisogno di un restauro, rimane intatto il fascino. 








Innanzitutto sappiate che è impossibile visitarlo tutto in un solo giorno e se vi fate accompagnare da una guida è ancora meglio, perché sono molte le opere che altrimenti rischiate di perdervi. Io? Mi sono fatto “guidare” da una cartina turistica su cui ho tracciato un itinerario ben preciso che mi appagava. 
La parte centrale è dominata dalla statua della Fede, alta nove metri, opera dello scultore Santo Varni. Prospiciente alla statua, al culmine di un'imponente scalinata da cui si accede alle Gallerie, quelle che conservano le opere più belle e anche il famosissimo Angelo Oneto



che è un po’ il simbolo di Staglieno, si staglia il Pantheon (copia di quello romano). Il suo bellissimo pronao di colonne in stile dorico è fiancheggiato da due statue marmoree rappresentanti i profeti biblici Giobbe e Geremia.






Intorno al nucleo centrale, costituito dal cimitero cristiano, quello ebraico, la parte protestante, il boschetto irregolare, il Campo dei Mille e numerose altre sezioni. È stato ed è, per la sua bellezza, meta di artisti e letterati giunti da ogni dove: Ernest Hemingway lo definì “una delle meraviglie del mondo”. Ma una puntuale descrizione della struttura e dell'imponenza del complesso architettonico è resa anche negli scritti di Mark Twain: “È un ampio corridoio di marmo fiancheggiato da colonne che si stende intorno ad un grande quadrato di terreno libero; il suo spazioso pavimento è di marmo e su ogni lastra c'è un'iscrizione, giacché ogni lastra ricopre una salma. Da una parte e dall'altra, avanzando nel mezzo del passaggio, vi sono monumenti, tombe, figure scolpite squisitamente lavorate, tutte grazia e bellezza. Sono nuove, nivee; ogni lineamento è perfetto, ogni tratto esente da mutilazioni, imperfezioni o difetti...”









Sono tanti i personaggi illustri e famosi in cui mi sono imbattuto e alcuni non immaginavo proprio si trovassero qui:
uno dei padri della Patria italiana Giuseppe Mazzini,



il presidente del Consiglio e partigiano "Maurizio" Ferruccio Parri,



il compositore della musica dell'Inno d'Italia Michele Novaro,





numerosi garibaldini tra i quali Antonio Burlando,




l'attore Gilberto Govi,




il cantautore Fabrizio De Andrè,





il pittore Federico Sirigu, la scrittrice Fernanda Pivano, il poeta Edoardo Sanguinetti, Costance Lloyd moglie di Oscar Wilde,



Nino Bixio, Stefano Canzio,... 
Sono tante le storie che si intrecciano e che riportano alla memoria vite straordinarie. Quella che mi ha colpito di più è la storia di Caterina Campodonico, una semplice donna del popolo, una vecchina con le spalle coperte da uno scialle, il volto austero scoperto dai capelli tirati in una crocchia severa, che vendeva ciambelle e collane di noccioline e per questo chiamata “Signora delle noccioline”



Ve la racconto. Nata nel 1804 in un quartiere popolare e cresciuta semi analfabeta, umile venditrice, sposata a un ubriacone da cui decise di separarsi e per questo fu costretta a versare una sorta di “mantenimento”. Il senso del dovere di Caterina e la sua forza di carattere le consentirono di accumulare un piccolo patrimonio che faceva gola anche ai parenti, che quando si ammalò, invece di occuparsi di lei, si accapigliarono per l’eredità. E così “Cattainin dae reste”, volitiva e indipendente, decise di destinare tutti i risparmi alla sua statua, in barba ai parenti, commissionando il lavoro al celebre scultore Lorenzo Orengo e seguendo in prima persona i lavori per assicurarsi che le rendesse giustizia, raffigurandola nei mimi dettagli, in mano la collana di nocciole e canestrelli cucinati da lei che le avevano permesso di realizzare il suo obiettivo. La statua venne terminata nel 1881 e per un intero anno Cattainin le fece visita nel cimitero mettendosi al suo fianco e facendosi rimirare dai visitatori, orgogliosa del risultato sino a quando, nel 1882, morì. Ai funerali celebrati nella chiesa di Santo Stefano parteciparono moltissime persone, che l’accompagnarono poi al luogo del riposo eterno, e alcuni, sapendo la sua storia, decisero di giocarsi al lotto i numeri della data della sua morte, finendo per vincere. Da allora la sua statua è tappa fissa per i tanti che le portano fiori e accendono ceri in sua memoria speranzosi di avere un po’ di fortuna.
  




