martedì 8 marzo 2022

 LA VALLATA DEL GRASSO E DEL LUNGO


Molti anni orsono, sulla cima dei monti di Pasturo, sorgeva un castello, con robuste e scoscese mura di pietra viva, talmente alte da essere impossibili da scalare; solo le stelle alpine osavano farne dimora. Nell’area meridionale si elevavano invece guglie e torrette da dove una sentinella scrutava il lago e le valli sottostanti. I regnanti erano molto austeri e temuti, tanto che nessuno in tutto il regno osava rivolgere loro parola; erano talmente potenti che si pensava governassero addirittura gli elementi! Quasi a voler creare contrasto, poco sotto le mura della fortezza sbocciava un prato immenso, ricoperto da ogni varietà di fiori tra cui spiccavano crocus e botton d’oro, chiamato Campione. La miriade di colori che lo rivestiva affascinava tutti, ma nessuno osava avvicinarsi per timore; nessuno, tranne il contadino Cecco, il quale era benvoluto dal re per l’ottimo taleggio con cui impreziosiva la già ricca tavola reale. Unicamente due ragazzi abitavano la valle, due orfani, allevati dalla saggia del villaggio, da tutti rispettata e chiamata Signora, ma per loro semplicemente nonna Elvezia. Li aveva trovati abbandonati in una grotta sull’altra riva del torrente, dove nessuno osava addentrarsi poiché di quei luoghi si raccontavano leggende terrificanti. Mossa a coraggio dai pianti dei due neonati, varcò quel confine immaginario, e corse il loro soccorso. Quella primavera, Elvezia decise di iniziarli al lavoro di pastore, così domando a Cecco se non avesse bisogno di due garzoni. Il primo era piccolo e paffutello, con numerosi rotolini di ciccia; il secondo invece lungo e magro, così la Signora decise di chiamarli Grasso e Lungo. Sebbene gemelli, non avrebbero potuto essere più diversi. All’ombra del grande albero sedeva il capo villaggio; fu raggiunto da Cecco, che attendeva l’arrivo dei due giovani. Nel momento in cui i due ragazzi raggiunsero gli anziani, una saetta colpì una torre di guardia; due vitelli terrorizzati fuggirono e Cecco ordinò al Grasso di recuperarli e al Lungo di tenere a bada il resto della mandria. Le prime gocce scesero prepotenti, e il ragazzo non si vide tornare. Il Lungo prese la fronda in un albero sul sentiero per farne una frusta e corse in aiuto al fratello. Seguì le orme che si addentravano nel bosco oltre le sponde del torrente, luogo che la nonna aveva sempre vietato di visitare. Temeva per l’incolumità di suo fratello: si raccontava che in quei luoghi vi fosse l’uomo nero, personaggio che abitava le loro paure da bambini. Mentre attendevano di poter ripartire, sentirono uno sciame di api ronzanti; poco dopo una ragazza corse davanti a loro e si gettò nel torrente, al sicuro dai pungiglioni volanti. Le api, nervose per il temporale in arrivo e terrorizzate dall’acqua, ripresero la via del nido. Il Grasso e il Lungo si avvicinarono per soccorrere la ragazza in difficoltà, ma questa li allontanò bruscamente, e scappando perse nella fuga una stella alpina dal mazzo che aveva sul suo cappello. I due ragazzi si avvicinarono per cogliere il fiore: nessuno nel villaggio aveva mai osato afferrare una stella alpina, erano di esclusiva proprietà reale. Intuirono quindi che la ragazza non poteva che essere la principessa e così, incuriositi, la seguirono. Ipnotizzati dal luogo, si stavano avvicinando al pozzo quasi come attratti da una forza magnetica quando il Grasso si sentì strattonare la maglia. Si voltò e vide una cerbiatta che addentava i suoi vestiti; tentò di scacciarla invano, poiché questa non mollava la presa. Nel tira e molla, la stella alpina che lei aveva come corona, le cadde a terra e lì il ragazzotto collegò si trattasse della bella ragazza. I ragazzi urlarono a gran voce “Vogliamo che tutti ritornino a essere umani!”, la strega emise un urlo raccapricciante, il pozzo sembrò animarsi. Tutti gli animali ripresero le loro sembianze umane. Il Grasso e il Lungo svelarono la soluzione alle storie e alle leggende raccontate. Divennero per tutti degli eroi. La valle fu intitolata “Grassi Lunghi” in loro onore.







A tutte de donne "grasse"...
a tutte le donne "lunghe"...
a tutte le donne...
un fiore raccolto nell'immenso prato Campione...


venerdì 4 marzo 2022

 EDO & GALDI - 3 marzo 2022

Distanza km8,150 - Dislivello m340 in salita, altrettanti in discesa

Obiettivo: il belvedere e la “circumnavigazione bassa/alta” del Lago del Segrino. Ambiente: boschi di castagni e frassini. Che dire del percorso? Simpatico e facile (o meglio, relativamente poco impegnativo).

Lasciamo l'auto presso un parcheggio gratuito a Eupilio, vicino al lago, e percorro la strada ciclopedonale in direzione Canzo lungo il lato sud del Lago. Attraversiamo la trafficata strada, il parcheggio e la provinciale sino all'inizio del sentiero con le indicazioni per la località Inarca e il Belvedere dello Scioscia m667. Si prende la mulattiera che sale nel bosco con pendenza media. Arrivati presso un bivio, si lascia perdere per la località Inarca e si seguono le indicazioni per il Belvedere. Il percorso sale con qualche tornate e qualche scalino di legno (Mannaggia! Noi siamo andati diritti facendo della camminata per famiglia un…avventura!)!) sino ad arrivare in un pianoro boscoso presso il cartello che indica il sentiero di mezzo verso Canzo. Si può anche proseguire sul sentiero in direzione nord (non segnato) che continua in leggera pendenza su un fondo di terra e ricoperto di foglie, ma riconoscibilissimo sino ad arrivare presso il Belvedere del Monte Scioscia. Qui si trova un ampio pianoro attrezzato con una panca fatta da un tronco d'albero presso un corrimano di legno con vista sul Cornizzolo, il Lago del Segrino, Eupilio, la pianura padana e il lago di Pusiano. Fatte alcune foto, abbiamo continuato per il sentiero fino alla deviazione Canzo/Cà Budracchi in modo da ritornare dal lato nord del lago sino a tornare presso Eupilio al parcheggio di partenza.
Il sentiero per la salita al Belvedere di Scioscia è un percorso semplice senza difficoltà tecniche. Il giro è ideale in tutte le stagioni. Io suggerisco però di “provarlo” d’inverno per via degli alberi spogli che permettono di godere una vista ancora più completa e appagante.

“Comme facette Scioscia mettette ‘o culo a viento ‘e terra e sciusciaje”, tradotto letteralmente: “Come fece (un tal) Scioscia mise il sedere a vento di terra e soffiò”. L’espressione si riferisce a un marinaio, chiamato Scioscia, che bloccato in mare dal vento, per dare la spinta alla nave si aiutò soffiando col sedere e facendo da forza motrice.
“Comme facette Scioscia, ca se magnaje ‘a tosta e rummanette ‘a moscia”, “Come fece un (tal) Scioscia che mangiò la (parte) dura e lasciò la(parte) morbida” (di ciò che stava mangiando…).
Da qui presumo che si tratta di un’antica espressione usata per schernire gli sciocchi dall’innata stupidità, che hanno un atteggiamento sbagliato e addirittura autolesivo.

















Vi consigliamo di fermarsi a pranzare presso l'AZIENDA AGRICOLA S. ANNA - Eupilio: una dolce e piacevole sorpresa!