mercoledì 6 aprile 2016

15. I FATTI DELLA MALGALUNGA
I TREDICI MARTIRI DI LOVERE


La brigata a Campo d'Avene Alto.
Il fatto che questa località, tra Sovere e Gandino, godesse di una visuale invidiabile sulle vallate circostanti garantendo allo stesso tempo un’ottima protezione, ne fece una roccaforte partigiana nel corso della seconda guerra mondiale.
Nel 1944 vi si insediò la 53A brigata “Garibaldi” che assunse il nome "Tredici Martiri di Lovere" in onore dei tredici partigiani fucilati per rappresaglia a Poltragno e a Lovere il 22 dicembre 1943 (Francesco Bessi, Giulio Buffoli, Salvatore Conti, Andrea Guizzetti, Eraldo Locardi, Vittorio Lorenzini, Giacinto Macario, Giovanni Moioli, Luca Nitkisc, Ivan Piana, Giuseppe  Ravelli, Mario Tognetti, Giovanni Vender). Il comandante Giovanni Brasi “Montagna" ne affidò la gestione alla squadra del tenente Giorgio Paglia, formata da una quindicina di uomini, mentre il comando di brigata s’installa a Campo d'Avene, distante mezz'ora di marcia.
Oltre ai russi s'individuano "Bersagliere" con il maglione chiaro, "Barbieri" e, l'ultimo a destra, Giorgio Paglia.
Preso il possesso della zona la brigata si rese protagonista di numerose azioni, che danneggiarono gravemente i reparti delle G.N.R. locali,  delle SS di stanza in Valle Camonica e s’ingaggiarono furiosi combattimenti contro i reparti tedeschi e della Legione Tagliamento forze della repubblica di Salò.
Il 17 novembre 1944, mentre sei uomini della formazione erano fuori per assolvere incarichi diversi, la Malga venne attaccata di sorpresa da ingenti forze della Legione Tagliamento di stanza a Lovere.
Di guardia all'esterno in quel momento c’era un partigiano russo che non diede l'allarme e di cui si persero le tracce. La battaglia infuriò per quasi tre ore finché gli assalitori riuscirono a raggiungere il tetto e a lanciare all’interno alcune bombe a mano provocando il ferimento dei partigiani Mario Zeduri "Tormenta" e del russo Ilarion Efanov "Starik". Il tenente della 53ª brigata “Garibaldi”, Giorgio Paglia, accortosi di avere terminato le munizioni, accettò la resa a patto che questi venissero curati adeguatamente.
La squadra di Giorgio Paglia: da sinistra in piedi, Simone, Starich, Bianco, Bersagliere, Pirata.
Seduti: Donez, Molotov, Barbieri, Rocco, Giorgio.
Ma la parola data dai nazifascisti non fu rispettata: i feriti vennero uccisi a colpi di pugnale e l’intera squadra fu deportata in una località tra Costa Volpino e Lovere. Durante il trasporto a valle, ci fu un tentativo di liberazione (ostacolato dall’alta neve) dei prigionieri, operato dal comandante Giovanni Brasi “Montagna”, che, nonostante il coraggio non sortì gli effetti desiderati. Giorgio Paglia “tenente Giorgio”, Guido Galimberti "Barbieri", Andrea Caslini “ "Rocco", i russi Semion Kopcenko “Simone" e Alexsander Nogin "Molotov" furono tutti condannati a morte dopo un processo sommario.
A Giorgio Paglia venne concessa la grazia, per il fatto che suo padre Guido, era medaglia d’oro della Guerra d'Etiopia nel 1934. Ma lui, dopo essersi visto respingere per l’ultima volta la richiesta di liberazione di tutti i suoi compagni, rifiutò la grazia adducendo la frase “O tutti o nessuno!" e chiese di essere fucilato per primo.
Era il 21 novembre 1944, e tutti i partigiani vennero fucilati a Costa Volpino. Due giorni dopo, poco lontano, a Lovere, i fratelli Renato e Florindo Pellegrini, “Falce” e “Martello”, catturati quattro giorni prima nel rastrellamento di Covale, vengono anch’essi fucilati.


