venerdì 7 aprile 2023

 PARLASCO, IL BORGO AFFRESCATO

“Ci sono persone che guardano le cose come stanno e si domandano…perché? Io preferisco sognare cose che non esistono e domandarmi…perché no’”.
Parlasco m680 è un Comune montano dell’Alta Valsassina. E’ situato sulla sponda sinistra del torrente Pioverna e si distende su un pianoro morenico che ha alle sue spalle la scenografica catena dei Pizzi di Palosco, la cui massima altitudine è di m1542. I Pizzi, contrafforti del sistema della Grigna, sono noti come Sasso Mattolino e Sasso di Dasio. Con i suoi 130 abitanti, è tra i comuni più piccoli d’Italia. All’ingresso del paese biancheggia la piccola parrocchiale di San Antonio Abate, piccolo gioiello artistico. Il centro storico è particolarmente bello e raccolto. si ha la piacevole sensazione di essere sospesi nel tempo. Qui è stato realizzato un insieme di affreschi che narrano la leggendaria vicenda di Lasco, il bandito della Valsassina. Attraversando le viuzze del paese è possibile ripercorrere la storia del romanzo storico di Antonio Balbiani, ambientato nel XVII secolo (prima edizione pubblicata nel 1871), che narra la dura e difficile vita degli abitanti di questo piccolo paese e della Valsassina, in balia degli eventi storici, dei signorotti locali e delle credenze popolari. Il nome stesso Parlasco, potrebbe derivare da ”Per Lasco“, poiché è qui che probabilmente fu eretta la forca. La leggenda del bandito ha per protagonista tale Sigifredo Falsandri, conte di Marmoro: di giorno amato benefattore per la sua magnanimità nei confronti dei bisognosi, di notte bandito che imperversava per la valle, alle prese con delitti e rapine. A Parlasco sono ancora oggi visibili i pochi ruderi della Rocca di Marmoro, quartier generale del leggendario personaggio, le cui avventure tornano a rivivere attraverso gli affreschi e le vie di Parlasco sono di fatto un museo all’aria aperta.
Dunque...iniziamo il giro...

“[…] mi fermai presso una fonte d’acqua che spicca dal vivo sasso e forma come una gora da quel lato del castello […] Tu ti arrampicherai sopra una pianta, io mi sdraierò a pochi passi di distanza e venga dall’alto o dal basso questo benedetto fuoco […]. Cap.XXXI - Le avventure di un cacciatore.


Allora, movendo la bocca dove gli errava, per l’ultima volta, un sogghigno di crudele ironia, pronunciò le estreme parole all’orecchio di Ugo: “Conte di Baiedo, tu sei lo sposo della figlia di Lasco!”. Cap. XLII - La fine di Lasco.

[…] finalmente un grande battimano verso la Pioverna e lo scalpitare dei cavalli annunciò l’arrivo del Conte di Marmoro col suo seguito di scudieri e bravi”. Cap. XXXIX - La sagra dei pastori.

[…] Vestiva rozzi panni il Giroletta, ma dopo quasi due secoli mille e mille bocche pronunciavano ancora il suo nome”. “Povero, era generoso meglio di un cavaliere: s’aveva denaro non era il suo, se trovava pane nella bisaccia lo faceva a tozzi per dividerlo con il primo poverello”. “Dei fanciulli era poi l’idolo, n’aveva sempre d’attorno una truppa e chi gli saltava al collo, chi gli frugava in tasca a cercar noci, nocciuole, castagne, e chi gli pizzicava le corde della chitarra […]”. Cap. VII - Il Giroletta della Montagna.


[…] e la Valsassina messa all’incanto dagli usceri del governo venne deliberata a Giulio Monti il 6 maggio 1647 per il prezzo di quindicimila scudi. […] terminata la prestazione del giuramento fu chiamato il notajo Giovan Pietro de Bertacci di Esino a rogare lì atto di compera […] Così…si vendeva al primo cialtrone un popolo da secoli libero e indipendente. E il popolo? Mentre nella torre i vassalle e i Valvassori indirizzavano auguri e brindisi al conte feudatario, il popolo…faceva gazzarra attorno a cinque altissimi pali, dove erano attaccati, in cima, regali posti dal nuovo signore. Cap. XVII - Il Conte della Valsassina.


“[…] dov’è la carità del prossimo? – gridai io – fa forse Iddio distinzione tra conti e banditi, tra giusti e peccatori? Ovvero non ha egli insegnato a noi suoi ministri, a te, a tutti, di andare in cerca di chi è in colpa e ridurlo a penitenza, di chi a odio, e richiamarlo a riconciliazione, di chi sta per morire e ricoverarlo sotto le ali del suo perdono?”. Cap. XLII - La fine di Lasco.


