lunedì 25 luglio 2022

 GALDI - 24 luglio 2022

Poco puttanaio di gente: si sono sciolte le camere (troppo caldo?) e la gente è stata a casa a pensare per chi votare il prossimo 25 settembre: per quel cog….. di… o per quel testa di ….. di…! E la fiaba continua tra DRAGHI, CONTI, insaLAta RUSSA e MAIOnese, piselli e MELONI magici,… Si SALVINI chi può! Ma…mi permetta ! Mi consenta! Andate TUTTI a prenderlo dove…pisciano le oche!
Percorro parte del DOL (Dolori Origine Lombare), rimanendo tra la Valle Imagna, la Valsassina e la Valboazzo, andando in uno di quei posti in cui mi “sento a casa”, talmente sono le volte che ci sono stato (lo stesso vale per Morterone). Perciò poche ciance, anche perché non saprei cosa dire di nuovo, e vi parlo, aiutandomi con interdett, della vecchia utopica idea e realizzazione della stazione sciistica e, per finire, un po’ di storia non fa mai male.







Sopra la città di Lecco, sostenuta dalle bastionate calcaree dell’omonimo Pizzo e ai piedi delle creste sommitali del Monte Resegone, si trova la bellissima località dei Piani d’Erna, frequentatissima in tutte le stagioni grazie alla facilità di accesso su sentiero e, ancor più, per la presenza di una funivia che la raggiunge partendo dai sobborghi collinari di Lecco. In verità di “piano” i Piani d’Erna non hanno molto, presentandosi come un’ampia conca prativa circondata da boschi i cui pendii in passato, stante proprio la vicinanza alla città, hanno rappresentato i campi sciistici per eccellenza dei lecchesi: bastava un breve viaggio in auto o con i mezzi pubblici, la rapida salita in funivia e in una manciata di minuti dal centro cittadino si era sulla neve, sci ai piedi. Queste caratteristiche particolari hanno fatto sì che tempo fa ai Piani d’Erna non si mirasse solo a creare una “normale” stazione sciistica: negli anni Sessanta del secolo scorso - periodo nel quale il boom economico e industriale faceva pensare che nulla fosse impossibile - qualcuno pensò un progetto tanto grandioso quanto utopico e assurdo ma del tutto emblematico riguardo ai meccanismi di pensiero e d’azione che hanno sviluppato il turismo sciistico dalla seconda metà del Novecento in poi. Meccanismi che poi il tempo e la realtà (non solo quella climatica) hanno spesso rivelato come fallimentari e deleteri per la montagna, ma che incredibilmente ancora oggi, e non di rado, in certi luoghi si vorrebbe riproporre e perseguire: come se il mondo fosse ancora quello, come se il tempo si fosse fermato o se non si volesse capire (consapevolmente o no) come stanno realmente le cose, nel presente e ancor più nel prossimo futuro.
La storia del folle progetto sciistico dei Piani d’Erna l’ho rapidamente riassunta (www.lucarota.it) in un capitoletto dedicato sul libro Sò e sò dal Pass dal Fò. In cammino da 75 anni sui sentieri del Resegone che ho scritto e curato nel 2015 per la Sezione CAI di Calolziocorte. Ve lo propongo di seguito, aggiungendo che nel giugno 2020 i rottami degli skilift che erano stati installati sui pendii dei Piani d’Erna, chiusi fin dal 2005, sono stati smantellati e riportati a valle, donando nuovamente al luogo la bellezza e il fascino originari e così preziosi.









