lunedì 11 maggio 2015

A QUELLI NATI PRIMA DEL 1930
o giù di li!

Mia madre, classe 1918.

Abbiamo mangiato le mele senza lavarle ne sbucciarle
 e siamo ancora qui.
Abbiamo girato scalzi sei mesi l’anno
e siamo ancora in piedi.
Abbiamo mangiato tanto pane, vecchio anche di vari giorni,
e non abbiamo avuto bisogno di cure dimagranti.
I vecchi non riscuotevano la pensione,
 ma non erano abbandonati.
I prodotti alimentari non avevano scadenza, 
ma si mangiavano subito.
Non c’erano gli elettrodomestici: per il bucato
 le donne usavano sapone, cenere e tanto sudore.
Mancava il frigorifero? Si comprava alla giornata.
Non ci riempivano le buchette della posta di pubblicità: mancavano entrambe.
C’erano pochissimi sportelli bancari:
 mancavano i soldi da depositare.
Gli sposi novelli, uscendo dalla chiesa, buttavano alla gente gli zuccherini (nobiltà della miseria!)
 oggi sono coperti di riso (stupidaggine della ricchezza!).
Le automobili per suonare usavano la tromba
 con la polpetta di gomma:
nessun problema, le automobili erano rarissime.
Non c’erano i compact-disk, 
ma si cantava molto più di adesso.
Non c’era la televisione e il computer,
 ma quanta fantasia!
Non c’erano i cellulari, 
ma eravamo sempre informati lo stesso.
Andando a scuola non avevamo lo zaino pieno, 
eppure non ci mancava nulla.
Quei pochi gelati che ho mangiato li ho  mangiati col pane.
Avevamo i pantaloni con le pezze,
 ma era una necessità, non una moda.
Pochi giocattoli c’erano regalati,
 ma ci siamo divertiti con le cose più semplici.
Dove mettevamo i rifiuti? O ai maiali o nel fuoco.
La crusca la davamo ai maiali, 
adesso la vendono in farmacia.
Non ci hanno portato al mare o a sciare, 
noi però abbiamo portato i figli e i nipoti.
Esistevano già il parmigiano e il prosciutto di Parma,
 ma noi conoscevamo solo la mortadella.
I bimbi non nascevano in provetta, ma nascevano.
Pochissimi avevano il bagno o la doccia, 
ma c’erano i maceri, i torrenti e la bacinella.
Abbiamo bevuto l’acqua del pozzo e siamo sopravvissuti.
Non abbiamo mai chiuso la porta a chiave
 e non c’è mai mancato nulla.
Non andavamo mai dal dottore né lui veniva da noi:
 eravamo sani come pesci.
Non si andava al teatro o al cinema,
 ma avevamo il cortile e la stalla.
Si parlava solo il dialetto, ma ci s’intendeva benissimo.
Il sogno di noi maschietti?La bicicletta.
Il mio lavoro più bello? La vendemmia.
Cosa non avremmo voluto? I geloni.
Il mio punto di riferimento? La chiesa e l’oratorio.
Cosa invidiamo al giovane oggi? La biro e i jeans.
Il mio rimpianto? Gli amici e la mia gioventù.

 Clorindo Grandi (1926)








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