La camera dell’esame era un grottone a piano terreno delle carceri ...non dirò nulla della faccia triste de’ giudici, nè della ferocia del carnefice e del suo aiutante, chè io non ebbi tempo a riguardarli per precipitarmi tosto tra le braccia della madre, che pareva al pallore e alla sfinitezza un cadavere disseppellito allora. …Intanto i giudici, ad uno ad uno, come obbedissero ad un segreto ordine, abbandonarono i loro posti e anco il carnefice col suo aiutante sparve in coda a loro per un uscio sepolto sotto un nero cortinaggio. Fummo sole…finalmente, come le cominciò il pianto, mi narrò i patimenti ch’aveva sofferti. Era stata due volte applicata alla tortura; per primo tormento data la corda, che slogò le sue braccia, poi applicata la terribile tortura dei capelli…”. Cap. XXIII - Il rogo.


La giovine aperse la scatola e ne trasse prima il rosario che baciò e mostrò ad Ugo. Ei lo prese e, ponendolo al collo di essa la baciò in fronte. Celestina allora tolse la crocellino d’oro, v’adattò un nastro verde e colle proprie mani gli volle circondare il collo. Così d’avanti a Dio l’uno giurò d’appartenere all’altro e fecero sacra la fiamma del cuore. Cap. XXIX - Ugo e Celestina. 


...Eh! Diavolo…Don Sigifredo gli gridò il Torriani…non mi sciupate il vino per terra. Di fatti aveva versato più d’un mezzo bicchiere al suolo; con tutto il sangue freddo, che cercava conservare a quella scena, non aveva potuto a ameno di tremargli la mano nel mescer da bere al messo che aveva recato quella terribil grida contro il suo capo. …Ma nessuno se ne accorse, eccettuato un solo: Saltaferro. Cap. XXXIV - Una festa in casa Torriani.


 “…Eccoci in Valsassina e propriamente sullo spianato dove ora sorge il magnifico palazzo De Vecchi… ad una sagra dei pastori...invitati a festeggiar dal buon Conte…Era un concorso infinito di gente di ogni sesso e di ogni età, un via vai continuo di allegre brigate, che sposavano canzoni al suono delle zampogne, un frastuono di grida gioconde”. “il ricco e lucido fogliame di castani, e il verde smaltato di fiori di prato, compiva il vago quadro di quella scena campestre, degna del pennello d’un artista…”. Cap. XXXIX - La sagra dei pastori.

Non poteva essere la barca a mezz’acqua che comincia a farsi sentire il tuono e borbottare di lontano e poi più vicino tra le nubi che s’infuocano di spessi lampi, intanto che dalla valle di Menaggio soffiano maledettissime raffiche di vento da metter sossopra il lago. E alla furia del vento s’univa la devastatrice rabbia tedesca. 
Cap. IV - Il passaggio dei lanzichenecchi.


“Oh! Io sono un barbaro - esclamò il vecchio levandosi dal letto; - con che diritto tengo io quei due poverini a star prigionieri con me? Ma non son forese prigioniero anch’io?...Se tu lo sei, che colpa n’han quei due innocenti; e con che faccia preghi Dio che ti dia la forza di rompere le mura della tua prigione, quando tu con una mano puoi far liberi due essere della tua creazione, e ti rifiuti e li trattieni…No: volino a spaziar nell’aria libera del cielo i poveretti”. Cap. IX - Il prigioniero di Lasco. 



Un sorriso amaro gli correva sulle labbra. “Lasco! Il Buon Signore! Lupo e agnello…un’elemosina e un furto…una messa e una coltellata…le parti di Dio e di Satana!...”.
Cap. XXXIII - La caccia selvatica.


“La caccia selvatica!” cacciò un urlo la folla, e fu un correre, un urtarsi, un darsi delle gomita nel petto, un serra-serra infine da fracassarsi le costole. Fra Lasagna, rovesciato dal balzo impetuoso del più grosso dei mastini addosso al rogo, si levò colle mani e il viso scottati, strillando: “Deus, in adjutorium meum intende!”. “La caccia selvatica!” tornò a suonare il terribile grido sulla porta di Marmoro, dove, spaventate anch’esse di quel gran rumore di gente, uscirono finalmente le mude, senza pur mordere persona. Cap. XLI – I due amanti.






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