venerdì 29 marzo 2019

EDO, EZIO & GALDI
28 marzo 2019
Il mistero dello 




Breve escursione che, lungo il percorso storico di salita ai Piani Resinelli dalla riva del lago, porta a visitare un inaspettato reperto archeologico. Si tratterebbe di un’antica cisterna risalente al periodo tardo romano, unico residuo di un presumibile castello posto proprio al vertice di quest’altura. 
Ma cosa ci fa un’antica cisterna dall’imbocco perfettamente costruito con pietre squadrate su una sconosciuta quanto insignificante emergenza dispersa sulle pendici occidentali della Grignetta? La domanda è alquanto intrigante e sembra avere una sola risposta plausibile, sullo Zucco della Rocca: in un remoto passato, doveva esistere un’importante costruzione fortificata oggi scomparsa, il cui ricordo ci viene però tramandato da quell’incredibile pozzo e dal nome stesso della cima. Lo Zucco della Rocca emerge appena dai boschi che ammantano le pendici inferiori dello Zucco Portorella, che, con lo Zucco di Malavello forma l’estrema propaggine della lunga cresta occidentale della Grignetta. Si tratta di una piccola protuberanza oggi in parte rivestita dal bosco, ma comunque ben identificabile nell’uniforme pendio della montagna. Difficilmente, il viandante che ci passa vicino, percorrendo il largo sentiero che unisce Mandello e le sue frazioni ai Piani Resinelli, può immaginare il piccolo tesoro storico che si annida poco sotto la sua cima. Alcune ricerche archeologiche hanno tuttavia evidenziato che le rocciose pareti dello Zucco furono le fondamenta su cui, forse in epoca romana o alto medievale fu eretta una fortificazione. La costruzione di un pozzo-cisterna indica inoltre che la postazione doveva essere di una certa importanza e che doveva essere stabilmente abitata.
Oggi viene spontaneo chiedersi il motivo di questa zona fortificata che, però, c’è in parte chiarito una volta raggiunta la cima dello Zucco. La formazione rocciosa sorge poco distante dal sentiero da e per i Resinelli, cammino che anticamente doveva essere assai più importante di oggi. Inoltre dalla vetta si gode un’ampia veduta su tutto il ramo lecchese del Lario che si spinge a Sud fino al Monte Barro. Non è escluso quindi che la postazione dello Zucco della Rocca entrasse a far parte anche di un sistema di avvistamento e segnalazione. La gita si svolge su larga mulattiera e comodo sentiero. Punto di partenza è la piccola frazione di Maggiana sovrastante Mandello del Lario. 








Dal parcheggio presso la Via dei Salici, imbocchiamo questa via e in breve arriviamo alla piazza ove è il sagrato della chiesa di San Rocco, antico edificio sacro completamente rifatto nel secolo XVII. Passando fra antiche dimore del borgo si giunge a uno slargo con fontana e all’imbocco della mulattiera acciottolata che prosegue alle spalle del paese. 
Fra le case svetta l’alta e squadrata Torre del Barbarossa, potente costruzione della famiglia Mandelli, presso la quale, nel 1158, trovò ospitalità l’imperatore. Da qualche anno tutto il territorio era in grande fermento d’armi, causa la guerra dei dieci anni fra Como e Milano scatenata per la nomina del Vescovo di Como e per il controllo del contado di Lecco. Mandello era schierata con Como e con l’Imperatore il quale, durante la sua visita al territorio nominò feudatario del borgo, Alcherio Bertola, che quattro anni più tardi diverrà Duca di Mandello. La scelta di allearsi con Como fu però ben presto fatta pagare ai mandellesi e, nel 1160, i soldati milanesi misero a ferro e fuoco tutto il comprensorio.
La torre, sebbene più volte rimaneggiata, conserva interessanti caratteristiche architettoniche fra cui il portale ogivale, i resti di trofei affrescati e la terrazza ottocentesca sommitale. All’interno è ospitato il minuscolo "Museo etnografico della Torre di Maggiana".