Nel 1979, la Malga Lunga viene acquisita gratuitamente dal comune di Sovere.  Il successivo contratto di comodato d’uso tra l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.) di Bergamo e il comune di Sovere recita “…che il fabbricato, con 1700 mq. di terreno pertinenziale, fu ceduto nell’anno 1979 ...con lo scopo di destinarlo a Museo-Rifugio in ricordo degli episodi verificatesi nella zona nel corso della Resistenza e dei caduti della 53A brigata Garibaldi “Tredici Martiri di Lovere”.”
Il manufatto subì diverse trasformazioni e, nel 2012, raggiunse l'aspetto attuale con l'ottenimento, al piano superiore, di un'aula didattica e di spazi per il museo multimediale di tutta la Resistenza bergamasca.


L’azione di Lovere del 29 novembre 1943, con l’uccisione di due fascisti, mise in allarme tutto l’ambiente repubblichino bergamasco e i tedeschi che si resero conto di trovarsi di fronte ad una forza attiva ed organizzata. Fascisti e tedeschi prepararono così una grande azione di rappresaglia, per stroncare sul nascere il movimento partigiano.
Il 7 dicembre 1943, in un mattino che la nebbia e la pioggia rendeva buio, nella piccola valle che da Corti porta alle stalle di Ramello, una cascina, appena fuori dalla frazione di Ceratello (località Ciar), ospitava il corpo di guardia del gruppo partigiani di Lovere, mentre il resto era alloggiato nelle cascine più in alto.
Alle prime luci dell’alba, circa duecento uomini (tedeschi e componenti la G.N.R. alla sua prima azione in zona ),parte dei quali travestiti da contadini e coperti dalla nebbia, si avvicinarono alla località occupata dai partigiani. La loro marcia fu favorita da una spia che guidava il gruppo, un certo Ninetto Vaccaro che era a conoscenza della parola d’ordine “Trieste “ in quanto sino al giorno prima, faceva parte della formazione, dalla quale si era allontanato con una scusa.
I rastrellatori circondarono la cascina e, senza sparare un colpo catturarono l’intero corpo di guardia composto da Piana, Guizzetti, Conti, Vender, Macario e Buffoli, quest’ultimo padre di famiglia, mentre gli altri non avevano ancora vent’anni. La sorpresa e il tradimento posero i partigiani nell’impossibilità di reagire. I fascisti e i tedeschi proseguirono quindi fino alle cascine ospitanti il grosso della formazione, ma senza alcun esito, poiché i partigiani, resisi conto della situazione e posti in allarme dai partigiani Tarzia e Corna, riescirono a sganciarsi.
Grazie alle informazioni della spia, nei giorni seguenti vennero arrestati altri sette resistenti, allontanatisi dalla formazione per assolvere incarichi: Locardi, Lorenzini, Ravelli, Bessi, Tognetti, Moioli e lo slavo Nikitsch.
Tutti e tredici vennero tradotti nelle carceri di via Pignolo a Bergamo. Per alcuni giorni vennero sottoposti a torture.
Ai genitori ed ai familiari venne negato il permesso di visitarli e portare loro l’ultimo conforto. A nulla valsero le raccomandazioni e gli interventi presso i capi fascisti perché risparmiassero la vita di tanti giovani: “Il tedesco vuole uccidere ed il servo fascista ucciderà”.
Le lapidi al cimitero di Costa Volpino.
Il 22 dicembre 1943 vennero prelevati dal carcere e condotti a Lovere. Sull’autocarro che li trasportava furono fatti sedere sulle casse da morto che dopo alcune ore avrebbero raccolto i loro corpi.
Il camion della morte fece la prima tappa in Poltragno. Sette partigiani vennero fatti scendere, condotti sulla strada che conduce a Sellere e fucilati alla presenza dei loro compagni.
Gli esecutori, sghignazzando, scrissero sul muro bagnato di sangue “ fuorilegge “ e ripartirono per Lovere per compiere la seconda strage. 
Gli altri sei, dopo che la direzione dell’Ilva si era opposta al tentativo di procedere alla fucilazione lungo il muro di cinta della fabbrica, vennero condotti nei pressi della pesa pubblica di Lovere ( attuale Caserma dei Carabinieri ) e lì fucilati di fronte al alcuni cittadini inorriditi.
Lovere, testimone del crimine, si trasformò in una cittadella partigiana: tredici eroi caddero, ma altri presero il loro posto di combattimento e  la lotta partigiana visse, si rafforzò, andò avanti.
Altri giovani accorsero nella formazione, al fianco dei partigiani superstiti.
Nacque così la 53A brigata Garibaldi, che assunse il glorioso nome “ Tredici Martiri di Lovere “.

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