lunedì 24 luglio 2023

 EDO & GALDI
semper 'n gir
23 luglio 2023

“Portobellooo!” il famoso programma di fine anni ‘70/inizio anni’80 condotto da Enzo Tortora. Ve lo ricordate?
«È un mercato pazzerello
dove trovi questo e quello
e c'è pure un pappagallo
con il becco giallo».

Bene! Non c’entra niente! Oggi siamo alla scoperta della Valsecca di Roncobello: quella ramificazione della valle Brembana percorsa dall’omonimo torrente che nasce nella conca di Mezzeno e si unisce al Brembo poco sotto l’abitato di Bordogna. Un angolo di Dolomiti nel cuore della nostra provincia, un itinerario attraverso la zona calcarea che si trova ai piedi del Menna. Senza alcun dubbio non troveremo il solito ”puttanaio” di gente che ultimamente caratterizza le domeniche. Partiamo dal rifugio escursionistico Valle del Drago m890, in cima alla frazione di Baresi. Da qui diparte la mulattiera che conduce alla sottostante contrada Oro. Al termine della contrada la mulattiera scende repentina verso il torrente, approdando nel prato che ospita il Mulino di Baresi m830, gioiello di architettura rurale. Una trave di legno all’interno riporta la data del 1672, ma esistono testimonianze storiche che fanno risalire la sua costruzione almeno al 1550. Il mulino ha funzionato ininterrottamente fino al secondo dopoguerra quando ha ridotto la sua attività fino a chiuderla definitivamente negli anni ’90 del secolo scorso. Il mulino è stato oggetto di una sapiente opera di restauro promossa dal F.A.I. che ha ridato vita all’antico opificio. Qui si macinavano frumento, avena, miglio, mais e noci per produrre olio, ma il mulino ha svolto anche la funzione di maglio. I valligiani portavano i cereali a macinare e lasciavano in pagamento al mugnaio la decima, cioè la decima parte del macinato che il mugnaio utilizzava per il proprio sostentamento o per rivenderla. Oggi il mulino è chiuso (occhio alle domeniche autunnali di apertura del F.A.I.) ma uno sguardo d’insieme è d’obbligo. Scendiamo nel prato fino al ponte a schiena d’asino che attraversa il torrente. Il corso d’acqua, per gli appassionati di minerali, delimita il confine tra il versante dominato dal verrucano lombardo e quello dove regna il calcare. Percorrendo la mulattiera in prossimità del torrente si può notare che il selciato è composto prevalentemente da ciottoli rossastri (verrucano). Man mano che si sale verso la contrada Valsecca m860 i sassi chiari di dolomia prendono progressivamente il posto di quelli rossi a testimoniare il cambiamento del contesto geologico. Anche le pietre con cui sono costruite le abitazioni presentano la medesima caratteristica. La contrada è raggiungibile solo a piedi e nell’attraversarla si respira un’atmosfera di tranquillità totale. Risaliamo la traccia nel prato che, dopo aver sfiorato alcune cascine, entra nel bosco. Guadagniamo quota fino a raggiungere la splendida conca di Fopagà m950, invidiabile angolo di verde alle pendici del monte Menna. La prima meta escursionistica della giornata è la Corna Büsa, toponimo molto frequente in bergamasca, da non confondere con il celeberrimo Santuario mariano della Valle Imagna. Nel margine prativo di Fopagà corre (beato lui!) un sentiero che, passata la sorgente Valsecca, in pochi minuti sale all’anello per lo sci da fondo di Roncobello (Non sapevo che esisteva, e tu?). Percorriamo in senso antiorario la pista fino ad intercettare il sentiero, diretto alla cima di Menna, che seguiamo. Le pendenze significative ci fanno guadagnare quota velocemente e, superata una piccola sorgente con pozza d’acqua posta al termine del tratto ripido, arriviamo a sfiorare la Corna Lunga. Si tratta di un’imponente faglia calcarea dalla caratteristica forma ad ali di rapace. Pochi passi e raggiungiamo la Corna Büsa m1280, una cavità rocciosa ampia e articolata, con la statua della Madonna a vegliare sugli escursionisti. All’interno, nella parte alta, una corda stuzzica la nostra curiosità. Alcuni appassionati del luogo hanno attrezzato una serie di divertenti passaggi di roccia che si intrufolano nel cuore della cavità per fuoriuscirne sul fianco. Non è per noi! Riprendiamo il cammino lungo il sentiero che ora presenta pendenze meno impegnative. Nel bel mezzo di una zona di bosco rado appare un pietrone giunto lì chissà da dove: la Corna della Merenda m1355. Si tratta di un monolite squadrato con la sommità piatta che pare fatta apposta per una sosta ristoratrice. Ancora qualche minuto ed eccoci nei pressi della radura che ospita la Cassina di Bàres m1383 o baita dello Zoppo. Il colpo d’occhio è meraviglioso: la baita di legno è immersa nel verde del prato e degli abeti ed è sovrastata dalle bianche rocce del Menna. Sembra proprio un angolo di Dolomiti! Fino al secondo dopoguerra molta parte di questi boschi era tenuta a pascolo e gli abitanti della valle, per ottenere acqua sufficiente per loro e per l’abbeveraggio del bestiame, ogni estate, installavano per centinaia di metri una canalizzazione di tronchi di abete, scavati a grondaia, fino ad una piccola sorgente detta Fontana del Torosél. A fine estate le “canále” venivano raccolte e accatastate al riparo in una fenditura tra le rocce e lì, tuttora, ne esistono alcuni resti. Per recuperare ulteriore acqua di superficie in questa zona carsica dal nome inequivocabile (Valsecca), gli abitanti avevano picchiettato la roccia convogliando nella gronda gli sgocciolamenti residui quando la sorgente non gettava. Un’altra chicca: nel bosco, a un centinaio di metri in linea d’aria dalla baita, vi è l’ingresso di una voragine assai minacciosa. È una dolina: negli anni scorsi, molti, alcune persone si calarono nel buco per vari metri e sul fondo rinvennero frammenti di scheletri delle vacche uccise dalla peste bovina nel 1920-30, bruciate e ricoperte di calce viva. Un…senso di inquietudine! Siamo in ritardo sulla nostra tabella di marcia, lasciamo perdere la deviazione per la baita dei Muffi, il Canàl di Èdei (canale dei vitelli) e, deviando in discesa, perveniamo alla Cassina di Bordogna m1333, altro gioiellino posto su una collinetta panoramica. Continuiamo ad abbassarci: purtroppo i vari sentieri non sono per niente segnati e perdiamo la Corna del Cò, un caratteristico masso a forma di testa umana, in bilico su un piedistallo di conglomerato calcareo che l’erosione delle acque sta lentamente assottigliando. Seguiamo quello che noi crediamo il sentiero principale e proseguiamo la discesa. Ancora pochi minuti e ci ritroviamo nuovamente alla sorgente Valsecca e sui pascoli della contrada. Non ci resta che raggiungere nuovamente il Mulino e risalire a Baresi. Gambe sotto il tavolo: casoncelli fatti in casa e coniglio arrosto al vino bianco. Per dolce …un liquorino alle nocciole: sembrava di avere in bocca un cucchiaino di nutella!








































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