Riprendendo il cammino, saliamo per una larga mulattiera con alzate in granito che prende quota a raggiungere un poggio prativo sovrastante. Con un percorso a zigzag fra prati e frutteti la mulattiera diventa sentierino inerbito per tornare ad allargarsi in corrispondenza di alcune cascine più a monte, dove incrocia un tratturo. Si entra nel bosco risalendo una vallecola, traversando un ruscello e lambendo un paio di cascine semi rovinate. Poco sopra, nei pressi di un meraviglioso faggio monumentale, sotto di cui sorge un piccolo casello per la conservazione dei latticini, incontriamo la parete rocciosa da cui sgorga la "sorgente del Tuf". Il sentiero inizia una lunghissima salita in diagonale tagliando i boschi in lenta salita verso Sud. Tralasciamo un invitante bivio che si stacca sulla sinistra, ci s’immette nella larga mulattiera che sale da Rongio e prosegue alla volta dei Piani Resinelli. Si segue la mulattiera ormai diventata una sorta di letto eroso nel bosco e, in lenta salita, si giunge a una sorta di spalla, dove si trova il cartello indicatore per lo Zucco della Rocca. Sopra di noi, sulla sinistra, s’intravedono le bianche e dentellate guglie calcaree che ornano il lato meridionale dello Zucco della Portorella. Si percorre una traccia che si attiene pressapoco al crinale della cresta che unisce lo Zucco della Rocca alla montagna.
Facendo attenzione ci si abbassa infine di qualche metro sul versante meridionale e si riesce all’ampia sella boscosa che precede la vetta. Da qui si prosegue salendo un ripidissimo tracciato che, fra boscaglia e roccette, porta nei pressi del muro circolare eretto a difesa del pozzo-cisterna, che tutto sommato, appare ancora ben conservato. Probabilmente, le profonde fessurazioni naturali che percorrono le rocce sommitali hanno creato una sorta di piccolo bacino interno nel quale l’acqua piovana era naturalmente convogliata. Forse tale bacino esiste ancora, ma, più probabilmente, l’aprirsi di altre fratture l’ha prosciugato e reso inutile. Qualche passo ancora ed eccoci sulla vetta da dove so può ammirare un vasto panorama. Verso Sud-est si scorgono le turrite pendici della Grignetta che s’immergono nei boschi che ammantano la vastissima spalla dei Piani Resinelli, a Sud, al termine del ramo lecchese del Lario, ecco la caratteristica sagoma del Monte Barro che chiude l’orizzonte verso la Brianza, a Ovest sorgono le imponenti e oscure pareti del Monte Moregallo mentre verso Nord lo sguardo spazia sul lago, sulla punta di Bellagio, sul Monte Tremezzo e sulle vette delle Prealpi Lepontine.






E a tavola che si prendono le decisioni importanti.
Dove andiamo giovedì prossimo?
Fammi un pò vedere....che ne dici della Madonnina del Moregallo?
Madonna mia....sono quasi 1000  di dislivello!
  

lunedì 25 marzo 2019

24 marzo 2019
UOEI - Bergamo


Il Monte Stino, il più remoto abitato all'epoca della Repubblica Serenissima e, fino al 1918, ex confine con l'Impero Austro-Ungarico, è un altopiano gibboso posto sul lago d’Idro, in territorio “bressiano”. Dalla cima il panorama raggiunge il gruppo dell'Adamello, la cima Tombea e il Monte Caplone, il Denervo e la catena del Monte Baldo. 
Nella prima guerra mondiale, e in parte anche nella seconda, fu fortificato con trincee, camminamenti e strade dall'esercito italiano come seconda linea di difesa. Il nome del Monte fu pure menzionato dal poeta Gabriele D’Annunzio nel manifesto lanciato in volo su Trento il 20 settembre del 1915: 

"...Oggi il tricolore sventola in tutte le città sorelle, in cima a tutte le torri e a tutte le virtù. Più si vede e fiammeggia il rosso, riacceso con la passione e con le vene degli eroi novelli. Branche ignobili, violando le nostre case hanno profanato il segno, l'hanno strappato, arso e nascosto? Ebbene, oggi non vi è frode, né violenze di birro imperiale che possa spegnere la luce del tricolore nel nostro cielo. Esso è invincibile. Questi messaggi, chiusi nel drappo della nostra bandiera e muniti di lunghe fiamme vibranti, sono in memoria di quei ventuno volontari presi a Santa Massenza dalla soldataglia austriaca e fucilati nella fossa del Castello il 16 di aprile 1848. Ne cada uno nel cimitero, sopra il loro sepolcro che siamo alfine per vendicare! Bisogna che i precursori si scuotano e risuscitino, per rendere più luminosa la via ai liberatori. E i morti risuscitano. Erano là, fin dal primo giorno di guerra, a Ponte Caffaro, alla gola di Ampola, a Storo, a Lodrone, a Tiarno, a Ledro, a Condino, a Bezzecca, in tutti i luoghi dove rosseggiarono le camicie e le prodezza garibaldine. E i Corpi Franchi in Val di Sole e i Legionari di Monte Stino, tutti i nostri messaggeri disperati aspettavano la gioventù d'Italia risanguinando". 

