sabato 7 novembre 2015

2. IL VENTENNIO
DALLE PRIME BANDE ALLE BRIGATE
LA BANDA DI ADRIANA LOCATELLI

BELLA CIAO

Il fascismo non riuscì mai ad avere grosso seguito nel territorio della bergamasca. Se in città i ceti benestanti, soprattutto la media borghesia, avevano appoggiato con entusiasmo la causa mussoliniana, di­verso discorso va fatto per la provincia, dove solo una minima parte della popolazione s’iscrisse al partito fascista.
Ciò è spiegabile con il fatto che i bergamaschi, dalle valli alla pianura, erano per lo più contadini, proprietari di piccolissimi terreni adibiti a un’agricoltura di sussistenza: il fa­scismo, con le leggi del 1926, aumentò le tasse sulle proprietà come la terra cau­sando il distacco dal partito della maggior parte della popolazione povera.
Durante gli anni ’20 e ’30 avvennero numerose “manifestazioni” di dissenso nei confronti del Duce e, in generale, del regime.
Il 2 novembre 1924 l’ingresso della sede fascista di Zogno fu imbrattato con letame e sterco umano e le sedi delle Brigate Nere fioriro­no di scritte contro il fascismo.
Nel 1926 Filippo Alcaini, minatore di Dossena, fu arrestato per aver detto “fascisti di merda” a dei militi volontari e per averli aggrediti con pietre; nel 1935 Angelo Bettinelli e Giuseppe Musitelli furono arrestati per aver cantato “bandiera rossa” nei pressi del­la casa del podestà di Brembilla dopo…qual­che bicchiere di troppo! Altri avvenimenti avvennero in tutta la provincia orobica e finirono sempre con cure a base di botte e olio di ricino.
Facile capire perché molte persone si mantennero lontano dal fasci­smo e dalle istituzioni a esse collegate. 


Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 nelle Valli Bergamasche cominciarono a organizzarsi spontaneamente i primi gruppi di resistenza armata ai nazi-fascisti.
Fu soprattutto la Val Taleggio a diventare rifugio di sbandati, ex prigionieri ed ebrei; ma bande armate si costituirono anche a Santa Brigida, sul Monte Avaro, nella zona di Oltre il Cole e sulla Maresana.
La banda “Maresana” coordinata da Adriana Locatelli si occupò del massiccio afflusso di prigionieri e militari sban- dati nella zona collinare tra Bergamo e l’inizio della Valle Brembana.
Un rastrellamento avvenuto il 12 novembre 1943 pose fine all’esistenza della banda con l’arresto di Adriana Locatelli e dei comandanti Enzo Rivellini e Filippo Benassi.
Non tardò la reazione del regime con l’attacco di Cantiglio in Val Taleggio contro una formazione armata appostata in montagna. Quest’attacco fu tra le prime grandi azioni messe in atto dalle forze nazi-fasciste contro le brigate partigiane. 
Questa fu una prova generale per misurare la capacità di coordinazione fra le forze tedesco-repubblichine.
Fu un attacco concentrico, sferrato contro un gruppo di partigiani che si stava organizzando a Cantiglio, antica malga posta alle falde del Cancervo, il monte che divide San Giovanni Bianco da Taleggio.
Il 4 dicembre del 1943 i soldati tedeschi del capitano Bussolt e i brigatisti neri del comandante Resmini attaccarono da varie direzioni.
I partigiani, sorpresi da forze soverchianti, lasciarono sul campo tre caduti: il tenente Giorgio Issel di Genova, il maresciallo dell’aviazione degaullista Marcel Jabin, fuggito dal campo di concentramento della “Grumellina” di Grumello al Piano e il soldato sangiovannese Evaristo Galizzi. Altri quattro furono fatti prigionieri e deportati in Germania.
Malgrado questa ferita, in Val Taleggio la presenza della resistenza partigiana non venne meno. Con l’inizio della primavera, nella zona di Pizzino si costituì una banda, detta “Legione Straniera”, formata in gran parte da ex prigionieri, che fu però dispersa dalle truppe naziste il 19 aprile. Nessuno seppe mai il nome né il numero dei partigiani caduti e catturati, ma in molti furono testimoni di case e baite messe a fuoco, proprio come era avvenuto a Cantiglio.


Subito dopo l’8 settembre Adriana Locatelli raccolse nella sua casa di Bergamo un gruppo di militari sbandati.
Conosciuta come “Lalla l’eroica partigiana”, li guidò per oltre un anno in azioni partigiane sin quando i tedeschi riuscirono a catturarla il 26 febbraio 1944.
Venne trasferita a Palazzo Baroni con le accuse di: intelligenza col nemico, spionaggio organizzato, costituzione di banda armata, traffico clandestino d’armi, sabotaggio, aiuto ai prigionieri ed ai partigiani.
Tentarono di farla parlare con ogni mezzo nel corso di massacranti interrogatori, ma nonostante le torture e le sevizie subite che la segneranno, anche fisicamente, per tutta la vita, non rivelò ai tedeschi nessun nome.
A chi in seguito le chiedeva come avesse fatto a resistere, a non tradire rispondeva: “Meglio una donna rovinata che tanta gente impiccata”.
Internata nel carcere di Sant’Agata, a causa delle condizioni fisiche venne trasferita all’Ospedale Maggiore fino al termine della guerra.
Donna fiera del suo passato e delle sue azioni in favore della Resistenza antifascista, compi un gesto di perdono singolare ed importante alla morte della spia che la fece arrestare, consentendone la sepoltura nel cimitero di Torre Boldone accanto alla tomba della sua famiglia.
Il racconto della sua esperienza, tiene viva la memoria di quei tragici anni, invitando sempre i giovani "a conoscere, ma soprattutto a non dimenticare”.

Dalla sua voce nell’intervista rilasciata a RAI Storia:
“Questi interrogatori avvenivano in una camera con un letto con delle...delle punte…di ferro…se lei diceva di no, come ho sempre detto, veniva battuta su quel letto...maaa…a fior di legnate...poi veniva portata fuori...messa in una camera che se anche lei gridava non potevano sentire perché era tutta imbottita…ti davano delle…quello che adoperano gli spazzacamini a pulire i camini…la denudavano e attraverso il corpo veniva battuta da queste specie di armi…pero guardi che lei  aveva legato le mani e le gam- be…ho avuto battuto fuori tutti i denti…alle gambe mi hanno messo gli aghi roventi e questo è continuato per otto giorni senza mai parlare e ammettere pur di salvare i miei compagni…mi dovevo lavare nuda alla presenza di questi soldati…non mi davano da bere ma mi mettevano l’acqua…non mi davano da mangiare ma me lo mettevano li…mi hanno strappato anche i capelli e mi hanno battuto a muro non so per quanto tempo sotto le lampade…”.


Bergamo, piazza Littorio: lunedì 10 giugno 1940 ore 18.10
La popolazione accorre in massa per ascoltare il discorso di Mussolini della proclamazione dell'entrata in guerra.

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