E allora? Siete ancora convinti che i cimiteri siano luoghi di cui avere paura?



L'era mai success...di passare una domenica in un cimitero. Ho lasciato gli uoeini camminare in Val Bisogno (pardon...Val Bisagno) e ho passato una "tranquilla" e "silenziosa" domenica all'interno del cimitero. Diciamo la verità...quattro ore e mezzo...in buona compagnia!

martedì 24 aprile 2018

22 aprile 2018
  U.O.E.I. Bergamo
GIRO AD ANELLO
passando per le Abbazie di
ACQUAFREDDA, SAN BENEDETTO, MADONNA DEL SOCCORSO
Val Perlana: un solco stretto, boscoso, selvaggio, che scende dal Monte Calbiga fino al Lago di Como tra Argegno e Menaggio; un angolo forse poco noto (almeno agli escursionisti) delle montagne del Lario Occidentale, un piccolo scrigno che conserva al suo interno una perla preziosa: San Benedetto. Si tratta di una chiesa abbaziale del primo romanico che faceva parte un tempo di un complesso architettonico più ampio del quale rimane ancora qualche traccia. 







San Benedetto in Val Perlana è un angolo dello spirito. Possiede alcune caratteristiche che la rendono assolutamente degna di una visita. Innanzitutto per l’ambiente: intorno a San Benedetto ci sono soltanto natura e silenzio; la valle, stretta, la isola dal lungolago, con i suoi rumori, la sua confusione, il suo traffico. E poi, anche se all’interno non ci sono i capolavori, la semplicità delle linee architettoniche, la luce che filtra dalle poche, piccole, finestre, la rustica discrezione degli arredi danno un senso di pace religiosa in cui è bello immergersi anche solo per poco. 







Le origini dell’Abbazia di San Benedetto in Val Perlana non sono ben definite; certo vanno collocate all’inizio del secondo millennio, in una fase di straordinario sviluppo della vita monastica in Occidente. Probabilmente fu costruita tra il 1050 e il 1075 presso una sorgente che esiste ancora oggi, a circa 800 metri di quota, in una zona allora certamente coltivata (oggi, a causa dell’abbandono della montagna, il bosco a ripreso il sopravvento e la valle appare selvaggia e solitaria). 




Il primo documento giunto fino a noi e che riguarda il monastero è del 1083. La vita dell’abbazia e della sua piccola comunità monastica fu breve e durò appena due secoli. La costruzione dell’Abbazia dell’Acquafredda a Lenno, ben più vicina alle vie di comunicazione lungo il lago di Como, fece probabilmente passare in secondo piano questa abbazia montana. Nel 1298 le sue strutture furono abbandonate dai monaci e subirono un progressivo degrado; a partire dall’Ottocento furono trasformate per usi contadini e pastorali: il chiostro venne abbattuto e alcuni ambienti (come accadde anche altrove) vennero adattati a stalla per gli animali o a rustiche abitazioni per i montanari. 








Nel 1958, mentre la rovina del monastero continuava inesorabile, la chiesa fu oggetto di un primo restauro, i cui effetti però si esaurirono presto, tanto che negli anni Ottanta il degrado delle strutture era di nuovo grave. La svolta avvenne nel 1985, quando si cominciò davvero a pensare ad un pieno recupero del monastero e della chiesa, non solo strutturale, ma anche culturale e religioso, per restituirgli “la dignità che gli è propria, riportandolo in condizioni tali che sia possibile viverci secondo uno stile ispirato a tradizione monastica, attenti alle ricerche e alle problematiche del nostro tempo”. Queste idee vennero riprese due anni più tardi, quando la rinascita del monastero divenne uno dei punti fondanti della costituzione dell’ “Associazione San Benedetto in Val Perlana”. 







La rinascita dell’abbazia poté così avere inizio: nel 1989 iniziarono i lavori di recupero del corpo centrale dei fabbricati. Nel 1993 venne rifatta la copertura della chiesa e si iniziò a sistemare gli interni dell’edificio centrale recuperato. Nel 1997 venne completato il recupero della chiesa, con la sistemazione dell’interno grazie anche ad arredi ispirati alla severa semplicità dello stile romanico, creando un luogo di grande suggestione spirituale, un autentico “luogo dello spirito”. Purtroppo però, l'"Associazione San Benedetto in Val Perlana" si è sciolta nel 2011 e quindi, attualmente, la situazione è in una fase di stallo che si spera possa essere presto superata.