UTOPIA. L’apertura della funivia che collega Versasio ai Piani d’Erna, nel 1965, nonché gli skilift che per qualche decennio hanno lassù animato i mesi invernali, sono in verità solo una parte di un progetto ben più grande, e francamente utopico, che formularono intorno al 1960 alcuni imprenditori lecchesi, con in testa Angelo Beretta, proprietario della nota ditta di caldaie, e l’ingegner Riva. In effetti, Erna era molto frequentata dai lecchesi già prima della Seconda Guerra Mondiale, poi il conflitto e il difficile periodo susseguente fece scemare parecchio quella frequentazione. Beretta e Riva, insieme con altri professionisti lecchesi, decisero di rilanciare la località e di farlo alla grande seppur con intendimenti in qualche modo avanzati, di sentore contemporaneo: rifiutarono ad esempio la costruzione di una strada carrozzabile, troppo costosa e, soprattutto, tremendamente impattante per quell’angolo montano così piacevolmente integro. Optarono dunque per la funivia, mezzo di trasporto sicuramente più ecologico; in teoria il progetto prevedeva un ulteriore tratto che giungesse fino alla vetta del Resegone, per la cui mancata realizzazione probabilmente oggi non possiamo che essere felici. Ma c’era molto di più: nelle idee della SPER, la società che fu costituita ad hoc per la gestione dei vari interventi, Erna doveva diventare una vera e propria città satellite di Lecco in quota, al fine di attirare il maggior numero possibile di turisti anche da lontano. L’architetto milanese Gianfranco Gelatti Mach de Palmstein fu incaricato di stendere un piano urbanistico per l’edificazione sui terreni, nel frattempo lottizzati di case, alcuni alberghi, una scuola, attrezzature sportive varie, una chiesa, un eliporto e addirittura un piccolo ospedale. Nel complesso la città satellite di Erna sarebbe dovuto constare di sei piccoli quartieri: Funivia, Bocchetta, Romini, Laghetto, Teggia e Ospitale, collegati da un’arteria principale e da una fitta rete di percorsi pedonali. Era un progetto che sotto certi aspetti ricorda nel principio quello di Consonno (a bloccare la vita del futuro parco divertimenti fu, nel 1976, una frana. Il borgo fu completamente isolato, inaccessibile e da quel momento iniziò la sua decadenza trasformandolo in un borgo fantasma – N.D.R.), scaturente da una visione del progresso urbano tipica di quegli anni d’intenso boom economico nei quali pareva che pure le idee più difficili potessero divenire realtà. Ma le prime difficoltà di realizzazione sorsero presto; solo alcune case furono edificate (facilmente riconoscibili dal fatto di essere quelle dal disegno architettonico più moderno, lassù) insieme a qualche semplice struttura sportiva, poi nel 1993 la SPER fallì e ci si misero pure i cambiamenti climatici, che resero la neve a Erna una cosa assai rara. Così, il visionario progetto di Erna, la città dello sci a pochi minuti dal centro di Lecco, tornò nel fumoso regno delle utopie irrealizzate. Giudicate voi se sia stato meglio così, oppure no. Di certo l’amenità dei Piani d’Erna, con quel meraviglioso e imponente sfondo delle punte del Resegone appena al di sopra dei suoi verdi prati, resta comunque grande.







STORIA. Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i Piani d’Erna furono uno dei primi luoghi dove si radunarono molti tra sbandati ed ex prigionieri, che decisero di opporsi all’invasione tedesca e alla neonata Repubblica Sociale Italiana. Più che sul piano militare, però, le azioni condotte da questi gruppi autonomi di sbandati acquisirono una grande importanza dal punto di vista simbolico: per la prima volta, infatti, qualcuno si opponeva in armi alle forze nazifasciste e dopo nemmeno un mese di attività partigiana, i tedeschi furono costretti ad attaccare il Pizzo d’Erna, supportati dall’artiglieria e da tremila Alpenjager, i Cacciatori delle Alpi austriaci, divisi in quattro colonne provenienti dalle quattro direttrici principali che conducevano in Erna. Le operazioni di rastrellamento iniziarono tra il 16 e il 17 ottobre 1943 e si distinsero in due momenti specifici: il primo, durato fino al 18 ottobre, registrò l’occupazione della Valsassina, con la chiusura di tutti gli sbocchi delle vallate minori che scendevano verso il lago; il secondo, invece, corrispose agli scontri avvenuti presso la Capanna Stoppani, a Campo de’ Boi e al Pizzo d’Erna tra il 18 e il 20 ottobre. Dopo aver respinto i primi attacchi tedeschi tra il 16 e il 17 ottobre, la trentina di uomini asserragliati in Erna furono avvertiti da alcuni giovani saliti da Lecco delle intenzioni tedesche di organizzare “una battuta in grande stile ed in pieno assetto di guerra”. Nel pomeriggio del 18 ottobre 1943 le SS tedesche iniziarono a salire contemporaneamente da tutti e quattro i versanti della montagna. Nella marcia d’avvicinamento al Pizzo, i partigiani del rione di Bonacina furono catturati dai tedeschi e costretti a portare le loro munizioni; lungo il percorso che dalla frazione di Costa conduce ai Piani d’Erna, oltre a requisire bestiame e vestiario, vennero incendiate tutte le baite e i fienili situati lungo il sentiero. Le poche decine di partigiani rimasti ai Piani d’Erna, non avendo i mezzi adatti per rispondere all’offensiva tedesca, capirono di essere stati accerchiati dal nemico e la fuga sembrò ormai essere compromessa, visto che tutti i versanti del monte erano sbarrati; in montagna restarono quindi soltanto alcuni prigionieri francesi, slavi e russi, che si trovarono ad affrontare le truppe tedesche. Arrivate ai piani d’Erna, le SS si accanirono contro baite e cascine, distruggendo a colpi di bombe a mano e mitraglia gran parte dei fienili che nascondevano viveri e armi, danneggiando seriamente anche la piccola chiesetta e la statua della Madonna al suo interno. Il violento scontro terminò con la distruzione pressoché totale delle baite e di tutti i punti d’appoggio usati dalle prime formazioni partigiane. Il bilancio fu tragico: i partigiani superstiti, dopo il rastrellamento, si sposteranno a Santa Brigida (in Valle Brembana).

La mia storia finisce, come al solito, dall'amico Berizzi del rifugio Grande Faggio: tagliatelle fatte in casa con ragù di salame, cacciatorino, birra grande e caffè! EWWIWA la Resistenza: la mia di andare tutte le domeniche lì!

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