martedì 11 ottobre 2016

9 OTTOBRE 2016
A 400 metri sul livello del mare, con un'estensione di 15 chilometri quadrati, ad una ventina di chilometri a sud della città di Asti, il territorio di Calosso si presenta al visitatore con la sua caratteristica più importante: una fitta cesellatura di vigneti, che creano straordinarie geometrie colorate delle tinte incantevoli conferite dal susseguirsi dei vitigni e delle stagioni, inscenando così un panorama spettacolare di Langhe e Monferrato che rimarrà senz'altro impresso nell'occhio di chi osserva.
Calosso è da sempre una terra di grandi vini, terra di cui il Moscato d'Asti è la risorsa principale; ma sulle sue colline non troviamo soltanto il moscato, bensì la presenza di altri vitigni pregiati e anche rari: Barbera, Dolcetto, Nebbiolo, Chardonnay, Freisa ed il raro e prezioso Gamba di Pernice completano la vasta scelta di vini nobili e assai apprezzati dagli intenditori di tutto il mondo. La vocazione prettamente vinicola di questo territorio e della sua gente è testimoniata dalla presenza di più di 380 aziende vitivinicole che conducono circa 1000 ettari vitati sui 1238 ettari complessivi del territorio calossese.
Calosso è immerso in un ambiente naturalistico e paesaggistico incantevole a sottolineare quanto un insediamento umano possa integrarsi con il paesaggio che lo circonda. Il paese vanta un caratteristico borgo medievale, il centro storico, disseminato di ricchezze di valore architettonico e dominato dal castello e la chiesa di San Martino. 
Di datazione antecedente l'anno Mille, il castello deve la sua imponenza alla massiccia torre cilindrica ornata da archetti pensili e merli guelfi; il suo interno è caratterizzato da antichi saloni cui si accede attraverso il portale barocco del '600, mentre ai livelli inferiori si articolano i sotterranei; dal parco, infine, il visitatore gode di un'incantevole veduta a 360° delle colline circostanti, che ben si presta ad appagare l'obiettivo delle più esigenti macchine fotografiche. 
Affianca il castello la Chiesa di San Martino, magnifica cattedrale che risale, presumibilmente, al XII secolo, ulteriormente impreziosita da uno straodinario ed artistico coro ligneo, e da una maestosa navata centrale, cui si accede tramite il portale, pregevole opera di intaglio barocco.
Il centro storico svela poi un suggestivo itinerario che si snoda nel sottosuolo, opera funzionale delle mani ingegnose della gente del passato: sono i crotin, antiche cantine scavate nel tufo, uniche nel loro genere, che fanno da sfondo alle degustazioni di piatti e vini tipici che caratterizzano l'ormai conosciutissima Fiera del Rapulè, appuntamento irrinunciabile del terzo week end di ottobre.
Benchè ogni momento sia adatto per visitare Calosso e le sue cantine, è doveroso annotare alcune date in cui hanno luogo le ricorrenze più tradizionali: si parte con la festa d'estate e la 'Cammina cammina', caratteristica passeggiata enogastronomica tra i sentieri 'verdi' che collegano le varie aziende vitivinicole; l'autunno calossese è scandito dalla tradizione già menzionata della Fiera del Rapulè, a ottobre; mentre novembre, mese in cui Calosso celebra la festa patronale di S. Alessandro Sauli, offre la possibilità di gustare uno dei piatti più tipicamente piemontesi: la 'Bagna Caoda del Beato' preparata e servita secondo la maniera dettata dalla più antica tradizione culinaria piemontese.


Nella’azienda Domanda molte le spiegazioni dettagliate con  la visita ai vari reparti (la cantina è sempre quella più apprezzata) per la produzione del vino dal grappolo d’uva alla bottiglia: lo sapevate che il vino alla spremitura è sempre dello stesso colore? La macerazione, per un determinato tempo, nelle proprie bucce gli fanno prendere in seguito  il rosso o il bianco. L'uva per il Passito, piccola produzione ma veramente buono, erano ancora sulla vite con tagliata la gamba della pianta su cui è attaccato il grappolo in modo che continua il suo processo di “appassimento” all’aria e al sole.
Un bel 10 e lode al Barbera Crevacuore lasciato a fermentare in botti di rovere. Queste botti servono per cinque vendemmie e poi vanno sostituite con quelle nuove. Un sapore intenso, corposo con un retro gusto di…legno. Semplicemente fa-vo-lo-soooo!!!


Da questa piccola azienda astigiana, 6 validi vini. Tre bianchi, di cui uno spumante, e tre rossi. I primi, un fresco, sapido e profumato Chardonnay, un curioso e molto interessante La Casala da uve viognier, e uno spumante classico di buona complessità ed armonia. Nei rossi, due Barbera d’Asti, uno giovane, fragrante e d’invitante beva, l’altro, il Rodotiglia, di gran corpo ed armonia. Chiude la triade, il Just Balck: un taglio bordolese dai toni varietali, ma dalla personalità piemontese.
Oggigiorno ogni azienda deve avere un enologo sempre presente, non come una volta. Le sue spiegazioni sulle varie tecniche per avere un vigneto produttivo, su questi terreni argillosi-calcarei (il terreno in fase di areazione è blu, poi al sole diventa bianco come...il calcare!), e con tempi di lavorazione accettabili. Alcuni vitigni devono essere "puliti" da molti grappoli, se la produzione è superiore a una determinata quantità per ettaro: vengono tolti "a mano" i più inadatti, lasciando alla maturazione quelli più sani e rigogliosi. Questa perdita di uva, lasciata per terra ma necessaria per un ottimo risultato, costituisce, insieme ai tempi di lavorazione, il...giusto prezzo del vino.
Perchè alcuni vini riusciamo a conservarli per molto tempo mentre altri devono essere bevuti nei primi anni? In nostro enologo ha risposto in modo semplice ed esauriente a questa e a molte altre domande.


Subito dopo la fine della prima guerra mondiale, il nonno Agostino, classe 1900, abbandona l'usanza di suo padre Nicola di vendere le uve ai negozianti (sistema usato dalla maggioranza ma che non portava un reddito decoroso) cominciando a vinificare le uve barbera ed una piccola quantità di Bonarda (per altro ancora prodotta attualmente). L'azienda a quell'epoca era costituita da circa 1,5 ettari di vigneto. Negli anni 60 subentra Germano Bussi e il numero degli ettari sale a 4. Ma è nel 1968 che avviene la svolta. A causa della tristemente famosa grandinata di quell'anno, Germano comincia a vinificare l’uva moscato, procedimento molto impegnativo e faticoso se si considerano le attrezzature dell'epoca: il mosto ottenuto in seguito alla torchiatura a mano, veniva, dopo la chiarifica, filtrato con i famosi “sacchi olandesi”, procedimento lento e che richiedeva soventi cambi con relativi lavaggi rigorosamente a mano; inutile ricordare che tutta la fase di produzione del Moscato doveva essere fatta nell’arco delle ventiquattro ore. I risultati però non si fanno attendere e cresce la volontà di acquistare altri appezzamenti vitati.
Piero Bussi, il figlio, si è inserito gradatamente nell’azienda agricola, che oggi può contare su 11 ettari di vigneto, puntando sulla qualità del prodotto, prima in vigna e poi in cantina. E dal 2012 con Bussi Federico la storia continua. E' un "mago": a sentirlo parlare, con la passione che ci mette, ci si rende subito conto di avere davanti un personaggio innamorato della sua vigna, un amico, un fratello, una persona veramente squisita...come un certo Moscato non ancora completamente fermentato di sua produzione.


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