La partenza avviene da Zumiè di Capovalle m1000. Il sentiero prevalentemente di bosco, con alcuni tratti sassosi, è molto ben segnalato con il classico segno CAI e il 477: non si può sbagliare! Si sale a zig-zag con (brevi) tratti erti fino alla Croce di Sassello m1115, una grande croce in cemento che domina sulla valle e su Zumiè e che ci consente di tirare il fiato. La pendenza del sentiero va scemando fino a una carrareccia e il rifugio, con la sua Cappelletta "Redemptor Hominis" m 1407, si nota subito a breve distanza.





Un sorso d’acqua….bestia, che giornata calda! e mi rimetto a gironzolare sulle alture….beh….sui prati molto secchi. A metà strada tra il rifugio e il picco con la bandiera (cima) seguo le indicazioni per vedere alcune piazzole d’artiglieria a cielo aperto e le lunghe tracce di trincee. Faccio un ampio giro. Le voci immaginarie dei nostri ragazzi in trincea sono sostituite dallo scrocchiare dell’alto strato di foglie secche: le trincee non sono ben conservate…peccato! Ma forse non ce ne frega niente….ne abbiamo tantissimi chilometri in tutte le parti della nostra Italia.




Seguendo una comoda carrareccia che in poco tempo e con poco dislivello mi porta a visitare alcune postazioni di sentinella in cresta, due in caverna, oggi riadattate a piccoli musei, poiché il grosso è stato portato al Museo Reperti Bellici di Capovalle, per mitragliatrici pesanti e soprattutto il punto più panoramico sul lago d’Idro con tanto di bandiera m1467. Veramente favoloso: ci ritorno una seconda volta dopo “schiscetta”. Scendo per il "Sentiero delle Vedette" (protezione con corrimani metallici, prestare attenzione). M’inoltro dall’altra parte del pianoro per curiosare un po’: un piccolo laghetto, al solo vederlo, mi rinfresca.



















Torno al rifugio per il dovuto tributo allo stomaco e trovo il piazzale pieno con poche macchine ma molte moto e squad…che schifo. E’ proprio vero che i pizzoccheri e la birra sono l’anima del commercio. 
Me no male che avevo fatto le foto in precedenza… 
Se andate a vedere le recensioni in internet troverete “…buonissimo tutto, ho mangiato le tagliatelle, erano più che buone…consiglierei i pizzoccheri tutta la vita…”. I gestori sono molto simpatici, disponibili e il rifugio, pur piccolino, è molto carino…però…la “storia” c’insegna che è lo stomaco che comanda.
  
E' meglio che i morti non vedano
quello che sono capace di fare i vivi
e la strada storta che sta prendendo il mondo

e meglio che non si accorgano nemmeno
che noi siamo diventati così poveri
e tanto miseri che non siamo capaci di volerci bene.

No, è meglio che i morti
stiano nella neve e nel ghiaccio
e che non sappiano di noi, altrimenti
potrebbero pensare di essere morti invano

e allora si sentirebbero ancora più soli.

Gian Maria Bonaldi, combattente in Adamello




Scendiamo a valle: un altro punto a favore della camminata, dopo il panorama, è la fontana con acqua gassata (che bomba!), naturale e fredda. Ci voleva proprio dopo una bella giornata di sole e molto calda. Beh…come punto è proprio terra-terra, ma eravamo…in fondovalle! Più a…terra….di così!!


Un ricordo particolare a tutti i nostro "ragazzi" che hanno vissuto la loro gioventù in trincea
e ai nostri (pochi) soci che hanno avuto crampi o indurimenti alle gambe.
Magari volevano fare cambio con loro...