giovedì 24 marzo 2016

14. LA TRAGICA RAPPRESAGLIA
DEL BAITONE DELLA PIANCA
IL PARTIGIANO

Nel dicembre del 1944 in Valle Taleggio era presente una squadra di partigiani della ex 86A brigata Garibaldi “Giorgio Issel”, frantumata dalla partenza di alcuni membri, capitanata da Franco Carrara e composta da una dozzina di uomini. 
Per i componenti della formazione si pose il problema di cosa fare: continuare la lotta da soli od unirsi ad un altro gruppo di ribelli. Su pressione del PCI bergama­sco gli uomini dell’86A si unirono alla 55A brigata “F.lli Rosselli”, operanti nella vicina Valsassina, il 23 dicembre per poi rifugiarsi in una gran­de baita, detta il Baitone, in località Pianca, sui monti tra la Valsassina e la Val Taleggio alla Culmine di San Pietro. Molti provengono dalle fabbriche di Sesto San Giovanni, Monza, Cinisello Balsamo: con loro c’è anche un gruppo di operai di Dalmine in fuga dalla pianura perché ricercati, un radiotelegrafista inglese e una interprete austriaca.
Franco Carrara "Walter"
Il 30 dicembre, quando il comando della formazione aveva deciso di riparare verso la Svizzera, giunse una terribile rappresaglia della Brigata Nera “Cesare Rodini” di Como, suddivisa in quattro squadre al comando del capitano Noseda. Te­stimonianze di superstiti suggeriscono che l’intervento dei fascisti fu propiziato da una delazione di una spia che condusse i militi repubblichini presso il rifugio dei partigiani.
Le quattro squadre bloccarono la risalita da Avolasio e Vedeseta e i sentieri da Morterone e dalla Culmine di San Pietro. Nelle prime ore del mattino entrarono nella baita sorprendendo i trentasei partigiani: la sorpresa fu totale, non venne sparato un colpo. I partigiani vennero  prima allineati all’esterno della costruzione e, dopo essere stati spogliati di ogni oggetto di valore, messi al muro per essere fucilati; solo un ordine via radio impose agli aguzzini di portarli a Introbio per l’interrogatorio, dopo una lunga marcia nella neve.
Il monumento posto all'esterno del cimitero di Maggio
Franco Carrara “Walter”, comandante della 55A “F.lli Roselli”, tentò la fuga nel tentativo di portare in salvo importanti documenti. Davanti alla baita il pendio era ripido: si buttò alla disperata, ma non andò lontano. Venne subito raggiunto da raffiche di mitra. Rialzatosi fu crivellato dai colpi dei suoi inseguitori, poi alcuni militi scesero e lo finirono. Il suo corpo  venne ritrovato, sepolto sotto la neve, da Don Arrigoni, parroco di Morterone, più di 20 giorni dopo. Tutti gli altri partigiani vennero legati ai polsi con del filo elettrico trovato in baita assieme ad altro materiale radio, ed in colonna, a piedi nudi, portati a Introbio, in Valsassina, tramite la mulattiera che dalla Culmine di San Pietro scendeva alle baite di Mezzacca e poi a Cassina Valsassina e Cremeno: da qui si raggiungeva Barzio e poi Introbio. I partigiani catturati vennero fatti transitare volutamente nei paesi fino a raggiungere la Villa Ghirardelli a Introbio.
Una volta giunti a destinazione, dopo un faticoso cammino, vennero interrogati con tutte le rituali violenze e, alla mattina della domenica  del 31 dicembre, vennero caricati su due camion che partirono verso Lecco. I camion, passato il paese di Pasturo, al Ponte della Frolla lasciarono la strada principale e salirono a Barzio, da dove si diressero nei pressi del cimitero.
Vennero fatti scendere dieci partigiani assieme a Leopoldo Scalcini “Mina”, il più maltrattato negli interrogatori, mentre Francesco Magni “Francio” venne spedito a Lecco nelle mani dell’Ufficio Politico Investigativo.
Gli undici partigiani furono immediatamente fucilati lungo il muro del cimitero, cosicché il sacerdote arrivò quando il plotone di esecuzione aveva già concluso la sua opera.
Si trattava di Carlo Battaglia, Giuseppe Esposito, Costantino Figini, Renzo Galli, Giancarlo Ganzinelli, Licinio Milocco, Giuseppe Pennati, Silvio Perotto, Remo Sordo, Mario Pallavicini e Carlo Bellolio.
Le lapidi poste in ricordo e memoria all'esterno del cimitero di Barzio
I camion ripartirono in direzione di Cremeno. Passato il Ponte della Vittoria, arrivarono a Maggio, appena fuori Barzio, dove il posto di blocco del locale presidio fascista reclamò cinque partigiani da torturare per divertirsi. Gliene furono consegnati tre: Felice Beltramelli, Rocco Lombardo e Augusto Rocchetti. I camion ripartirono mentre i tre furono fatti sfilare tra le case della frazione e poi fucilati al cimitero. Il convoglio proseguì poi per Como dove arrivarono i restanti partigiani che vennero in seguito tradotti a Milano presso il carcere di San Vittore.
Consultando i registri del carcere di San Vittore emerge che il giorno 9 gennaio 1945 entrarono nel carcere dodici persone che possono essere fatte risalire ai partigiani catturati alla Pianca.
Dai registri risulta anche che il 22 marzo 1945 cinque partigiani furono deportati verso la Germania mentre gli altri sette, dei quali non si indica la destinazione, vennero assolti.
Ad aggravare ancora le sorti dell’86A brigata furono le esecuzioni di tre vecchi membri “Romeo”, “Remo” e “Bela”, catturati e uccisi a Crescenzago (nel milanese) rispettivamente il 20 febbraio i primi due e il 14 marzo 1945 il terzo.

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